Casentinesi
Nel primo trattato del De vulg. Eloq. (XI 6) la loquela municipale di questi abitanti della valle superiore dell'Arno è assunta da D., con quella dei Pratesi, a esempio di ‛ montanina ' e ‛ rusticana loquela ' quae semper mediastinis civibus accentus enormitate dissonare videntur; non può pertanto, come tutte le altre parlate delle montagne, essere presa in considerazione nel corso della ricerca del volgare illustre; ma, come il Romanorum... tristiloquium, il dialetto della Marca Anconetana e di Spoleto, di Milano e di Bergamo, degli Aquilegienses, degli Istriani e dei Sardi, è da considerarsi uno dei perplexos fructices atque sentes che debbono essere eliminati. Nell'accoppiamento di C. e Pratesi, il Vandelli vede affiorare " il ricordo delle prime peregrinazioni fatte in quei luoghi dal Poeta esule ".
Con l'appellativo di brutti porci, più degni di galle che d'altro cibo fatto in uman uso (Pg XIV 43-44), D. bolla ancora, e assai più ferocemente, i C. nel passo in cui Guido del Duca pronuncia la dura e accorata requisitoria contro li abitator de la misera valle dell'Arno, i quali, abbandonando la virtù, hanno sì mutata lor natura /... che par che Circe li avesse in pastura.
La cruda definizione dantesca non ha una spiegazione immediatamente accessibile; sicché, a partire già dagli antichi commentatori, se ne danno chiose differenti. È molto probabilmente la citazione di Circe a indurre Pietro a supporre che il poeta volesse condannare la smodata " opera venerea luxuriosa " dei conti di Modigliana, un ramo dei conti Guidi, signori del castello di Porciano posto alle pendici del Falterona; per altri commentatori, proprio giocando sul nome di questo castello D. avrebbe tratto spunto per l'allusione.
Sembra tuttavia più logico ritenere, anche per rispetto alla simmetria, che qui non a una determinata famiglia, ma a un intero nucleo di abitanti D. abbia inteso far riferimento, così come con botoli intende gli Aretini, con lupi i Fiorentini, con volpi i Pisani; e si potranno allora vagliare le spiegazioni, addotte già in antico, secondo le quali il poeta intese alludere o al livello di vita più che primitivo dei C., o alla grande diffusione dell'allevamento di suini nel Casentino.
È stato tuttavia notato (cfr. Mattalia) che la successione degli animali-simbolo ripete in certo modo l'ordinamento aristotelico-tomistico dell'Inferno: incontinenza, violenza, frode. Se veramente D. intese rappresentare la valle dell'Arno, e più generalmente la Toscana, come una ‛ copia ' dell'Inferno, i C. corrisponderebbero agl'incontinenti, e di essi ripeterebbero i peccati: lussuria, golosità, avarizia e prodigalità, ira: e basti notare che i primi due vizi nei bestiari medievali (ma anche nella tradizione popolare) erano simboleggiati nel maiale.
Lingua. - In VE I XI 6 i C. sono indicati quale esempio di parlanti dialetti montanari che, come quelli rustici (esemplificati da Fratta), non vanno neppure presi in considerazione in quanto discordano dalle parlate cittadine accentus enormitate: dove accentus si potrà tradurre con " pronuncia " (e v. i ‛ rusticani accentus ' accostati alle ‛ defectivae prolationes ' in I XVII 3, nonché la coppia ‛ vocabula ' - ‛ accentus ' di I XIV 4), mentre enormitas ha valore etimologico (Marigo traduce " irregolarità ") come nella tradizione retorico-grammaticale (v. Diomede, in Grammatici Latini, ed. Keil, 1299 " rudes... qui rusticitatis enormitate incultique sermonis ordine sauciant, immo deformant examussim normatam orationis integritatem politumque lumen eius infuscant ex arte prolatum "; e in una lettera di Niccolò della Rocca [ed. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Parigi 1865, 378] si parla di " viciosae dictionis enormitas "). L'esempio del C. si offriva naturalmente spontaneo a un Fiorentino (un soggiorno di D. nella zona è attestato in un periodo nettamente successivo).