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DE LIETO, Casimiro

di Giuseppe Masi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)
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DE LIETO, Casimiro

Giuseppe Masi

Nacque a Roccella Jonica (Reggio Calabria) il 4 apr. 1803 da Antonio e da Lucia Vuolo, oriundi della costiera amalfitana. La famiglia, di idee liberali, apparteneva a quella borghesia commerciale che accolse favorevolmente la nuova conquista francese del Regno. Amici del re Giuseppe Bonaparte, ospite a casa loro durante una visita in Calabria nel 1806, dovettero trasferirsi a Reggio Calabria perché presi di mira da bande brigantesche che infestavano la zona. Nel capoluogo il D. seguì i suoi primi studi sotto la guida di due illuminati canonici, G. Paturzo e G. Battaglia, il quale, in particolare, seguace del Genovesi e autore di numerosi opuscoli liberali, sequestrati dalla polizia, fu anche il maestro di quasi tutta la gioventù studiosa reggina.

Nel 1821, durante il regime costituzionale, il D., che si trovava a Napoli per motivi di studio, fu in stretto contatto con i carbonari napoletani, ma, sopravvenuta la reazione, per ragioni di sicurezza, fu costretto ad emigrare all'estero e a soggiornare, a lungo, in diversi paesi europei. Da Parigi, dove intraprese lo studio della lingua francese, a Londra, dopo una breve sosta nelle Antille, tappa obbligata di un non fortunato viaggio in America.

Nella capitale inglese si fermò per circa dieci anni, fino al 1833. "In questi viaggi - sostiene uno studioso del Risorgimento calabrese - non solo divenne esperto in varie lingue e nelle discipline economiche e finanziarie, ma fu strenuo giornalista nel partito dei whigs ed ebbe occasione di stringersi in amicizia con i profughi italiani più noti come il Mazzini, l'economista Pecchio, il colonnello Poerio, il conte Ricciardi". (V. Visalli, Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848), Catanzaro 1928, p. 46).

Durante la rivoluzione del luglio 1830 il D. si era recato a Parigi, nella speranza che si creassero condizioni favorevoli per un intervento francese in Italia. Ma poi, deluso, rientrò nella capitale inglese.

Ottenuto dal Comitato di Londra l'incarico di creare nuovi comitati mazziniani, il D. il 25 maggio 1833, partì alla volta dell'Italia. Dopo aver toccato Parigi, Ginevra, Milano, Bologna, Firenze e Roma, allacciando vari contatti, si stabilì a Napoli per porre le premesse di un comitato; ma vi rimase poco tempo, in quanto la polizia, sospettosa dei suoi rapporti con i liberali napoletani, il 2 agosto gli intimò di lasciare entro dieci giorni la città partenopea per l'estero o per Reggio Calabria, dove rientrò, così, dopo undici anni.

A Reggio sposò Caterina Cavassa, figlia di Simone, grosso commerciante genovese, che al tempo dei Francesi si era stabilito nella città dello stretto per i suoi commerci. Con questo matrimonio, dal quale nacquero cinque figli, Antonio, Simone, Ferdinando, Giovambattista e Lucia, il D. negli anni di esilio, trascorsi a Genova, poté condurre una vita più agiata, in quanto, accanto all'attività politica effettuata a favore dell'emigrazione meridionale, egli continuò a curare i suoi interessi commerciali, in ciò facilitato anche dai parenti della moglie.In questi anni il D., pur mantenendo una condotta cauta per non insospettire il governo, che per il prestigio di cui godeva lo nominò nel 1846 decurione municipale, riprese, tuttavia, i contatti con i liberali del luogo ed in particolare con il canonico P. Pellicano, notevole figura del liberalismo calabrese. I collegamenti allargati da una parte ai comitati napoletani e dall'altra a quelli siciliani coi quali si cercava di operare di conserva, portarono alla rivolta del 1847. Nella notte tra il 27 e il 28 agosto, dopo lunghi preparativi, si svolse, così, in casa De Lieto la riunione definitiva, nella quale si stabilì che le due città di Reggio e Messina dovessero sollevarsi insieme il 2 settembre.

Scoppiata la rivolta a Reggio, il D., che si assunse il compito di annunciare il proclama a tutte le province meridionali e alla Sicilia, fu tra i membri della giunta provvisoria di governo che venne formata e presieduta dal Pellicano. Il tentativo rivoluzionario, dopo un momentaneo successo e nonostante che fossero giunti in città ben settecento uomini armati, guidati dai fratelli Romeo, fu, anche per la defezione di Messina, in poco tempo represso dalle truppe borboniche, subito intervenute. Il 4 settembre, infatti, due navi da guerra e due colonne di truppa furono sufficienti a ristabilire l'ordine nella città. Il D. riuscì a fuggire ma alcuni giorni dopo, il 13 settembre, venne catturato a San Roberto in seguito al tradimento di Francesco M. Musolino.

Fu condannato a morte dalla commissione militare "col terzo grado di pubblico esempio" (28 sett. 1847). L'intervento della moglie che, avvalendosi di tutte le protezioni di cui poteva disporre, chiese direttamente la grazia al re Ferdinando II, riuscì a salvargli la vita. Ottenuta la commutazione della pena, fu rinchiuso nel bagno penale di Nisida e, successivamente, di Santo Stefano, mentre altri patrioti, per lo più figure di secondo piano e promotori della sollevazione nei paesi della provincia, vennero fucilati, perché la loro azione aveva costituito una minaccia diretta agli interessi dei grandi proprietari terrieri. Il D., tra i maggiori rappresentanti di quella borghesia commerciale cittadina, quasi tutta impegnata nel moto, con simpatie popolari, credeva nella forma costituzionale, quale unica panacea di tutti i mali della società e di ogni miglioramento economico e sociale, raggiungibile con forme che rispettassero l'ordine e la legalità e non attraverso estremismi rivoluzionari.

Liberato il 25 genn. 1848, in seguito all'amnistia concessa dal re, rimase a Napoli dove prese parte alla vita politica e, dopo un tentativo non riuscito di entrare nel gabinetto presieduto da C. Troya, fu nominato, con decreto dell'8 apr. 1848, ministro pienipotenziario nella delegazione napoletana che doveva partecipare a Roma al congresso per la costituzione di una lega italiana, che avrebbe dovuto realizzare forme di collaborazione politica e militare tra gli Stati italiani nel pieno rispetto delle singole sovranità. Eletto deputato per la provincia di Reggio Calabria, al secondo scrutinio, nelle elezioni del 2 maggio 1848 con 1.897 voti, il D. fu tra i protagonisti della giornata del 15 maggio a Napoli; dopo il fallimento del moto, nel quale i Calabresi ebbero grande parte, fu costretto a fuggire e a riparare dapprima a Malta e poi, dopo un lungo viaggio, ritornare, verso la fine del mese, a Reggio, dove insieme con altri patrioti reggini, i fratelli Plutino e Romeo, costituì il Comitato di salute pubblica con sede a Sant'Eufemia d'Aspromonte. Questo, fin dalla sua formazione, operò stentatamente sia per l'esiguità delle forze che raccolse intorno a sé sia per l'estremo ritardo col quale era stato messo insieme, in un momento in cui la situazione poteva dirsi compromessa essendo la provincia, isolata dalle altre due, quasi tutta presidiata dalle forze borboniche. Soffocato - quasi sul nascere - il moto, il D., già presidente del comitato, e tutti gli altri membri furono costretti a lasciare la Calabria e a prendere la via dell'esilio. Da Messina, dove insieme con la famiglia rimase fino a quando le truppe borboniche non occuparono la città, il D. si imbarcò da solo per Livorno e, nonostante avesse ottenuto un permesso di soggiorno per tre anni, preferì trasferirsi a Firenze, colà chiamato dagli amici.

Nel capoluogo toscano, il D., legato al movimento dei circoli popolari a carattere democratico e antimazziniano, fu eletto, nel marzo del '49, al posto di F. D. Guerrazzi che aveva optato per Livorno, deputato alla Costituente, dalla quale egli molto sperava, tanto da subordinare l'iniziativa meridionale alla riuscita di quell'esperimento che doveva portare alla fusione delle Assemblee della Toscana e di Roma. Il suo fallimento lo costrinse a lasciare la città e a stabilirsi a Genova (maggio 1849).

Nella città ligure, che in quegli anni ben si prestava alle cospirazioni rivoluzionarie, il D. esplicò, non senza un certo spirito clientelare, una notevole azione a favore dei rifugiati politici, mantenendo i contatti, aiutandoli finanziariamente (tra questi bisogna ricordare i calabresi B. Musolino e D. Mauro) e ospitando molti patrioti provenienti dalle regioni meridionali, come F. Angherà, combattente dei moti del '48 nel Catanzarese.

Tra i membri più in vista dell'emigrazione meridionale, il D., che si era orientato ormai verso il costituzionalismo borbonico sia pure con spirito radicale e non ostile all'alleanza con i repubblicani, si collocò nell'ambito della corrente cosiddetta "bandiera neutra", perché non propendeva né per il murattismo né per il mazzinianesimo, pur essendo d'altra parte convinto che, per la liberazione del Meridione, non bisognasse fare affidamento sulle grandi potenze, ma contare solo sulle proprie forze. Fu tra gli organizzatori del comitato creato per la spedizione di Sapri, nonché di un altro chiamato "la solidarietà nel bene" che aveva come scopo l'assistenza e il mutuo soccorso tra i soci, estensibili anche ad estranei.

Rientrato in Calabria alla fine del luglio 1860, il D. trovò un nuovo clima politico. La spedizione garibaldina nel Mezzogiorno, invece di favorire l'unione tra le varie fazioni del partito liberale, aveva esasperato i contrasti tra gli emigrati e i gruppi che avevano dato vita ai comitati del 1859. Lo scontro tra le due fazioni assunse toni alquanto aspri, in quanto, dagli iniziali conflitti ideologici sul modo di opporsi al dominio borbonico ormai declinante, l'avversione dei liberali nei confronti degli emigrati, considerati profittatori e non rispettosi delle necessità del paese, si trasformò in una lotta aperta per la conquista personale del potere. Il D. fu perciò indotto ad abbandonare ogni attività politica. Nominato componente della Commissione per i danneggiati politici, se ne occupò fino al 1862.

Negli ultimi anni della sua vita si ritirò a Firenze, dove morì il 28 genn. 1874.

Fonti e Bibl.: Roma, Museo centrale d. Risorgimento, Fondo De Lieto, bb. 172-75; Arch. di Stato di Reggio Calabria, Carte De Lieto. Sul D. il saggio più completo è: G. Morabito De Stefano, La famiglia De Lieto nel Risorgimento nazionale, in Rass. stor. del Risorg., XXV (1938), pp. 323-74. Pertinente ad un dato momento storico: V. Visalli, C. D. e la Lega italica del 1848, Roma 1919. Sulla sua partecipazione ai moti calabresi: Requisitorie ed atti di accusa del pubblico ministero nella causa degli avvenimenti politici del 15 maggio 1848, Napoli 1851, pp. 8, 22, 37, 52, 71; G. Ricciardi, Storia documentata della sollevaz. delle Calabrie del 1848, Napoli 1873, pp. 20-23, 30, 113, 157; P. Pellicano, Ricordi intorno al movimento politico di Reggio Calabria nell'anno 1847, Napoli 1879, pp. 25, 41, 62, 69, 88, 97, 100, 103 s., 116; V. Visalli, I Calabresi nel Risorg. italiano, II, Torino 1893, pp. 59, 64, 69, 71, 103, 117, 155, 213; O. Dito, La rivoluz. calabrese del '48, Catanzaro 1895, pp. 65, 110 s.; B. Musolino, La rivoluz. del 1848 nelle Calabrie, a cura di S. Musolino, Napoli 1903, p. 43; F. Fava, Il moto calabrese del 1847, Messina 1906, pp. 26, 38 ss., 42, 53, 57, 59, 63 s., 70, 102, 107, 116, 121 s., 147; E. Casanova, Svolgimento dell'idea e dei fasti nazionali nella Calabria Ultra prima, Roma 1912, pp. 22, 27-30, 32 s., 38, 40; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli, Milano-Roma-Napoli 1912, pp. 23, 121 s., 319 ss., 378, 381, 385; G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1921, pp. 52 ss., 71, 415 s., 479, 514; V. Visalli, Come fu ucciso D. Romeo, in Riv. critica di cultura calabrese, I (1921), pp. 35-53; Id., Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848), Catanzaro 1928, pp. 46 ss., 74-88, 90, 97, 118, 123, 126, 134; A. Basile, Valore e significato d'un moto: il 1847 nella Calabria reggina, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XVII (1948), pp. 35-54; A. Riggio, Un processo polit. del 1849 in Calabria Ultra, in Rass. stor. del Risorg., XXXVII (1950), pp. 438-445; R. Romeo, I liberali napol. e la rivoluzione siciliana del 1848-49, in Il 1848 nell'Italia meridionale, Napoli 1950, p. 131; G. Quazza, Il contrasto tra Torino e Napoli durante la guerra del '48, in Il 1848, cit., p. 172; D. De Giorgio, B. Musolino e il Risorg. in Calabria, Reggio Calabria 1953, ad Indicem; P. Alatri, La Calabria nel Risorg., in Almanacco calabrese, V (1955), pp. 17-32; A. Basile, I commissari arganizzatori durante il governo costituz. di Napoli nel 1848, Messina 1960, pp. 13 s.; G. Candeloro, St. dell'It. mod., III, Milano 1960, pp. 74 s., 241, 347 s.; IV, ibid. 1964, p. 231; N. Cortese, La Calabria nel Risorg. ital., in Atti d. 2° Congresso storico calabrese, Napoli 1961, pp. 1-15; G. Berti, I democratici e l'iniziativa meridionale nel Risorg., Milano 1962, ad Indicem; P. Pieri, Storia militare meridionale nel Risorg., Torino 1962, p. 473; G. Cingari, Romanticismo e democrazia nel Mezzogiorno. D. Mauro, Napoli 1965, ad Indicem; Id., Problemi del Risorg. meridionale, Messina-Firenze 1965, ad Indicem; D. De Giorgio, Figure e momenti del Risorg. in Calabria, Messina 1971, pp. 50, 57, 59, 61 s., 84, 90, 101, 105, 111 s., 115 s., 120 s., 127-30, 136-40, 145-51, 160 ss., 169, 216, 220, 233; R. Mascia, Ferdinando II e la crisi socio-economica della Calabria nel 1848, Napoli 1973, ad Indicem; G. Valente, La Calabria nella legislaz. borbonica, Chiaravalle Centrale 1977, p. 493. Sull'esilio a Genova: G. M. Monti, Dal carteggio ined. di Guglielmo Pepe, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, VII(1937), p. 40; A. M. Ghisalberti, Massimo D'Azeglio un moderato realizzatore, Roma 1953, p. 143; E. Morelli, Tre profili: Benedetto XIV P. S. Mancini P. Roselli, Roma 1955, pp. 81 s.; M. Ciravegna, L'emigraz. politica a Genova dalla caduta della Repubblica romana al moto di Milano del 1853 in L'emigr. politica a Genova e in Liguria dal 1848 al 1857, III, Modena 1957, pp. 467, 473; L. L. Barberis, Dal moto di Milano del febbraio 1853 all'impresa di Sapri, ibid., pp. 493-98, 585, 613, 618, 621; N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Milano 1958, pp. 151, 228 s., 374; F. Bartoccini, Il Murattismo. Speranze, timori e contrasti nella lotta per l'unità italiana, Milano 1959, ad Indicem; S. Rota Ghibaudi, L'emigraz. politica calabrese in Piemonte (1848-1860), in Calabria nobilissima, XIV (1960), 39-40, pp. 1-18 e in Atti d. 2° Congresso, cit., pp. 182-203.

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