ANDALÒ, Castellano
Della celebre famiglia bolognese, zio di Brancaleone, benché all'incirca coetaneo, si trovava a Treviso come podestà, quando venne chiamato a succedere al nipote in qualità di senatore di Roma nel 1258. Al momento della chiamata a Roma, chiese anch'egli preventivamente la consegna di alcuni ostaggi, che fece custodire in Bologna, La sua nomina denota chiaramente il valore che i Romani attribuivano all'azione svolta da Brancaleone e il loro intento di continuarla. In realtà, solo il completamento della spedizione contro Corneto, che si era interrotta per la morte di Brancaleone, può dimostrare la tendenza dell'A. ad attuare questa continuità. Da nessun altro elemento si può argomentare che l'A. sia stato all'altezza del compito che si era preteso di affidargli. Nel novembre del 1258, e cioè soltanto pochi mesi dopo la sua chiamata, una nuova insurrezione abbatteva il suo senatorato, ripetendo quanto già era avvenuto durante il primo periodo di governo di Brancaleone (1255). Anche questa volta l'incolumità dell'A. fu salvaguardata in virtù degli ostaggi che egli aveva lasciato in mano ai suoi concittadini bolognesi; altri Romani vennero anzi imprigionati a Bologna e aggiunti al loro gruppo. Si inviarono ambascerie al papa per ottenere l'immediata scarcerazione dell'Andalò. Sembra tuttavia che questi non venisse liberato fino al 1260.
Lo scarso rilievo della sua personalità è indicato anche dal modo con cui egli sfruttò il possesso degli ostaggi rimasti a Bologna: non li fece restituire finché i Romani non lo ebbero liberato e finché non gli ebbero versato integralmente lo stipendio che gli era dovuto per i pochi mesi dei suo ufficio di senatore.
Bibl.: E. Dupré Theseider, Roma dal comune di popolo alla signoria Pontificia, Bologna 1952, pp. 55-57 e passim.