CASIMIRO da Marsala
Nacque a Marsala nella famiglia Casani nell'anno 1676 ed entrò nell'Ordine dei cappuccini, probabilmente a Erice (Trapani), verso il 1695. Completati gli studi e ordinato sacerdote, insegnò successivamente teologia nei conventi di Caltanissetta' (1704). Marsala (1705), Trapani (1707), poi nuovamente a Marsala (1708-1710). Di questa attività è pervenuto, per mano del discepolo Girolamo da Polizzi Generosa, il testo di alcuni corsi di Theologia scholastica Scoti mente illustrata, in quattuor annos digesta, anni quattuor continentes quattuor Sententiarum libros, datato Trapani 14 luglio 1707 (Polizzi Generosa, Bibl. comunale, ms. B. 30). In seguito non si hanno di lui notizie fino al 1720.
Il silenzio è senza dubbio in rapporto con le vicende che accompagnarono il congresso di Utrecht (1713)e le rivendicazioni giurisdizionali della monarchia sicula, quando la Sicilia passò sotto il dominio di Vittorio Amedeo II di Savoia. L'osservanza dell'interdetto ecclesiastico lanciato sull'isola venne infatti scontata, particolarmente dai cappuccini, con la dispersione e l'esilio fin verso il 1720 (pace dell'Aia). È probabile che C. abbia continuato, indisturbato, il suo insegnamento a Marsala, ove non vigeva il provvedimento. Il suo nome non compare in ogni caso tra quelli dei numerosi religiosi che trovarono rifugio in Roma (Arch. Segr. Vaticano, Fondo Albani, vol. 58, f. 73), né tra quelli dei trentasei cappuccini, sui settecentoquarantatré che ne contava la provincia religiosa di Palermo, che nel febbraio del 1714 avevano violato l'interdetto.
Non solo la stima di profondo conoscitore del diritto ecclesiastico, che gli viene riconosciuta concordemente, ma la sua elezione a consigliere provinciale nel primo capitolo celebrato (14 giugno 1720) dopo la normalizzazione religiosa stanno sicuramente a provare la sua dissidenza dal regalismo siculo. Eletto ministro provinciale nel capitolo del 6 ag. 1721, si preoccupò, del resto, di reprimere gli abusi che la movimentata parentesi sabauda aveva favorito. Riconfermato ministro provinciale il 4 maggio 1725, allo scadere del mandato ricoprì diverse cariche minori, finché fu rieletto nel 1734 consigliere, poi (il 7 ott. 1740) ministro provinciale, riconfermato il 18 maggio 1742. Cessato l'incarico, dal 1744 si dedicò esclusivamente all'ufficio di qualificatore e di consultore dell'Inquisizione siciliana, occupata in quell'anno a indagare e a reprimere un insorgere di dottrine quietiste, che avevano già impegnato il tribunale inquisitoriale - per rimanere nel sec. XVIII - nel 1703, nel 1715, nel 1724.
Il quietismo siciliano sembra costituire uno degli "ultimi appariscenti bagliori" del moto (M. Petrocchi, Il quietismo italiano del Seicento, Roma 1948, p. 86). In realtà, le manifestazioni del 1744, per quanto appariscenti, interessarono poco la storia religiosa riguardando quasi unicamente la storia di costume o di malcostume sessuale, inferiori, per gravità e per diffusione, agli stessi casi denunciati e inquisiti negli anni precedenti (Saitta, pp. 473-476).
La denuncia esposta il 14 maggio 1744 riguarda infatti "alcuni confessori, secolari e regolari, i quali guidano varie anime che pretendono attendere alla santa perfezione, e dicono che patiscono molte molestie e violenze de' demoni, a segno tale che (dicono esse) sono sforzate a polluirsi colle proprie mani, contro la loro volontà", ricevendo perciò facili assoluzioni sacramentali come incapaci a resistere. L'inquisitore palermitano Angelo Serio, sentito il giudizio dei suoi colleghi inquisitori, nonché dei qualificatori e dei consultori, tra di essi anche C., in data 26 maggio successivo dichiarava "in pratica erronea, scandalosa e molinistica" tale dottrina, e, a nome del tribunale, incaricava. C. di stendere una confutazione sistematica.
Nelle sue prolisse Dissertationes mysticoscholasticae adversus pseudo-mysticos huius aevi, seu contra molinosios larvatos, che uscirono soltanto nel 1748 a Palermo, C. fa sfoggio di una larghissima erudizione ecclesiastica, contestando l'esistenza di tentazioni carnali irresistibili e, più decisamente ancora, che i demoni abbiano il potere di rendere incubi uomini o donne renitenti. Con la sua opera, impugnando al tempo stesso gli errori di M. de Molinos e di Fénelon, C. intese rendersi utile non solo ai confessori, ma anche ai penitenti. Di fatto, l'uso del latino, lastessa metodologia scolastica con continue allegazioni della Bibbia, dei Padri della Chiesa e della ragione, se fanno di queste sue Dissertationes una precisa testimonianza di una cultura, non recarono forse alla causa i servigi sperati. Poiché, se si escludono i confessori e i moralisti meno frettolosi, la maggioranza dei sacerdoti inquisiti e dei penitenti ingannati (composti in gran parte da "monache di casa") non poteva sicuramente essere attratta da una lettura scolastica. È notevole tuttavia che C. abbia colto, nella sua opera, anche l'opportunità di lottare contro i giansenisti, affermando decisamente il valore delle forze umane per fare "aliquid bonuni morale, absque auxilio gratiac" (p. 55).
Per combattere più radicalmente i circoli e le conventicole religiose sospette, C. pubblicava nel 1751-52 un'altra voluminosa opera, uscita in Palermo presso F. VgIenza in due volumi, intitolata Crisis mystico-dogmatica adversus propositiones Michaelis Molinos, nella quale esaminava e confutava le 68 proposizioni del Molinos che Innocenzo XI aveva condannato nel 1687. Per allontanare ogni pericolo, corredava questa sua fatica di un'Appendix critica mystico-dogmatica (Palermo 1752), in cui inseriva un Tractatus de amore erga Deum e impugnava sistematicamente le ventitré proposizioni di Fénelon, già condannate, nel 1699, da Innocenzo XII.
Inediti rimasero altri scritti di teologia morale: i Praetextus in peccatis contra decem praecepta Decalogi... reiecti ad mentem D. Thomae Doctoris Angelici, con le annesse Poenitentis excusationes, quibus eximitur ab onere denunciandi confessarium sollicitantem ad inhonesta (Palenno, Bibl. naz., ms. IX.E.18), e la Brevis et necessaria notitia pro confessariis, praesertim capuccinis (Ibid., ms. IV.B.7).
Le altre opere composte da C. nella solitudine del convento di Marsala sono dei trattati di religiosità pratica. Anche a non volervi vedere una sistemazione e un ampliamento di materiali predicabili (che C. fosse predicatore è affermato, ma non trova riscontri documentabili), sono interessanti in chiave di storia della fenomenologia religiosa del sec. XVIII; soprattutto il volume su La via di mezzo nel cammino della perfezione cristiana (Palermo 1753).
Diretto contro i "novatori", di cui "altri declinano alla sinistra della rilassazione, altri alla destra del troppo rigore", esso vuole additare la "via di mezzo, ch'è la via diritta insegnata da Cristo" (p. VIII). Coerente nell'affermare l'efficacia della volontà umana, in questo suo scritto più che in quelli precedenti, C. dava una mano al probabilismo dei molinisti, contro cui si dirigerà la lotta dei giansenisti italiani della seconda metà del sec. XVIII. Più che un esponente della tradizionale religiosità francescana, C. si palesa influenzato dall'etica gesuitica.Una riprova si può avere nei suoi ultimi scritti, e cioè Il mese contemplativo delle perfezioni divine (Palermo 1755) e Il tiepido di spirito ritirato per dieci giorni (ibid. 1756), che col dettare esercizi intellettuali. riflessioni morali, frutti pratici e preghiere richiamano una metodologia gesuitica, nonostante le frequenti citazioni di autori francescani.
Che le opere di C. (delle quali non si ebbe alcuna ristampa) abbiano incontrato difficoltà a uscire dalla Sicilia pare indicato dalla loro completa assenza nelle principali biblioteche italiane ed estere. Su questa sfortuna può avere influito anche il diverso indirizzo dottrinale delle scuole cappuccine siciliane, orientate, in quegli anni, verso un più rigido agostinismo, rilevabile non solo dall'adozione dei trattati di Viatore da Coccaglio, ma soprattutto dal gran rumore che sollevò, qualche anno dopo, il Gotescalcus Siculus di Luigi M. da Cefalù (C. Caristia, Riflessi politici del giansenismo italiano, Napoli 1965, pp. 317-319).
C. morì a Marsala il 15 ag. 1762.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. gener. dei cappuccini, ms. AB. 127: Michelangelo M. Patti da Partinico, Trattato cronol. sull'origine dell'Ordine de'frati minori cappuccini, della di lor venuta in questo Regno di Sicilia (c. 1759-62), f. 204; Ibid., ms. G. 92. IX: Catalogo degli scrittori cappuccini della provincia di Palermo dall'anno 1747 in poi (sec. XIX), f. 1 e n.n.; Ioannes M. a Ratisbona, Appendix ad Bibliothecam scriptorum capuccinorum, Romae 1852, p. 17 s.; Antonino da Castellammare, Storia dei frati minori cappuccini della prov. di Palermo, III, Palermo 1924, pp. 7, 305, 312 s., 319, 437 s., 450, 453, 529, 546, 554, 567 s., 571, 598 s.; Egidio da Modica, Catal. degli scrittori cappuccini della prov. di Palermo, Palermo 1930, pp. 39-41, 152; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores Ordinis minorum, III, Romae 1936, p. 209; G. Cigno, G. A. Serrao e il giansenismo nell'Italia meridionale (sec. XVIII), Palermo 1938, p. 445; Melchiorre da Pobladura, Historia generalis Ordinisfratrum minorum capuccinorum, II, 1, Romae 1948, pp. 636, 667 s.; A. Saitta, Per la storia della diffus. del quietismo in Sicilia, in Critica storica, II (1963), p. 474; H. Hurter, Nomenclator liter., IV, col. 1362; Dict. de théol. cath., II, col. 1821; Ene. Catt., III, col. 980; Dict. de spirit., II, coll. 212-214.