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PARISIO, Cataldo

di Giuseppe Marcocci - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)
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PARISIO, Cataldo

Giuseppe Marcocci

– Nacque in Sicilia, forse a Sciacca, nel 1455, ma le circostanze dei suoi natali e dei suoi primi anni di vita restano poco chiare. Allievo dell’umanista bizantino Costantino Lascaris a Messina, Parisio lasciò la Sicilia nel 1471.

Intraprese studi giuridici all’Università di Bologna, dove si legò alla famiglia nobile dei Malvezzi, la cui protezione invocò non sempre con buona sorte, come quando tentò invano di essere accolto nel Collegio Ancarano, riservato agli studenti di diritto. Nella seconda metà degli anni Settanta cercò di ottenere la carica di rettore degli studenti di diritto citramontani, ma senza successo. In quello stesso periodo, comunque, fu invitato a pronunciare un’Oratio… in omnium scientiarum et in ipsius Bononiae laudes, da cui si ricava, peraltro, che in passato sarebbe stato a un passo dall’entrare al servizio del re Ferdinando di Napoli e che stava lavorando a un poema sulle città italiane, di cui non si hanno però altre notizie. A Bologna Parisio avrebbe anche operato come maestro di latino e di retorica. Forse in ragione di ciò, nel 1482 fu invitato a concorrere per un contratto d’insegnamento di retorica da 200 fiorini all’anno all’Università di Padova, tuttavia gli fu preferito Raffaele Reggio. Non completò gli studi a Bologna, ma a Ferrara, dove si era trasferito nel frattempo. Conseguì la laurea in diritto il 21 febbraio 1484.

Si aprì allora un periodo di difficoltà economiche e peregrinazioni, culminato nel passaggio in Portogallo, avvenuto probabilmente nel 1485, dopo che Parisio fu contattato a Bologna da Andrea Corsetti, giurista siciliano, e Fernando Coutinho, umanista portoghese formatosi in Italia, futuro vescovo di Lamego e poi di Silves, i quali gli trasmisero l’invito del re Giovanni II di Aviz a recarsi presso la sua corte. Lasciò allora l’Italia, dove non avrebbe più fatto ritorno. Fra le città in cui aveva soggiornato vi erano anche Roma, Napoli, Siena e Venezia. Partì accompagnato solo dai suoi libri di diritto. Infatti, non si era sposato, né lo avrebbe mai fatto (aveva forse avuto, però, una figlia illegittima in Sicilia).

In Portogallo non tardò a segnalarsi per la sua erudizione e la raffinata conoscenza del latino (a differenza del greco). Perciò, è consuetudine indicare in Parisio l’introduttore dell’umanesimo nel regno. Nel 1487 fu incaricato dell’educazione latina di Giorgio, duca di Aveiro, figlio illegittimo di Giovanni II, ricevendo una pensione annua di 30.000 cruzados, grazie a una patente regia del 23 maggio 1488. Continuò a occuparsi di Giorgio, in collaborazione con l’infanta Giovanna, fino al 1495, non senza adottare metodi severi, come raccontò all’umanista tedesco Hieronymus Münzer, che lo visitò nel 1494. Nel frattempo, il sovrano gli affidò la funzione di segretario regio per le lettere in latino, che lo portò a redigere missive ufficiali indirizzate a papi, re, principi, cardinali, signori e nobili di tutta Europa, una cui parte avrebbe pubblicato nell’edizione delle sue epistole. In seguito, Giovanni II si servì delle competenze di Parisio come giureconsulto e poi come oratore di corte. Nel dicembre 1490, nella solenne occasione delle nozze tra il principe ereditario Alfonso e l’infanta Isabella di Castiglia, compose e recitò la lunga ed elegante orazione in latino per rendere omaggio alla sposa, una sfida molto impegnativa dato che in Spagna tale incarico era stato assolto dal celebre umanista António de Nebrija. Al clima di festa, tuttavia, si sostituirono in breve toni di mestizia per la morte del principe, causata da una caduta da cavallo il 13 luglio 1491. Parisio redasse l’epitaffio sulla tomba di Alfonso, sepolto presso il monastero di Batalha, e attese entro il 1495 alla scrittura di un poema di quattro libri in esametri latini in suo ricordo, il De obitu principis Alphonsi, poi pubblicato tra i suoi componimenti sotto il titolo di Aquila (generando l’errata convinzione che «Aquila» fosse uno dei nomi di Parisio, a partire dall’umanista António de Castro, curatore di un’edizione dei suoi scritti pubblicata nel 1569).

All’epoca della composizione dell’opera aveva già redatto altri due poemi latini: l’Arcitinge, che in distici elegiaci narra la spedizione africana del re Alfonso V e di suo figlio Giovanni culminata nella conquista di Arzila e nell’occupazione di Tangeri (1471), al quale avrebbe lavorato sin dagli anni italiani, e il De perfecto homine, opera didascalica in esametri, dedicata al re Giovanni II. Si andava così consolidando la sua fama di umanista italiano («Siculo» divenne complemento abituale del suo nome), pur non mancandogli rivali e nemici, sia tra i teologi scolastici, avversi alla sua figura di precettore laico di principi, sia tra gli uomini di cultura. In cambio, Parisio strinse relazioni con esponenti della nobiltà di corte e dell’amministrazione regia, dai Meneses e Noronha della casa di Vila Real agli Almeida, al raffinato vescovo di Porto, Diogo de Sousa, fino ai membri della famiglia Alcáçova e Carneiro, tutti destinatari di sue lettere o epigrammi, ma anche suoi sovvenzionatori.

Morto Giovanni II (1495), si lamentò dei maltrattamenti subiti in un poemetto scritto prima della fine del secolo, ma si vide confermare la fiducia dal nuovo re, Emanuele I, che aumentò a 40.000 cruzados la sua pensione annua. Gli affidò inoltre la scrittura in latino delle gesta dei passati re portoghesi, incarico che Parisio da tempo desiderava (si era visto preferire, in un primo momento, Angelo Poliziano), ma che non portò a termine. Tra i suoi nuovi allievi figuravano allora Jorge de Bragança, figlio del conestabile Álvaro, esule in Castiglia, Dinis, figlio di una sorella del re, e i figli del marchese di Vila Real, Pedro de Meneses e la sorella Leonor de Noronha. Benché sia con ogni probabilità da attribuirgli una grammatica latina pubblicata in quegli anni, di cui si conosce oggi un solo esemplare mutilo, Parisio svolgeva controvoglia la funzione di maestro, preferendo l’attività di poeta, oratore e storico. Fu questa l’immagine di sé che tentò di promuovere attraverso l’edizione a stampa di un primo volume di scritti, le Epistolae et orationes quedam Cataldi Siculi, pubblicate a Lisbona per i tipi dell’umanista tedesco Valentinus Moravus (noto anche come Valentim Fernandes) il 21 febbraio 1500.

Vi abbondano le lettere indirizzate a umanisti italiani prima della partenza per il Portogallo (Giovanni Tortelli, Antonio Beccadelli detto il Panormita, Leonardo Bruni, Francesco Filelfo, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, Aurelio Brandolini, Antonello Petrucci), o i riferimenti a essi (Battista Guarini, Giovanni Pontano), tesi a sottolineare la vasta e autorevole rete dei suoi contatti, fra i quali si contava pure Lucio Marineo Siculo, che come Parisio aveva lasciato l’Italia, ma per la Castiglia. La raccolta contiene anche missive inviate per conto del re a umanisti portoghesi residenti in Italia, orazioni e proverbi.

Sempre intorno al 1500 compose un epitalamio per le nozze tra il suo antico allievo Giorgio, duca di Coimbra, e Beatriz de Bragança. Il componimento fu incluso nei Poemata, raccolta di epigrammi e poemi latini di Parisio, pubblicata a Lisbona, sempre per i tipi di Moravus, nel 1501-1502.

Assistette all’orazione che il suo antico discepolo Pedro de Meneses, conte di Alcoutim, compose e pronunciò all’università di Lisbona, alla presenza del re Emanuele, il 18 ottobre 1504, ma non ne restò pienamente soddisfatto. In ogni caso, la fece pubblicare nella sua Epistolarum secunda pars, edita nel 1513 e contenente perlopiù lettere latine inviate da Parisio a corrispondenti portoghesi. Nel primo e nel secondo decennio del Cinquecento si dedicò soprattutto alla poesia. Fra le opere che ha lasciato figura il poema pittoresco in esametri dattilici Verus Salamon, Martinus, composto verso il 1511, in cui si esalta Martinho de Castelo Branco, conte di Vila Nova de Portimão, per le sue qualità degne di un re biblico. Nel 1513 furono pubblicati i De visionum libri, che cantano la principessa Giovanna. Restarono inediti i componimenti Ad Leonem Summum de divina censura et verbo humanato, dedicato al cardinal Bernardino de Carvajal e databile dopo il 1513, e Angelorum et musarum triumphans, sulla morte di Gonçalo, figlio del conte Martinho de Castelo Branco.

Nulla si sa sulla morte di Parisio, che avvenne dopo il 1516, forse nel 1517.

Opere. Martinho, Verdadeiro Salomão, a cura di D. da Cruz Vieira - A. da Costa Ramalho, Coimbra 1974; O poema de Cataldo Sículo “de divina censura et verbo humanato”, livro primeiro, a cura di J.P. Mendes, São Paulo 1982; Epistolae et orationes, ed. facsimile, introduzione di A. da Costa Ramalho, Coimbra 1988; A. da Costa Ramalho, Latim renascentista em Portugal, Lisboa 1994, pp. 26-97.

Fonti e Bibl.: M. Gonçalves Cerejeira, O Renascimento em Portugal, II, Coimbra 1918, Lisboa 19754, pp. 61-78; G. Battelli, P.C. Siculo, in O Instituto, LXXIX (1930), pp. 189-202; D.M. Gomes dos Santos, Cataldo Áquila Parísio Sículo e a Princesa Santa Joana, in Actas do XXVI Congresso Luso-Espanhol para o Progresso das Ciências, VII, Porto 1962, pp. 161-174; L. de Matos, Nótulas sobre o humanista Cataldo Parísio Sículo, in A Cidade de Évora, XXXV-XXXVI (1964), pp. 2-13; A. da Costa Ramalho, Estudos sobre a época do Renascimento, Coimbra 1969, Lisboa 19972, pp. 33-116; Id., Estudos sobre o século XVI, Lisboa 1980, 19822, pp. 1-20, 29-94; M. Saraiva Barreto, Uma Ars Eloquentiae dos primórdios do Humanismo em Portugal, in Boletim da Biblioteca da Universidade de Coimbra, XXXVII (1982), pp. 133-160; A. da Costa Ramalho, Para a história do Humanismo em Portugal, I, Coimbra 1988, pp. 193-197, II, Lisboa 1994, pp. 1-116; Id., Quatro epigramas de Cataldo, in Humanitas, LII (2000), pp. 287-296; Cataldo Sículo e André de Resende. Actas do Congresso internacional do humanismo português, Lisboa 2002.

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