CASTELLO, Giovanni Battista, detto il Bergamasco
Figlio di Giovanni Maria, nacque a Gandino (Bergamo) verso la fine del sec. XV come indicano le fonti più antiche (Soprani-Ratti, Tassi) e le affermazioni del Palomino (1714), che lo dice morto “de credida edad” e del Guarienti (in Orlandi, 1774), secondo il quale morì “in età di anni 80, come dal suo deposito in Madrid”. Fu pittore e architetto. Sono rimasti ignoti sia il periodo sia le circostanze del suo arrivo a Genova e la prima fase della sua attività, di cui si possiede soltanto il racconto piuttosto romanzato del Soprani (arrivo a Genova “giovanetto” con il pittore Aurelio Busso; “abbandono” da parte di questo; protezione del nobile Tobia Pallavicino che, “vista la virtuosa inclinatione del povero studente”, lo manda a Roma a studiare a sue spese).
La prima notizia documentata che abbiamo della presenza dell’artista a Genova si trova soltanto nel 1552, anno in cui è console dell’arte dei pittori insieme con Nicolò Vespasiano (Genova, Arch. del Comune, Registri dei Padri, Atti, f. 21, doc. 251). A questa data aveva con tutta probabilità già eseguito gli affreschi di Bergamo: nella cappella Colleoni (distrutti nel sec. XVIII per far posto agli affreschi del Tiepolo e citati dal Pasta, 1775, p. 29); nell’oratorio del Gesù a S. Maria delle Grazie (il Cristo portacroce della lunetta esterna, oggi all’Accademia Carrara); nella casa Lanzi a Gorlagó (le Storie di Ulisse del salone, oggi nel palazzo della prefettura di Bergamo). Non si sa invece quali opere avesse compiuto a Genova per ottenere la carica di console, che presupponeva un certo grado di notorietà e, trattandosi di maestro forestiero, un periodo piuttosto lungo di attività e residenza in città. È probabile comunque che egli già godesse della protezione del Pallavicino, importante figura di finanziere a livello europeo, e avesse compiuto un utile soggiorno a Roma, tornandone con una cultura figurativa e architettonica eccezionalmente ampia per l'ambiente genovese, e tale da permettergli di soddisfare le esigenze di fasto e di prestigio della nobiltà mercantile protagonista di lì a poco del rinnovamento edilizio della città.
Dalla fine del sesto decennio in poi il C. lavora a Genova a pieno ritmo.
Le due prime opere di grande impegno, entrambe per il suo mecenate, sono l’esecuzione e il coordinamento della decorazione ad affresco all’interno della villa – detta in seguito delle Peschiere – che questi si era costruito fuori porta (Storie di Perseo, Storie di Apollo e Diana al piano nobile; Storie di Apollo e grottesche a pianterreno, 1558-60 circa), e la progettazione e decorazione del palazzo di città in Strada Nuova, oggi sede della Camera di commercio (Divinità mitologiche, grottesche e Il Parnaso a pianterreno; Apollo e le Muse e stucchi dorati nella loggia del piano nobile, 1558-61 circa). Nel primo caso una libera interpretazione di temi romano-raffaelleschi, ispirata alla decorazione della Famesina e aggiornata sulle soluzioni più recenti dell’Italiq settentrionale, in accordo con la chiarezza dello spazio architettonico ideato da Galeazzo Alessi; nel secondo, un autentico esempio di manierismo architettonico, nel netto prevalere dell’elemento decorativo – che tende ad animarsi vitalisticamente – sulle strutture, derivate da prototipi alessiani ma intese soprattutto come supporto della decorazione e in essa riassorbite.
Contemporaneamente, sempre con funzioni direttive e coordinatrici, il C. è impegnato (1558-59) insieme con Luca Cambiaso a S. Matteo, chiesa gentilizia dei Doria, dove prosegue l’opera di decorazione e sistemazione interna delle antiche strutture iniziata un decennio prima dal Montorsoli (si deve a lui, oltre al disegno generale della decorazione delle tre navate, l’esecuzione del medaglione ad affresco della seconda campata con la Vocazione di s. Matteo), e nel palazzo di Vincenzo Imperiale a Campetto, costruito da Bernardino Cantone forse su sue indicazioni, dove esegue ancora con la collaborazione del Cambiaso gran parte della decorazione esterna ed interna a stucco ed affresco (Divinità sulla facciata, grottesche nell’atrio, Storie mitologiche in tre stanze del primo piano, oggi quasi illeggibili, e Storie di Cleopatra, distrutte).
L’opera al servizio del Pallavicino e documentata da un atto del 1561 (pubbl. in Alizeri, IV, 1876, pp. 128 s.), relativo alla fornitura di tutti gli ihfissi del palazzo di Strada Nuova.
Il C., che evidentemente coordina in questa fase dei lavori l’esecuzione di tutti i dettagli di finitura, vi compare indirettamente e con funzioni direttive. Si può quindi pensare che il suo lungo rapporto con il “mecenate” sia stato del tipo che verrà detto nel Seicento di “servitù particolare”; rapporto che comprendeva stipendio mensile e spesso alloggio in casa del committente e rendeva superflua la presenza di regolari contratti tra questo e l’artista alle sue dipendenze. I contratti, corredati spesso di clausole molto severe, iniziano infatti a comparire regolarmente non appena il C. ha portato a termine gli incarichi affidatigli dal Pallavicino e dagli amici di questo, come l’Imperiale; e si tratta nella maggior parte dei casi di impegni gravosi, che si susseguono e si sovrappongono con ritmo incessante (tutti i documenti relativi all’attività genovese sono accuratamente elencati in Poleggi, pp. 453 s.).
Nel giugno del 1561 l’artista promette a Taddeo Spinola di eseguire entro l’anno un’ancona per l’altar maggiore della chiesa di S. Sebastiano, per la quale fornisce anche il disegno della cornice; nel gennaio del 1562 si impegna con A. M. Grimaldi ad eseguire entro due anni l’intera decorazione della cappella di famiglia in S. Francesco di Castelletto, comprese l’ancona dell’altar maggiore e le tavole a olio delle pareti laterali; nell’agosto del 1563 si impegna con Battista Grimaldi a decorare entro un anno il presbiterio della SS. Annunziata di Portoria con affreschi e stucchi sulla volta e tele a olio sulle pareti; nel giugno del 1565 firma altri due contratti per la decorazione di una cappella in S. Caterina di Luccoli e l’esecuzione di una pala d’altare per la chiesa di S. Benigno; nel luglio del 1566 si impegna a decorare una cappella in S. Nicolò del Boschetto.
Agli impegni in qualità di pittore si affiancano inoltre quelli – più difficilmente valutabili nella loro portata perché noti soltanto attraverso citazioni indirette dei documenti – dell’architetto, continuamente presente nei principali cantieri di Strada Nuova e delle zone residenziali suburbane, sia come consulente e fornitore di idee e disegni per elementi architettonici (nel palazzo di Tommaso Spinola in salita S. Caterina, per il quale disegna nel 1560 il portale; nel palazzo di G. B. Spinola, oggi Doria, in Strada Nuova, n. 6, per il quale fornisce nel 1564 il disegno quotato di sedici colonne; nella villa di Battista Grimaldi a Sampierdarena, di cui dirige dal 1565 i lavori di finitura fornendo disegni di porte e balaustre) sia come vero e proprio architetto in senso moderno, come sembra sia avvenuto almeno nel caso del palazzo di Nicolosio Lomellino in Strada Nuova, n. 7, oggi Podestà, costruito da Bernardo Cantone sotto la sua direzione (1563-65).
Un edificio caratterizzato da un originale atrio ovale a pianterreno collegato a un cortile concluso da ninfeo, e rivestito da una facciata con figurazioni zoomorfe e antropomorfe a rilievo, che conclude in senso nettamente manierista le esperienze architettoniche iniziate con il palazzo di Tobia Pallavicino e orientate a risolvere in senso pittorico e scenografico i problemi di spazio e articolazione delle strutture poste dall’ambiente urbano.
Degli impegni assunti dopo il 1561, il C. riuscirà a portarne a termine solamente due, i primi in ordine di tempo: la grande tela, ammiratissima, di S. Sebastiano (che esiste tuttora, gravemente danneggiata, nel monastero delle agostiniane a Capo S. Chiara), e la decorazione della cappella Grimaldi in S. Francesco (perduta in seguito alla demolizione della chiesa, ma citata con molte lodi dalle fonti più antiche). Incompiute rimasero invece la decorazione del coro dell’Annunziata e quella della cappella Lercari in duomo, dove il C. eseguì soltanto gli affreschi e gli stucchi della volta lasciando (o costretto a lasciare) il resto a Luca Cambiaso, e la tela di S. Benigno per la chiesa omonima, terminata da Battista Perolli (dispersa). Mentre non vennero probabilmente neppure iniziate – a causa della sua partenza da Genova – la decorazione della cappella in S. Caterina, non menzionata dalle fonti antiche, e la decorazione per la chiesa del Boschetto, di cui conosciamo soltanto il contratto.
Considerando il fatto che nei principali contratti stipulati dal C. era previsto il pagamento di forti penali nel caso non avesse rispettato le scadenze fissate, o non avesse soddisfatto il committente, possiamo senz’altro accettare l’affermazione del Soprani, che indica nelle difficoltà economiche e nei “non pochi debiti” la causa principale della “fuga” improvvisa dell’artista in Spagna. Anche se la partenza venne con tutta probabilità accuratamente preparata e preceduta da qualche promessa o invito ufficiale. Contatti tra il C. e la corte spagnola prima del 5 settembre del 1567, data della sua assunzione come pittore e architetto di corte di Filippo II, erano infatti già avvenuti in almeno due occasioni: quando egli aveva fornito il progetto del palazzo del marchese di Santa Cruz a El Viso nel 1564, e quando aveva disegnato nel dicembre dello stesso anno due sarcofagi per don Luis de Requensens. In questo ultimo contratto (cit. in Poleggi, p. 954), tra l’altro, compare come testimone il nobile genovese Baldassarre Lomellino, il quale è anche l’ultimo committente genovese del Castello (per il suo palazzo in Strada Nuova, oggi Campanella, eseguì nel 1566 la decorazione del salone, distrutta per lasciar posto a quella settecentesca del Tagliafichi, e le Storie di Didone ad affresco in un salotto, entro riquadri e cartigli), ed è probabile che proprio il Lomellino, che aveva casa a Madrid e teneva stretti rapporti d’affari con l’ambiente spagnolo, sia stato l’intermediario nella fase conclusiva delle trattative.
Alla corte di Spagna, dove giunse con un’équipe di stuccatori e doratori, i compiti del C., come al solito molto vasti, prevedevano opere di pittura e preparazione di “trazas y modelos” per il monastero dell’Escorial e le residenze reali di El Pardo, Madrid, Segovia, Aranjuez e Toledo (Madrid, Arch. del palazzo reale, Reales Cedulas, III, f. 67; pubbl. parzialm. in Ponz). In pratica sappiamo che fu attivo soprattutto all’Alcázar di Madrid e in particolare nella “torre nueva”, dove diresse nel 1569 la decorazione architettonica e pittorica di vari ambienti (successivamente distrutti da un incendio). Sui lavori, e sulla loro prosecuzione alla morte del C., esiste in Spagna una ricca documentazione (Madrid, Archivio del palazzo reale; Simancas, Archivio generale). Più incerte sono invece la sua partecipazione alla decorazione della stanza di Perseo nel palazzo di El Pardo in collaborazione con Gaspar Becerra – dove il suo intervento, se ci fu, dovette limitarsi alla progettazione della decorazione a stucco – e la paternità della “escalera principal” nel monastero dell’Escorial, a lui attribuita dalle fonti spagnole più antiche.
Il C. morì improvvisamente a Madrid il 3 giugno 1569.
“Oy fallescio Juan Baptista bargamasco y a mi me a pesado de ello por que Su Magestad perdio en el un buen ministro.
Dios lo tenga en su gloria”, scrive lo stesso giorno “el licenciado” Ortega al segretario del re (Simancas, Archivio generale, Casas y Sitos Reales, leg. 273).
Il figlio Fabrizio (nato a Genova poco prima del 1560) e il figliastro Niccolò Granello (figlio di primo letto della moglie Margherita e del pittore Niccolosio Granello) furono entrambi pittori di corte.
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, VI, pp. 153-155, si veda: R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi, Genova 1674, pp. 38 s.; A. Palomino, El Parnaso Español (Madrid 1714), in F. J. Sánchez Cantón, Fuentes literarias para la Historia del Arte Español, II, Madrid 1933, pp. 20, 26, 59; A. Ponz, Viaie de España, Madrid 1772, pp. 178 s., 188, 189; P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, a cura di P. Guarienti, Venezia 1774, p. 269; A. Pasta, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo 1775, pp. 29, 108; C. G. Ratti, Instruz. di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura e architettura, Genova 1766, pp. 12, 29, 214, 219, 223-25, 240 s., 245, 273, 277, 294; 2 ediz., ibid. 1780, pp. 51, 241, 245, 249, 273, 279, 304, 307, 317, 318 s.; R. Soprani-C. G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori e architetti genovesi..., I, Genova 1768, pp. 402-407; F. M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi [1793], I-II, Milano 1969-70, ad Indicem; J. A. Ceán Bermudez, Dicc. hist. de los más illustres Profesores de las Bellas Artes en España, I, Madrid 1800, pp. 278-280; F. Alizeri, Guida artist. per la città di Genova, Genova 1846, I, pp. 41-43; II, ibid. 1847, pp. 352, 417, 464-467, 576-586, 611 s., 718-720; Id., Guida illustr. del cittad. e del forastiero..., Genova 1875, pp. 14, 29 s., 101, 145, 182, 201, 511, 720; Id., Notizie dei Professori del disegno in Liguria, II, Genova 1872, pp. 460-474; IV, ibid. 1876, pp. 128 s.; VI, ibid. 1880, pp. 127, 136; M. Labò, Studi di archit. genovese: palazzo Carrega, in L’Arte, XXV (1922), pp. 70-75; Id., G. B. C., Roma 1925; Id., La villa di Battista Grimaldi a Sampierdarena e il palazzo d’Oria in Strada Nuova, in L’Arte, XXVIII (1925), pp. 271-280; XXIX (1926), pp. 52-55; G. Rouchés, Les peintres d’origine italienne à Madrid au début du XVIIe siècle, in Etudes italiennes, 1931, n. 2, pp. 69 s.; J. Zarco Cuevas, Pintores italianos en S. Lorenzo..., Madrid 1932, p. 29; A. Venturi, Storia dell’arte ital., IX, s, Milano 1934, pp. 811-813; A. Griseri, Una traccia per il Cambiaso, in Paragone, VII (1956), 75, pp- 24-29; P. Rotondi, Note sul Cambiaso e sul Bergamasco in S. Matteo a Genova, in Arte lombarda, IX (1964), 1, pp. 115-124; L. Grossi Bianchi, in Le ville genovesi (catal.), Borgo San Dalmazzo 1967, pp. 154, 421; E. Poleggi, Strada Nuova, una lottizzaz. del Cinquecento a Genova, Genova 1969, ad Indicem; Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti, Genova, Strada Nuova, Genova 1967, pp. 147 s., 171-181, 271-273; G. Rosso Del Brenna, G. B. C. il Bergamasco nella villa delle Peschiere, in Arte lombarda, XIV (1969), 2, pp. 111-118; M. Roethlisberger, European Drawings from the Kitto Bible (catal.), San Marino, California, 1969, p. 4; F. Caraceni Poleggi, in La Pitt. a Genova e in Liguria dagli inizi al Cinquecento, Genova 1970, pp. 241-264; P. Torriti, ibid., pp. 217-220; G. Rosso Del Brenna, Le storie di Ulisse di G. B. C. a Bergamo, in Arte lombarda, XVII (1972), 2, pp. 108-110, 130-133; Id., Il ruolo di G. B. C. il Bergamasco, in G. Alessi, Atti del Convegno internaz., Genova 1974, pp. 619-24; C. Wilkinson, Il Bergamasco e il palazzo a Viso del Marqués, ibid., pp. 625-630; Invent. dei disegni ital. della Bibl. naz. di Madrid, Madrid 1974, p. 36; T. Clifford, G. B. C.’s designs for the “Cupid and Psyche” tapestries, in The Burlington Magazine, CXVII (1975), pp. 234-238; P. H. Heydenreich-W. Lotz, Architecture in Italy 1400-1600, Harmondsworth 1974, ad Indicem; I pittori bergamaschi dal XIII al XIX sec., G. Rosso Del Brenna, Il Cinquecento, II, Bergamo 1976, pp. 379-487; L. Ferrarino, Dizionario degli artisti italiani in Spagna, Madrid 1977, pp. 74 ss.