CASTIGO (deriv. da castigare)
Rintracciare l'origine del castigo è lo stesso che volere risalire al costituirsi della società, poiché ogni gruppo associato, necessariamente, sempre punì quel membro o quei membri che si ponevano in contrasto con le norme fissate o dal costume, o dalla tradizione, o dalle leggi. Qui considereremo il castigo essenzialmente dal punto di vista dell'educazione, o pedagogico. Il detto scritturale qui parcit virgae, odit filium è stato sempre seguito da ogni famiglia in forme talora rigide, talora blande, per richiamare sulla strada retta i figli che deviassero; e sia la letteratura sacra, sia la greca e la romana, ci offrono esempî che illustrano come i figli non castigati a tempo sono riusciti viziosi e dannosi a sé e alla società. Perfino la favola esopica ha presentato per questo i suoi ammaestramenti ai genitori. La scuola poi, che per l'istruzione si sostituisce alle famiglie, e per l'educazione fa opera di collaborazione, più di frequente in antico, e in forme talora crudeli, si servì del castigo, e ne rimane il ricordo nelle pitture pompeiane come negli scrittori. Basta leggere il mimo terzo di Eronda (Il maestro di scuola); l'epistola prima del II libro di Orazio in cui abbiamo il ricordo del plagosus Orbilio; la satira (1, 15) di Giovenale; le Metamorfosi (IX) di Apuleio; le Confessioni (l. I, cap. IX) di S. Agostino che da piccolo pregava non con piccolo affetto di non essere battuto nella scuola; gli epigrammi di Marziale, da cui la ferula fu elegantemente definita sceptra paedagogorum, e il maestro, appunto per questa ragione, invisum pueris virginibusque caput; e l'osservazione di Plutarco (Vita di Pompeo, 18) che parlare di verga e di staffile era lo stesso che parlare di scuola; e poi percorrere il Medioevo, in cui p. es. troviamo Raterio che rivolgendosi al maestro esclama: Magister es? impara dunque da Dio che è maestro di tutti e che quos diligit flagellat et corripit, sebbene anche allora non manchino spiriti assai miti come Lanfranco che nelle costituzioni ammonisce culpas delinquentium moderata discretione vel punire vel indulgere (Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, p. 97), e giungere al Rinascimento, quando un maestro napoletano, lo Scoppa, lasciava il suo avere per una scuola a condizione che gli scolari parlassero latino, altrimenti l'insegnante doveva dare bone palmate e cavalli, e se non sapevano la regola la ricordasse loro bonis verberibus, e se facevano rumore li sgridasse et si opus esset li battesse (ib., p. 118), per conoscere quanto il castigo dominasse. Non mancarono peraltro educatori i quali riprovarono il sistema, o almeno lo volevano ridotto a proporzioni ragionevoli e non umilianti. Il buon Quintiliano, quantunque vi si opponesse il parere di Crisippo, scriveva: Caedi vero discipulos, quamlibet et receptum sit et Chrysippus non improbet, minime velim (Instit. Orat., l. I, cap. III, n. 14); e della medesima opinione erano pure Seneca (De Ira, l. I, cap. V; l. II, cap. XXI) e l'onesto Plutarco, il quale diceva: "Questo è il mio convincimento: bisogna condurre i giovani al bene con la persuasione e il ragionamento, non, per Giove, con le percosse e i cattivi trattamenti. Questi sono per gli schiavi, e non per gli esseri liberi. Tale modo li rende stupidi e timidi nel lavoro, in parte per il dolore delle battiture, in parte per le ingiurie a cui sono esposti. La lode e il biasimo valgono più degli oltraggi, quando si tratta di uomini liberi; giacché l'una li spinge al bene, l'altro li ritiene dal male" (De liberis educandis, cap. XIII). Così pure, senza eliminarlo del tutto, lo ammisero, ma in misura moderata e quando ve ne fosse vero bisogno, Ignazio di Loiola, il Calasanzio, G. B. La Calle, l'Antoniano e tutti, in genere, i pedagogisti; finché nel secolo XVIII si accentua la reazione, e da Rousseau a Spencer si esige che il castigo non sia che la conseguenza inevitabile degli atti del fanciullo (metodo delle reazioni naturali), e che l'abilità del pedagogo si volga a prevenire il fallo anziché a punirlo. Il sistema della prevenzione, del resto, era già in certo modo seguito, dai chierici regolari datisi dal sec. XVI all'insegnamento, sino al beato don Bosco.
Il problema è stato poi ripreso nella nuova pedagogia idealistica e impostato con criterî rigorosamente filosofici.