CASTELLO, Castellino da
Nacque a Menaggio, nella diocesi di Como, da Francesco e da Elisabetta Merli, all’incirca tra il 1479 e il 1480. Venne ordinato sacerdote e fu cappellano della chiesa dei SS. Giacomo e Filippo, a Milano, vicino a porta Nuova. Questo è tutto quello che sappiamo sulla sua vita fino al 1536, anno in cui fondò nell’oratorio della sua chiesa, insieme con un gruppo di laici, una scuola festiva nella quale insegnava a ragazzi e ragazze del popolo la dottrina cristiana, nonché a leggere, scrivere e far di conto. Scuole di questo genere mancavano praticamente del tutto a Milano, e l’iniziativa del C. incontrò molto favore e si estese rapidamente: al gruppo originario si aggiunsero altri collaboratori, vennero aperte nuove scuole e si cominciò ad ammettervi anche gli adulti. Per organizzare ed amministrare questa attività il C. creò nel 1539 una confraternita, che prese il nome di “Compagnia della Reformatione Christiana in Charità”, e di cui egli venne eletto priore generale.
La nascita di quest’opera va inserita nella atmosfera di zelo religioso che in quegli anni si risvegliava anche a Milano, come un po’ ovunque in Italia. Nel 1534 Gerolamo Emiliani aveva iniziato in questa città l’assistenza agli orfani, seguita da quella alle convertite, e nel 1537 vi venne stabilita definitivamente la pratica delle quarantore. Questo zelo religioso nasceva come reazione in buona parte stimolata dalla Riforma alla corruzione del clero e alla decadenza della vita religiosa dei laici, e si concretizzava nel rifiorire delle pratiche liturgiche, in varie opere di carità, nella fondazione di nuovi ordini e confraternite. Si preparavano così gli elementi che la Chiesa cattolica avrebbe di lì a poco coordinato e sviluppato nella struttura della Controriforma.
Il C. non si curò di chiedere l’approvazione dell’autorità ecclesiastica per la sua opera: questo fatto, nonché il nome audace della confraternita e la partecipazione dei laici all’insegnamento religioso suscitarono un sospetto d’eresia in mons. Giovanni Maria Tosi, vicario dell’arcivescovo Ippolito d’Este, che nel febbraio 1540 ingiunse alla Compagnia di sospendere l’attività. Il C., convocato, poté tuttavia fornire i chiarimenti necessari, ed ottenne così la prima approvazione ufficiale. Comunque nel 1546 la confraternita cambiò il nome in quello di “Compagnia dei Servi di Puttini in Charità”.
Il C. ne scrisse le regole e compose un catechismo a domanda e risposta per l’uso delle scuole. Le regole vennero pubblicate a Milano nel 1555 con il titolo: Questa è la Regola de la Compagnia dei Servi di Puttini in Charità, che insegna le feste a puttini et puttine legere, scrivere et li boni costumi christiani gratis et amore Dei, principiata in Milano in l’anno 1536. Il catechismo deriva da quello pubblicato nel 1534 dal domenicano Tommaso Reginaldo su incarico di Gerolamo Emiliani. La prima edizione che ne conosciamo è quella stampata a Venezia nel 1552 con il titolo: Interrogatorio del maestro al discipulo per instruir i fanciulli, et quelli che non sanno, nella via di Dio, Novamente ridutto alla riformation christiana. Vi è premesso il Modo d’insegnare il vivere christiano, et particolarmente a putti et putte, nel qual si contengono le cose che è obligato di sapere, et osservare ogni fidel christiano.
L’elemento più interessante di queste scuole è il fatto che all’insegnamento religioso fosse affiancato quello elementare, e che esso fosse esteso anche alle ragazze. Ma dalla lettura delle regole si comprende chiaramente come l’insegnamento elementare avesse soltanto un carattere accessorio: infatti gli alunni dovevano imparare diligentemente il catechismo prima di essere ammessi allo studio dell’abbiccì e dell’abbaco. E proprio questa parte dell’insegnamento venne in seguito abbandonata.
Come lo sviluppo delle scuole a Milano, egualmente rapida fu l’espansione della Compagnia fuori del suo centro d’origine: questo dato caratteristico prova quanto largamente fosse avvertita l’esigenza di un insegnamento religioso popolare. In molti casi i vari confratelli si recarono. di propria iniziativa a fondare le scuole in altre città, in altri vennero espressamente invitati dalle autorità ecclesiastiche locali, altre volte ancora le scuole sorsero in maniera autonoma, collegandosi poi alla Compagnia di Milano. Nel giro di pochi anni si formò così nell’Italia settentrionale una rete di confraternite che facevano capo a quella di Milano; ecco le tappe di questa espansione: nel 1538 Pavia; nel 1541 Genova, Verona, Vigevano e Piacenza; nel 1542 Mantova e Parma; nel 1545 Lodi; nel 1547 Cremona; nel 1550 Varese; nel 553 Novara; nel 1554 Bergamo e Brescia; nel 1560 Roma; nel 1562 Monza, Asti ed Ascoli; nel 1563 Desio, Belgioioso, Savona, Torino e Ferrara; nel 1565 Como.
Le scuole di Genova furono fondate personalmente dal C.: già vecchio, egli si sottopose alla fatica di numerosi viaggi nel corso dell’inverno, che danneggiarono gravemente la sua salute. Si ammalò di ernia e fu colpito da un’affezione agli occhi che lo rese presto cieco. Malgrado questa menomazione, collaborò anche alla istituzione delle scuole a Varese, nel 1550.
Intanto il problema dell’istruzione religiosa popolare venne affrontato dal concilio di Trento, che ne stabilì la diffusione in tutto il mondo cattolico. Nella quinta sessione, del 17 giugno 1546, si sancì l’obbligo di insegnare in tutte le parrocchie la dottrina cristiana ai fedeli nei giorni festivi; nella ventiquattresima, dell’11 nov. 1563, si ribadì l’obbligo di insegnare in particolare ai ragazzi. L’opera del C. diveniva così una delle istituzioni basilari della Chiesa cattolica.
La Compagnia milanese fu approvata solennemente il 28 ott. 1559 da mons. Falco Caccia Castiglione, nuovo vicario dell’arcivescovo Ippolito d’Este, con il privilegio dell’esclusiva di fondare le scuole nella diocesi.
Priore generale a vita dal 1554, il C. dal 1558 fu costretto a letto dall’aggravarsi dell’ernia. Si spense a Milano il 21 sett. 1566, e fu sepolto nel duomo.
Alla sua morte nella sola Milano si contavano trenta scuole. Esse furono riorganizzate dal nuovo arcivescovo, Carlo Borromeo, che, applicando i decreti conciliari, ne ordinò la diffusione in tutte le parrocchie della diocesi, abolendo però le scuole annesse di abbiccì e di aritmetica, di cui sopravvisse soltanto quella del duomo.
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