CASTIGLIA (spagn. Castilla; A. T., 37-38; 39-40; 41-42)
La derivazione del nome - che compare nelle fonti occidentali fin dal sec. VIII - dal lat. castella (posti di guardia, eretti nei primi secoli della Reconquista nell'ultimo lembo di territorio spagnuolo rimasto libero dall'invasione araba) richiama la funzione essenzialmente militare del primitivo contado (Bardulia), dipendente dal regno di León. Il nucleo originario (sec. IX), costituito dalla porzione settentrionale del territorio burgalense, si venne via via ampliando col progredire delle armi cristiane verso S.; eretta anch'essa in regno, la Castiglia tocca, due secoli dopo, il margine montagnoso delle sierre centrali, per dilatarsi ben presto fino all'Estremadura e alla Sierra Morena e raggiungere, prima di riunirsi con l'Aragona, il massimo della sua ampiezza, con l'assorbimento dell'antico potentato leonese. Con queste vicende è da mettere in rapporto l'indeterminatezza dei confini assegnati in varî tempi e da varî autori al territorio cui si applica oggi il nome di Castiglia, entità più storica che geografica, sebbene - presa nel suo complesso - sia, pur geograficamente, non solo la più ampia, ma forse anche la meglio definita fra tutte le maggiori unità naturali della penisola. L'attuale divisione amministrativa (che risale al 1833 e non segue per nulla criterî geografici) ha fatto sì che il toponimo coincida, nell'uso comune, con l'insieme delle provincie di Santander, Burgos, Logroño, Soria, Segovia, Avila, Guadalajara, Madrid, Cuenxa, Toledo e Ciudad Real, delle quali le ultime cinque costituiscono la Nueva, e le altre la Vieja Castilla. Alcuni tuttavia considerano non a torto comprese in questa anche Palencia e Valladolid, mentre una parte almeno della provincia di Albacete si ricongiunge alla prossima Mancia, ch'è regione castigliana per eccellenza, e l'intero distretto litoraneo di Santander si diversifica per tutti i caratteri dal Burgalense, separatone com'è da una netta barriera montuosa. La Castiglia copre all'incirca 1/3 della superficie del regno, essendo le due parti che la compongono poco diverse d'estensione (un po più vasta la Nuova Castiglia). I suoi limiti naturali sono segnati dai rilievi che formano i margini della meseta, aperta solo verso O., dove è facile il passaggio all'Atlantico: a N. il sistema cantabrico - caratteristico per il predominio dei terreni paleozoici e mesozoici -, ad E. la cosiddetta Cordigliera Iberica, che la isola con la disordinata serie dei suoi massicci dalla fossa dell'Ebro e dal litorale levantino e a S. il bordo rialzato della Sierra Morena, oltre la quale si distende la depressione seguita dal Guadalquivir. Nel complesso, dunque, la Castiglia coincide con la meseta, antichissima zolla sollevata, che l'erosione subaerea ha ridotto a penepiano; un penepiano, però, di notevole altitudine media (650 m., 800 nella metà settentrionale), interrotto nella sua parte centrale dalle sierre carpetaniche (Guadarrama, Gredos, Gata) che formano la colonna vertebrale della penisola, e dividono così la Vecchia dalla Nuova Castiglia.
Caratteri comuni - oltre l'elevazione - il prevalere delle zone pianeggianti; il clima nettamente continentale, con inverni lunghi e rigidi (da −15° a −20°; a Burgos anche −21°) ed estati brevi e caldissime (Madrid 40°, Ciudad Real 39°,5, Soria 42°,2), piogge dovunque insufficienti (Valladolid 313 mm. annui) e mal distribuite per le colture (estati quasi del tutto asciutte); la mancanza o la scarsezza di humus; la vegetazione steppica, ricca di specie erbacee, ma priva, o quasi, di arboree, che tende ad assumere localmente facies di estrema aridità e imprime al paesaggio il suo aspetto triste, monotono e desolato; la debole densità di popolazione (meno di 25 abit. per kmq., in complesso) consentita dall'economia agricolo-pastorale a tipo estensivo, con conseguente assenza o deficienza di grossi nuclei urbani. Ché questi si riducono in sostanza ai maggiori centri storici (Toledo, Burgos, Segovia, Ávila, Soria, Zamora, ecc.); città prospere un tempo, ma rapidamente decadute dopo la metà del sec. XVI; edificate per lo più sopra alture per renderne agevole la difesa, e perciò difficile l'accesso, con palazzi imponenti, chiese e cattedrali (Burgos) di grande pregio artistico (di solito gli uni e le altre in luoghi eminenti), ma con vie strette e tortuose, case basse e mal tenute, e apparenza di decadente squallore, ciò che si traduce in un senso di disarmonia dal ritmo della vita moderna.
Per contro, maggior varietà naturale nella Nuova che nella Vecchia Castiglia, come mostra il fatto stesso che mentre questa si identifica con un unico bacino fluviale (Duero), la prima si fraziona fra quelli del Tago, della Guadiana e dello Jucar, volti per diverso cammino. La Vecchia Castiglia, rimanendo fuori dal mondo mediterraneo, e in posizione in parte periferica, non ha potuto assumere, nella vita spagnuola, la funzione accentratrice esercitata dalla Nuova, perdendo per giunta, oggi, la fisionomia che le era propria, imperniata sullo sfruttamento delle risorse forestali - un tempo notevoli - e soprattutto sulla pastorizia. Con lo splendore raggiunto nell'ultimo Medioevo e attestato dall'abbondanza e dall'imponenza dei suoi monumenti, contrasta l'angustia del presente: paese povero, con agricoltura arretrata - il disboscamento delle poche zone utili, perseguito nell'illusoria speranza di guadagnar terreno per i cereali, ha più nuociuto che giovato -, nessuno sviluppo di industrie (la grande industria moderna ha compromesso anche le piccole industrie locali, a carattere domestico), popolazione pigra ed estremamente attaccata alle tradizioni, isolamento dal resto del paese. Accanto agl'insediamenti maggiori, la cui origine e la cui fortuna sono in rapporto con necessità e opportunità, specialmente difensive, d'altri tempi (Palencia, Briviesca, Miranda, Zamora, Valladolid, Ávila, Segovia, Soria), i centri agricoli si riducono ad agglomerati di poche migliaia (5-10) di abitanti: d'aspetto meschinissimo, con case d'argilla riunite attorno alle charcas, cavità in cui si raccolgono le acque invernali necessarie al bestiame, o lungo i fiumi, che disegnano col verde delle loro sponde un solco di fresco ristoro nella nuda uniformità del piano. Nessun centro abitato supera qui i 50 mila abitanti (se ne togli Valladolid, per cui valgono condizioni eccezionali), e la densità della popolazione oscilla intorno ai 20-22 abitanti per kmq. (Soria: 15,0; Logroño: 38,8).
Press'a poco così debolmente abitata (Guadalajara: 16,9 abit. per kmq., Toledo: 30,5), la Nuova Castiglia presenta da zona a zona oscillazioni sensibili, quando si passi dalle arse pianure della Mancia alla relativamente umida serranía di Cuenca, dalle vegas del Tago all'aspra fascia dei monti toletani: per altro i caratteri fondamentali del clima e della vegetazione non ne risultano del tutto alterati, e meno che mai quelli dell'insediamento umano, di cui è tipico l'addensarsi della popolazione in grossi centri rurali (non di rado superiori ai 10 mila abitanti, come, per es., a Campo de Criptana, Tomelloso, Daimiel, Manzanares, La Solana, Villarobledo, Valdepeñas, ecc.), separati l'uno dall'altro da ampî spazî disabitati, ciò che sta in rapporto a un tempo con la necessità di mettere a profitto i pochi luoghi in cui v'è acqua sufficiente, col carattere estensivo delle colture (oltre i cereali, prevalgono qui la vite e l'olivo, che manca alla Vecchia Castiglia), e con l'economia agraria dominata dal sistema del latifondo. Le città son tutte inferiori ai 100 mila abitanti, meno naturalmente Madrid, la capitale dello stato, che ostacola in certo senso lo sviluppo degli altri centri maggiori. Ad ogni modo in essa si riflette e si assomma bene la funzione accentratrice del paese, che, realizzata per volere di Filippo II - il più castigliano dei sovrani spagnuoli -, merita alla Castiglia, sotto ogni punto di vista, il titolo di regione spagnuola per eccellenza.
Bibl.: Per le opere riguardanti in complesso la Spagna, cfr. questa voce. Quelle qui elencate si riferiscono, e solo per ciò che riguarda gli argomenti sopra trattati, alla Castiglia in modo esclusivo.
J. M. Aranzan, Apuntes para una descripción fisico-geológica de las provincias de Burgos, Logroño, Soria y Guadalajara, in Bol. Comit. Mapa geol., IV, Madrid 1877; O. Deperet, Sur les bassins tertiaires de la Meseta espagnole, in Bull. de la Soc. géol. de France, Parigi 1908; O. Schmieder, Die Sierra de Grecos, in Mitt. d. Münchener Geogr. Gesell., X, Monaco 1915; J. Dantín Cereceda, Las terrazas del valle de Henares y sus formas topográficas, in Bol. R. Soc. Españ. de hist. natur., XV, Madrid 1915; id., La población de la Sierra de Guadarrama, Siviglia 1917 (Asoc. para el progreso de las Ciencias, Congreso de Sevilla); O. Schmieder, Zur Siedlungs- und Wirtschaftsgeographie Zentralspaniens, in Mitt. Deutsche Süd-Amerikan. Institut., VII, Berlino 1915; E. Hernández Pacheco, La Llanura manchega y sus mamíferos fósiles, Madrid 1921; F. Roman, Les terrasses quaternaires de la haute vallée du Tage, in C. R. Acad. d. sciences, CLXXV, Parigi 1925; F. Pérez de Pecho, El Mioceno de la provincia de Soria y los terrenos que le circundan, in Bol. R. Soc. españ. de hist. natur., XXV, Madrid 1925; E. Hernández Pacheco, Los cinco ríos principales de España y sus terrazas, in Trab. mus. Ciencias natur., n. 35, Madrid 1928. Per quanto riguarda la cartografia, v. la voce spagna.
Storia. - Il nome della Castiglia ricorre, a indicare una determinata entità politica, dalla metà del sec. IX.
A rigor di termini sol da questo momento si potrebbe iniziare la storia della Castiglia; ma si raggruppano qui sommarie notizie riguardanti la storia delle terre iberiche, attualmente comprese con i nomi di Vecchia e Nuova Castiglia, anche per i tempi anteriori all'affermarsi di queste denominazioni. Nell'età romana non costituì affatto un'unità: rimase distribuita fra Hispania citerior, a cui spettò la parte maggiore, e Hispania ulterior: abitata da popolazioni varie, Celtiberi, Vaccei, Carpetani, Vettoni, contò pochissime città di qualche importanza (Toletum, Bilbilis, Cauca, Clunia Castulo, Pisoraca, Pallantia). Ancor più suddivisa negli ultimi secoli dell'impero, fra Hispania, Lusitania, Carthaginiensis, Tarraconensis e Gallaecia, fece poi parte del regno toletano dei Visigoti. Di fronte all'invasione araba, cedette un primo tempo ai conquistatori e fece parte dell'emirato di Cordova, poi fu recuperata dal regno delle Asturie; in realtà, negl'imprecisi confini fra i due perpetui belligeranti, fu campo aperto alle loro lotte, corsa per ogni verso dalle schiere dei combattenti, spopolata.
La contea di Castiglia. - Fu merito dei re delle Asturie, e specialmente di Alfonso II, aver compreso che il paese si poteva tenere contro gli Arabi solo insediandovi delle guarnigioni stabili, ben chiuse e difese in saldi castelli. Secondo il sistema economico-militare del tempo, questo avvenne per mezzo di concessioni di terre ai signori che s'insediavano nella regione conquistata e la difendevano contro gl'infedeli; sistema feudale, che se da un lato rendeva relativamente durevoli le conquiste cristiane, dall'altro diminuiva fatalmente il potere regio nelle terre conquistate. Così già per il modo come i cristiani ne tornarono in possesso, nella Castiglia si rafforzarono i germi di quell'autonomia della nobiltà, che doveva produrre il distacco della Castiglia dal regno delle Asturie. Via via che in questa nuova terra, irta di castelli (onde il nome), e per allora limitata a ovest dal Pisuerga e a est dall'Alava e dal Rioja, si affermò, fra il sec. IX e il X, il dominio cristiano contro gl'infedeli, all'ombra protettiva dei castelli sorgono villaggi, popolati da agricoltori, pastori, piccoli mercanti, e, nei luoghi meglio adatti, mercati; altrove monasteri: agglomerati umani, che spesso sono l'umile origine di future città. Densità di popolazione vuol dire ricchezza e potenza e i re di Asturia e i signorotti locali fanno a gara per favorire l'afflusso di nuova popolazione, concedendo privilegi di traffico, di transito e d'insediamento.
La Castiglia ha ancora contorni imprecisi né pare che, nel regno di Asturia-León, costituisca un determinato territorio amministrativo; non fa quindi meraviglia di trovare a un tempo cinque o sei signori del luogo autoinsigniti del titolo di conte di Castiglia, né ci è dato di vedere in qual modo uno di essi riesca a imporsi sugli altri e a serbare per sé solo il titolo. Il fatto è che, nella prima metà del sec. X, questo processo è già finito; in Fernando González si incontra un conte di Castiglia, che non solo è riconosciuto dai signorotti incastellati, ma si contrappone recisamente al re di León: primo passo all'indipendenza del paese. Le lotte diuturne contro i Musulmani alla malferma frontiera dovevano irrobustire il senso d'indipendenza del conte, senza dire poi che le nuove terre liberate dagl'infedeli, spesso con la sua sola spada, senza l'appoggio del re, anzi nonostante la sua malcelata avversione, rendevano sempre più potente e pericoloso il conte di Castiglia di fronte al regno e lo coronavano dell'aureola di campione della fede. La contea si allargava verso sud, verso la valle del Tago e fino alla Sierra di Guadarrama; ma i re di León non se ne sentivano ancor troppo minacciati, finché i conti di Castiglia pensavano da sé a indebolirsi, spezzettando di fatto la contea nelle varie successioni ereditarie. Ma anche gli Arabi ne approfittavano: nel 995, il conte di Castiglia era vinto e fatto prigioniero dal famoso Almansor (al-Mansūr), ministro del califfo di Cordova, e il re delle Asturie dovette prestare man forte al conte successore Sancio Garcés: evitò così che anche il suo regno cadesse sotto i colpi dei Musulmani.
Il regno di Castiglia e le lotte con i Musulmani (1032-1349). - Ma, attenuato questo pericolo, la posizione del conte di Castiglia restava fortissima; e se qualche cosa egli aveva da temere era piuttosto da parte dei vassalli spesso ribelli, come i Velas, anziché del re. Onde il conferimento (1032), dato dallo stesso re di León, del titolo di re di Castiglia a Ferdinando, non faceva che convalidare una situazione esistente di fatto da quasi un secolo, e la mutava solo esteriormente; il che, data la mentalità dei tempi, era però non piccolo passo, anche se il re di Castiglia, con le sue terre dal mare di Cantabria alla Sierra di Guadarrama, continuava a essere vassallo di quello di León. Del resto gli avvenimenti degli anni successivi chiarirono subito la situazione e a tutto vantaggio del re di Castiglia: nel 1037 moriva in battaglia il cognato re di León, che aveva tentato di riprendere a Ferdinando la Castiglia, e questi finiva con l'essere riconosciuto anche re di León. Era un primo grande passo verso l'unificazione della Spagna; le due corone di León e di Castiglia erano unite nella stessa persona, e tra non molto la seconda oscurerà la prima. Infatti i due regni rimasero idealmente distinti, nell'unione personale, ognuno con le sue leggi e consuetudini; ma dei due, la Castiglia, per la sua stessa posizione di contrasto con gl'Infedeli, dimostra maggior vitalità; e tutte le conquiste che furono fatte da quel gran re che fu Ferdinando (morto nel 1065) a est fino all'Ebro, a sud con scorrerie fino a Siviglia, furono considerate un ampliamento della sola Castiglia. Quest'opera di unificazione mostrò la sua vitalità anche contro le stesse tendenze di Ferdinando, il quale parve voler distruggere la sua opera con le sue stesse mani, quando divise il regno nelle sue varie parti (Castiglia, León, Galizia, ecc.) assegnandole ai suoi figli. Ne seguirono sette anni di guerre fratricide; ma nel 1072 l'unità era ricomposta sotto Alfonso VI, figlio di Ferdinando. Queste creazioni, apparentemente effimere e artificiose, nate da combinazioni matrimoniali, da diritti ereditarî, si mostravano invece saldissime quando cadevano nelle mani di una forte personalità: e Alfonso VI fu indubbiamente una di queste. Il giovane stato aveva bisogno soprattutto della forza di coesione che viene dalle tradizioni comuni: e Alfonso la trovò e la creò nelle guerre sante, vere crociate contro i Musulmani; che valsero a saldare nella cavalleresca nobiltà del suo regno vincoli saldissimi con la corona. Combatté per trentacinque anni quasi senza tregua con buona e con men buona fortuna, contro nemici potenti, come Yūsuf ibn Tāshufīn, fondatore della dinastia almoravida; ma delle sue lotte rimase, risultato definitivo, la conquista delle regioni a sud della Sierra di Guadarrama (la Nuova Castiglia) e di tutta la valle del Tago fino a Lisbona. Nel 1085 cadeva Toledo e da León Alfonso vi trasferiva la capitale. Nella nuova terra, come già nella Vecchia Castiglia, rinascevano a nuova vita i vecchi centri urbani; ne sorgevano di nuovi, protetti dai privilegi (fueros) del re; vi s'insediava, accanto alla vecchia, una popolazione nuova, ardente nella sua fede; sorgevano anche qui castelli e monasteri.
Tanto è vero che il nuovo stato era la creazione di Alfonso VI, che, morto lui (1109), tutto rischiò di cadere in rovina; eppure egli aveva provveduto a regolare la successione, ma in un modo così artificioso, che offrì ad Alfonso re d'Aragona il pretesto d'intervenire nelle faccende di Castiglia e gli dié modo di esserne riconosciuto re da una parte della nobiltà, mentre un'altra riconosceva un nipote di Alfonso, Alfonso Raimúndez, che si chiamò Alfonso VII e finì col prevalere. Ma gli avvenimenti di questi anni turbolenti avevano messo in luce i lati deboli del regno, e anzitutto l'azione disgregatrice di alcune grandi famiglie (i conti di Lam, di Castro, ecc.) uscite in parte dai cadetti della famiglia reale. D'ora in poi la corona dovrà tener gran conto di esse; e secondo l'indole dei varî sovrani, riuscirà, a volta a volta, a sottrarsi al potere tirannico di questo o quel gruppo nobiliare, o dovrà soggiacere al loro prepotere ed essere, in mano di essi, lo strumento di lotte interne, o cercherà di opporsi, trovando appoggio in gruppi antagonistici. Ma, in genere, la corona non saprà, e quasi sempre non potrà avere una forza e un prestigio proprî e dovrà cadere nell'orbita dell'uno o dell'altro gruppo nobiliare, ai quali si devono aggiungere i potentissimi ordini religioso-cavallereschi, di Alcántara, di Calatrava, ecc. Fuori di qui non c'era una forza: non un esercito regio, non un corpo di funzionarî regi, non una borghesia cittadina politicamente e militarmente forte; c'era un semenzaio di piccola nobiltà (ricos hombres, hidalgos), ma dispersi, anche se numerosissimi, rissosi, con ideali e abitudini di vita che erano quelli dell'alta nobiltà. Non c'era che un mezzo per tener assieme questi elementi sparsi e disordinati: la guerra di religione contro gl'Infedeli. Questa sì era l'idealità che li univa; la corona stessa era in funzione di questa missione; e infatti i re più bellicosi poterono far tacere le discordie interne, laddove i re pacifici, volti all'opera di raccoglimento interno, videro attraversati i loro piani dallo spirito ribelle dei sudditi.
Inutile, qui, seguire nei particolari questa vicenda che, si può dire, non ha tregua che con la cacciata definitiva dei Mori nel 1492. La lotta contro gl'Infedeli ha i suoi punti salienti sotto Alfonso VII, che fa una razzia fino a Cadice (1133), e sotto Alfonso VIII, che conquista Cuenca (1178) e nel 1194 si spinge fino al mare di faccia all'Africa; ma l'anno seguente Ya‛qūb ibn Yūsuf passa in Europa e batte il re castigliano ad Alarcos e minaccia i confini; solo l'eroica difesa della fortezza di Salvatierra e l'intervento di Aragona, Navarra e Portogallo permisero la riscossa cristiana di Las Navas de Tolosa (1212). Da allora la conquista castigliana procede spedita: nel 1236 cade Cordova, nel 1247 Siviglia; l'emiro di Murcia deve riconoscersi vassallo, così quello di Granada. Non mancano, anzi sono numerosissime, le insurrezioni dei mori, al tempo del debole Alfonso X che nella guerra intestina non rifugge, come del resto i suoi nobili, dal ricorrere a emiri arabi: ma l'Andalusia è e resta ormai un saldo possesso castigliano; gli aiuti musulmani dell'Africa sono sempre più radi; l'intera liberazione della penisola dal dominio arabo è questione di tempo: nel 1344 Alfonso XI prende Algesiras e muore di peste sotto gli spalti di Gibilterra. Non resta che Granada in mano ai Mori, ma battuta da tutte le parti, in vassallaggio dei re castigliani, senza più stretti contatti con l'Africa, ora che i Castigliani sono sulle coste e posseggono una forte flotta.
Contrasti interni castigliani nei secoli XIII-XV fino all'unione con l'Aragona. - Mentre si lottava per la liberazione della penisola dagl'Infedeli, fiere lotte interne travagliavano la Castiglia. Soprattutto la successione ereditaria, non ben fissata, era fonte e pretesto di lotte cruente fra i grandi signori del regno. Già Alfonso VII aveva, malauguratamente, diviso le due corone, di Léon e di Castiglia, fra i due figli: la prima a Fernando II, la seconda a Sancio III (1157-58) e da allora fino al 1230 i due regni restarono ancora separati e rivali. Inoltre a Sancio III succedeva un figlioletto quattrenne, Alfonso VIII (1158-1214) e fu buon motivo per i vassalli più potenti, i Castro, i Lara, per disputarsi la reggenza, per dividere il paese in due partiti; e il povero re fu preda ora dell'uno ora dell'altro, fino alla maggiore età, nel 1169; poi ebbe modo di mostrare la sua forza d'animo contro tutti e di condurre i suoi guerrieri alla più bella vittoria contro i Mori. Ma alla sua morte, da capo un minorenne, Enrico I (1214-17), che, per fortuna, muore presto, ed è rimpiazzato dal più glorioso dei re castigliani, Ferdinando III (1217-52); ma poi ecco Alfonso X el Sabio (1252-1284) troppo preso da sogni imperiali per badare alla situazione reale della Castiglia; e quindi il figlio e i nipoti (i de la Cerda) sollervarglisi contro e contendere per la successione. Ma prevalse il figlio Sancio IV il Bravo (1284-1295), al quale successero, per naturale eredità, Ferdinando IV (1295-1312), Alfonso XI il Vendicatore (1350-1349), e infine Pietro I il Crudele. (1359-1369).
In queste frequenti lotte interne non restavano spettatori assenti gli stati cristiani vicini, il regno d'Aragona e di Navarra specialmente, i cui re, per di più, erano variamente imparentati con la casa di Castiglia e trovavano in questo fatto infiniti pretesti per intervenire negli affari interni del regno, come dal canto loro i più forti re di Castiglia non perdettero mai occasione di fare lo stesso nei regni vicini. Tipico specialmente Alfonso VII; s'immischia in Aragona, le toglie Saragozza, si fa riconoscere dal re come signore feudale, e così dal re di Navarra e dal conte di Portogallo. Nel 1135 raduna a León un'assemblea che lo riconosce come imperatore; ma i suoi successori perdono gran parte di questa autorità: Sancio III rinunzia alla superiorità sui regni vicini, Alfonso VIII perde terreno di fronte alla Navarra e Alfonso vede entrare nella lotta, e contro di lui, una potenza, il re di Francia, che finora non aveva esercitata che scarsa o punta azione sulla Castiglia.
I disordini interni, aggravati dagli urti all'esterno, raggiunsero il massimo grado sotto il regno di Pietro il Crudele. Ne fu responsabile, per molta parte, il re, con quel suo carattere spietatamente sanguinario e mollemente sensuale, trascinato or qua or là dai cortigiani (l'Albuquerque, ecc.) e dalle molte donne alle quali si unì in matrimonio; ma in parte anche i pretendenti della corona, i figli naturali di Alfonso XI (Enrico di Transtamare e Fadrico), che tramavano fra i nobili indigeni e i re contermini, specialmente l'Aragona. Anche le città, come Toledo, presero, questa volta, viva parte alla lotta fratricida, e questa volta attorno alla Castiglia si formò una coalizione già quasi europea (1364-1368): sintomo dell'importanza che, pure in periodi così travagliati, quel regno aveva raggiunta. Da un lato Castiglia, Inghilterra, Portogallo; dall'altro Aragona, con il pretendente Enrico di Transtamare, e Francia con le formidabili compagnie d'armi del du Guesclin. Se la Castiglia non andò sommersa fu specialmente perché il vincitore, Enrico II di Transtamare (1368-1379), seppe sia sventare le cupidigie dei suoi alleati, sia soffocare le ribellioni disgregatrici della nobiltà castigliana. Anche il figlio e successore di lui, Giovanni I (1379-1390), senza essere un grande sovrano, seppe mantenere l'integrità del regno, minacciata dal pretendente inglese duca di Lancaster, anche se non gli riuscì, secondo sperava, di riunire pacificamente, per eredità, il Portogallo; così il figlio Enrico III (1390-1406), che arrivato alla maggiore età seppe sottrarsi all'interessata tutela della nobiltà, a cui ora si aggiungevano anche l'alto clero e i maestri dei grandi ordini cavallereschi. Ma gli sconvolgimenti si aggravarono sotto i due ultimi re di Castiglia, Giovanni II (1406-1454) ed Enrico IV l'Impotente (1454-1474). Giovanni II nei suoi primi anni poté valersi della saggia e benevola tutela di suo zio Ferdinando, divenuto re di Aragona; ma dopo la morte di questo (1416), il giovane re dovette subire le violenze del cugino don Enrico d'Antequera e se volle sottrarvisi gli fu mestieri cadere sotto l'interessata protezione del connestabile don Alvaro de Luna e dell'altro cugino don Juan, divenuto poi re di Navarra; onde guerre anche con la Navarra e con l'Aragona, dove pure regnava un parente stretto di Giovanni II. In più di un momento il re fu, virtualmente. prigioniero dell'una e dell'altra parte, finché don Enrico cadde morto (1445); finalmente alcuni anni di pace, in cui il connestabile, più tardi ricompensato dal re, per i suoi grandi servigi, col patibolo, poté governare per il bene del paese. Ma dopo la morte di Giovanni II, ecco il regno cadere al grado più basso con Enrico IV l'Impotente. vero zimbello senza dignità in mano di cortigiani (Juan Pacheco e Beltrán de la Cueva); il paese non lo tollerò più quando il re volle imporre come erede Giovanna, sua supposta figlia, detta, con chiara allusione alla vera paternità, la Beltraneja; un forte partito contrario gli contrappose come erede, prima il fratello Alfonso, e morto questo (1468) la sorella Isabella. Il re promise di accettare, poi ritirò la promessa; ma il paese, rappresentato all'assemblea di Guisando, aveva già fatto la sua scelta: alla morte del re, Isabella era riconosciuta regina. Non mancarono le resistenze armate, sia del marchese di Villena, che era stato onnipotente sotto Enrico, sia del re di Portogallo, sostenitore della Beltraneja. Ma a sua volta Isabella era sostenuta da Ferdinando, dal 1472 suo marito e dal 1480 re d'Aragona; così, pur restando i due regni, finché vissero los reyes, idealmente e amministrativamente distinti, in realtà i due regni erano riuniti e con ciò era unificata la quasi totalità delle terre spagnole. Il resto è la storia del regno di Spagna (v.).
Bibl.: Le fonti e la bibl. sono in gran parte comuni alla storia spagnola, per la quale v. sotto la voce spagna.
V. tavv. CXXV e CXXVI.