CASELLA
Famiglia di artisti originari di Carona (presso Lugano) ed attivi in tutta l'Italia da Torino a Palermo. Di essa si registrano qui i componenti operosi a Genova tra il XVI e il XVII secolo.
Si conosce soltanto il nome, ma non è emerso finora alcun riferimento alle opere di un Giorgio, vivente a Genova nel 1630, forse lo stesso, figlio di Giovanni Battista, che viene nominato in un testamento rogato a Carona nel 1659(Brentani, I, pp. 148-150).
Giovanni Maria, figlio del fu Giacomo, risulta "fabro murario" vivente a Genova nel 1630 (ibid.). Per altri artisti la presenza di omonimie rende difficile definire attività distinte e non consente, in mancanza di documentazione precisa, di unire nella stessa persona l'operato di omonimi in città diverse.
Alessandro, scultore, attivo nella seconda metà del secolo XVII, il cui nome appare documentato dall'archivio Doria (Giornale..., 1870), corrisponde forse a quel Casella scultore che viene ricordato con il solo cognome da Soprani-Ratti (II, p. 331)quale autore della "suntuosa" cappella marmorea di S. Domenico nella chiesa omonima (demolita all'inizio dell'Ottocento) e "d'altre virtuose fatiche" (per una ipotesi alternativa, cfr. qui p. 295:Giovanni Battista Casella).
Battista, indicato con l'apposizione di maestro "in provvisioni per opere pubbliche" (Alizeri, 1864, p. 64), è documentato nell'archivio Doria (Giornale..., 1870)per lavori al palazzo dei Principe (villa Doria a Fassolo). Sonoregistrati dall'Alizeri (1875, pp. 70, 216)come opera sua i due sepolcri marmorei della cappella di S. Giacinto sul lato. destro del presbiterio in S. Maria di Castello, eseguiti nel 1604(come ricorda la lapide) per i coniugi Benedetto Giordano e Laura della Chiesa (i sarcofagi, disposti frontalmente e sormontati dai busti, sono fiancheggiati da due angioletti poggianti su teschi). L'Alizeri (1875, p. 216) intravide pure la sua mano nei "putti sull'attico" di palazzo Interiano, costruito da Francesco Casella. Nulla prova che tale Battista sia lo stesso artista operoso a Roma intorno al 1596, come è proposto in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 109.
La documentazione finora emersa consente di distinguere due artisti di nome Daniele attivi a Genova: il primo, figlio di Antonio, è attivo almeno dal 1580 alla metà circa del XVII secolo (fa testamento il 30 genn. 1646: cfr. Brentani, IV, p. 347); il secondo è documentato ancora nel 1664 (in un atto rogato a Lugano nel 1664 risulta avere un figlio Giovanni Antonio: cfr. ibid., pp. 344-347). Ma tale distinzione (Colmuto, 1970, pp. 111 s., 121, 142 ss.) non permette per ora di delineare chiaramente le due personalità, rimanendo incerto a quale dei due sia da attribuirsi l'opera più importante: la trasformazione in forme barocche della chiesa di S. Maria delle Vigne nel quinto decennio del XVII secolo (il presbiterio era già stato trasformato da altri a fine Cinquecento).
Daniele di Antonio èindicato da Soprani-Ratti (p. 430) quale discepolo nell'architettura di T. Carlone, di cui avrebbe proseguito l'opera nella costruzione di S. Pietro di Banchi. Ma dalla documentazione segnalata da L. A. Cervetto (Genova e l'Immacolata, Genova 1904, p. 47) risulta che egli fornì con Antonio Corte soltanto i marmi della cappella dell'Immacolata, le cui statue furono scolpite da Taddeo Carlone.
Questo Daniele "marmoraro", che nel 1586 lavora come scalpellino alla costruzione del palazzetto criminale (ora sede dell'Arch. di Stato), tra il 1590 e il 1596 risulta impegnato (Poleggi) alla fabbrica della Loggia di Banchi sotto la direzione del Vannone: gli sono ordinate le colonne, la decorazione esterna degli archi, il lastricato interno. Nel1608 esegue conaltri - tra cui unOberto Casella (Alizeri, 1875, p. 20) - ornamenti in marmo attorno alle nicchie della cappella del Battista nella cattedrale di S. Lorenzo. Nel 1614 è impegnato nella nuova chiesa di S. Siro (ricostruita dai teatini a partire dal 1586) alla costruzione per i Grimaldi-Cebà della prima cappella a destra, che sarà terminata solo nel 1639: semplice copia della cappella di fronte eseguita quindici anni prima da Battista Orsolino. Anche se Daniele risulta essere in contatto con i teatini già prima, comparendo nel 1611 come testimone in una lite tra questo Ordine e i gesuiti per alcune case poste nelle immediate vicinanze di S. Siro, egli non ècerto l'architetto della chiesa, come non escludeva invece M. Labò (1943, pp. 40-42, 48, 56, 68).
In via d'ipotesi è lecito distinguere questo "marmoraro" dall'omonimo "capo d'opera" che, dopo un probabile inizio come scalpellino - un Daniele Casella è documentato nel 1624 come scalpellino nella chiesa di S. Giorgio (documenti nell'archivio della stessa chiesa, Carte diverse)-, viene nominato secondo l'Alizeri (1864, pp. 64 s.) nel 1634 nelle relazioni sulle mura nuove e più tardi nelle pratiche relative all'apertura di via Giulia, deliberata dal comune nel 1642. Questi è probabilmente l'architetto che nello stesso anno risulta direttore dei lavori in S. Maria delle Vigne, con la collaborazione, limitata all'esecuzione delle parti in marmo, di Giovan Battista Bianco: lasciando intatti i muri perimetrali romanici e conservando all'intemo parte delle antiche strutture, nascoste con notevole perizia tecnica sotto la nuova veste barocca, l'artista trasforma il corpo basilicale, scandendo le tre navate con colonne binate impostate su alti plinti rettangolari secondo la tipologia inaugurata a Genova più di cinquant'anni prima dell'architetto di S. Siro.
Generica l'attribuzione alla "scuola" di Daniele delle quattro statue simboliche della cappella di S. Francesco Saverio nella chiesa del Gesù: sculture di mani probabilmente diverse, come è stato proposto recentemente (E. Gavazza, La chiesa del Gesù, Genova 1975, p. 17).
Francesco fu attivo a Genova nella seconda metà del sec. XVI. Pur essendo definito "maestro d'opere fra i più riputati" (Alizeri, 1875, p. 216), per ora gli può essere attribuito solo il palazzo ora Pallavicino in piazza Fontane Marose, n. 2, iniziato per gli Interiano nel 1566. Documentato nel suo aspetto originario dal Rubens (palazzo G), presenta la fronte lievemente asimmetrica, ancora priva di balconi e con diverso portale, scandita da una decorazione architettonica dipinta (Labò, 1970, pp. 78-82).
Giovanni Battista (Gio Batta), indicato come dominus in una causa del 1635 discussa a Lugano, in cui rappresenta Daniele Casella residente a Genova (Brentani, IV, pp. 345-347), corrisponde probabilmente a quel Gio Batta, scultore in marmo, che tra il 1667 e il 1669 esegue con Dionisio Corte due altari per la parrocchiale dei SS. Nicolò ed Erasmo a Voltri: prima quello monumentale di S. Carlo, poi quello maggiore. Entrambi i paliotti sono scompartiti in zone, trattate a intarsio o ad altorilievo, da colonnine binate le quali riecheggiano, anche nella forma dei capitelli a festone, le coppie di colonne cheritmano le navate della chiesa (G. B. Cabella, Pagine voltresi, Genova 1908, pp. 426, 429; Colmuto, 1970, p. 172).
Fonti e Bibl.: R. Soprani-C. G. Ratti, Vite de' pittori..., II, Genova 1769, pp. 331 s., 430; F. Alizeri, Guida artistica Per la città di Genova, I, Genova 1846, p. 490; II, 1, ibid. 1847, p. 295; Id., Notizie dei Professori del disegno..., I, Genova 1864, pp. 64 s.; Giorn. degli studiosi di lettere, scienze, arti e mestieri, 1869, n. 1, p. 196; 1870, n. 1, p. 215; F. Alizeri, Guida illustrativa... di Genova..., Genova 1875, pp. 20, 34, 70, 82, 115, 142, 216; G. Merzario, I maestri comacini, Milano 1893, II, pp. 228, 379, 386; C. Da Prato, Genova, Chiesa di S. Siro, Genova 1900, p. 227; L. A. Cervetto, I Gaggini da Bissone, Milano 1903, p. 172; Id., in S. Maria delle Vigne nelle feste..., Genova 1920, pp. 38-40; M. Guidi, Diz. degli artisti ticinesi, Modena 1932, p. 82; L. Brentani, Antichi maestri d'arte e di scuola delle terre ticinesi, I, Como 1937, pp. 148-50; IV, ibid. 1941, pp. 344-347; A. Venturi, St. dell'arte italiana, X, 2, Milano 1940, pp. 698 s.; M. Labò, S. Siro (I XII Apostoli), Genova 1943, passim;C. Ceschi, Architett. romanica genovese, Milano 1954, pp. 62, 71, 81; M. Labò, Ipalazzi di Genova, 2, P. P. Rubens, Genova 1970, pp. 78-82, 240; G. Colmuto, Chiese barocche liguri..., in Univ. di Genova, Fac. di architettura, Ist. di elementi di archit. e rilievo dei monumenti, Quaderno 3, 1970, passim;E. Gavazza, Il momento della grande decorazione, in La pitt. a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1971, pp. 287, 509; E. Poleggi, La condiz. sociale dell'architetto e i grandi committ. dell'epoca alessiana, in G. Alessi..., Genova 1975, p. 368; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 109 (Daniele, con bibl.).