CARTE da giuoco (fr. cartes à jouer; sp. naipes; ted. Spielkarten; ingl. playing cards)
Origine. - Sull'origine delle carte da giuoco e sulla loro introduzione in Europa si è discusso e si discuterà ancora a lungo. Che la Cina sia stata la loro patria sin dal 1120 (tesi del Remusat) è affermazione fondata sulla semplice testimonianza di un dizionario cinese del 1678: non v'è dunque certezza in proposito. Lo stesso si dica della tesi secondo cui il giuoco sarebbe sorto in India (tesi del Chatto e di altri) derivando dagli scacchi (chaturaji, e giuoco dei quattro guerrieri).
Circa la loro comparsa in Occidente, le controversie sono anche più vive. Che nessun paese d'Europa inventasse le carte sembra ormai pacifico, e l'ipotesi più sostenibile è che gli Arabi le portassero in Spagna verso la metà del sec. XIV. L'etimologia comunemente accettata per naipes è infatti dall'arabo nā'ib, luogotenente; un noto passo di Giovanni di Iuzzo di Covelluzzo, in una cronaca manoscritta conservata negli archivi viterbesi, narra (p. 28 verso): "Anno 1379 fu recato in Viterbo el gioco delle carte che venne de Serasinia e chiamasi tra loro Waib". L'origine araba è provata anche da una menzione esplicita degl'inventarî dei beni dei duchi d'Orléans (1408) che ci parlano di "carte Saracene" accanto alle "carte di Lombardia".
Accanto alla testimonianza del cronista viterbesc sull'introduzione delle carte in Italia possiamo ricordare quella, su cui si fondò lo Zdekauer per affermare, insieme al Merlin e ad altri, l'origine italiana delle carte, fornitaci dalla Provvigione Fiorentina del 23 marzo 1376, nella quale si chiama "novello" il giuoco dei naibi, cui si doveva applicare la legge della zecca. Non è dato però concludere, con lo Zdekauer, a una invenzione italiana, ma soltanto a una importazione, seguita da trasformazioni quasi immediate.
Le testimonianze relative all'introduzione delle carte in Francia, in Belgio, in Germania, comprovano che la diffusione delle carte nel mondo occidentale dev'essere stata, oltreché assai rapida, anche contemporanea, e che la loro invenzione è quasi sicuramente non europea.
Che la Francia conoscesse (non "inventasse") le carte nel secolo XIV, è provato dalla notissima dichiarazione dell'argentiere di Carlo VI, Charles Poupart, il quale menziona, nei registri della Camera dei Conti del 1392, un pagamento di 56 sols parisis "à Jacquemin Gringonneur, peintre, pour trois jeu de cartes à or et a diverses couleurs de plusieurs devises pour porter devers ledit seigneur roi pour son esbattement". Che le carte, poi, non costituissero un "esbattement" i per il solo re di Francia, ma anche per altri sovrani, lo provano i conti della corte di Brabante, del 1379.
Per la Germania ci soccorre un ampio Tractatus de moribus et disciplina humanae conversationis, composto nel 1377 da un "Frater Iohannes" di Rheinelden, ed esistente nel fondo Egerton del British Museum (n. 2419); esso svolge, in tre libri, considerazioni sulle carte, e reca nella prefazione, tra l'altro, il passo seguente: "Hinc est quod quidam ludus, qui ludus cartarum appellatur, hoc anno ad nos pervenit, scilicet anno domini MCCCLXXVII... Quo tempore autem factum sit, per quem et ubi penitus ignoro". Un altro punto assai controverso è se sia sostenibile una vera priorità del giuoco dei tarocchi su quello dei naibi. Secondo la tesi sostenuta dal D'Allemagne e da altri, essi sarebbero stati inventati in Italia nell'ultimo ventennio del sec. XIV, e risulterebbero da una fusione di una specie di giuoco per fanciulli allora in uso, costituito da una serie di figure istruttive, e chiamato anch'esso dei naibi, con i naibi numerali importati dagli Arabi (la parola tarocco è di origine araba) attraverso la Spagna. Il merito dell'invenzione risalirebbe al principe Francesco Fibbia, o almeno gli spetterebbe quello di aver ideato un nuovo sistema di tarocchi, detto tarocchino di Bologna, di fronte al tarocco di Lombardia o di Venezia, che sarebbe la loro forma più antica, e a lui fu permesso di porre sulle carte l'arma della sua famiglia e quella della moglie, figlia di Giovanni Bentivoglio. Secondo il Novati, invece, i naibi fanciulleschì sarebbero venuti, se pure son mai esistiti, dopo quelli arabi; ma se i naibi fanciulleschi non fossero esistiti, dovremmo rinunziare a capire l'origine dei tarocchi, a meno di accedere a ipotesi fantastiche quale quella che li riporterebbe agli Egiziani o agli Zingari, e non ci potremmo spiegare la composizione di mazzi (fra cui celeberrimo quello dei cosiddetti "tarocchi del Mantegna") che non sono né di carte numerali né di tarocchi.
Resta ora a vedere la costituzione dei primi mazzi di carte e di tarocchi. I naibi fanciulleschi dovevano essere assai diversi dalle carte propriamente dette, sia per le figure di cui si componevano, sia per il loro uso. Di questi naibi abbiamo un celebre esempio nei già citati "tarocchi del Mantegna" (circa 1470), che non sono tarocchi, né sono opera del Mantegna, bensì probabilmente di scuola padovana. Questi cosiddetti "tarocchi" sono cinquanta figure, divise in cinque serie, segnate inversamente con le lettere E, D, C, B, A e i numeri da 1 a 50. La serie E raffigura gli stati della vita, la D le muse, la C le scienze, la B le virtù, la A i pianeti. La delicatezza del tratto e la grazia severa delle figure fanno di questa serie un importante documento iconografico.
Evoluzione delle carte.
Germania. - I giuochi di "carte numerali" propriamente dette si differenziarono subito a seconda dei paesi e nell'ambito stesso di questi ultimi. In Germania sembrerebbe abbastanza evidente, sin dai primi mazzi, la derivazione del giuoco delle carte da quello degli scacchi; troviamo infatti quattro serie, in cui figurano un re, una regina, due cavalieri e un gruppo di carte numerali. È dunque un giuoco di scacchi a cui sono stati tolti l'alfiere e la torre, giocato a quattro, come gli scacchi stessi erano spesso giocati nel sec. XIV. Dal Tractatus del Frater Iohannes, citato più sopra, si desume che cinque dovevano essere i tipi di mazzi più usati in Germania verso la fine del Trecento: a) 52 carte: ogni serie con un re, un maresciallo, un attendente e 10 carte numerali; b) 52 carte come il precedente, ma con una regina al posto del re; c) 52 carte con due serie come alla a e due come alla b; d) 60 carte: ogni serie comprendente un re, una regina, due marescialli, un attendente e dieci carte numerali; e) sole figure: cinque o sei serie comprendenti re, maresciallo e fante.
Le prime carte tedesche (secoli XIV e XV) sono di dimensioni notevoli (sino a cm. 19x 12) e riccamente alluminate; i segni distintivi delle serie son dati da soggetti animati, per lo più di caccia, così p. es. quelle del Museo di Stoccarda. Nel sec. XV si diffondono i soggetti ideati da un artista che firma E. S. (1466): uccelli, figure umane, quadrupedi, fiori. Pure nel sec. XV si adoperano carte rotonde, di finissima fattura. Ma accanto a queste carte, diremo così, aristocratiche, si diffondono quelle più popolari, e le serie sono contraddistinte da "semi" differenti, come: scimitarre, coppe, melograni, bastoni, o simili. Verso la fine del sec. XV le carte tedesche assumono dimensioni minori, e i "semi" si fissano a: cuori, campanelli, foglie e ghiande. Scompare dai giuochi la regina e vien soppresso l'asso, cosicché i mazzi annoverano 48 carte, in quattro serie di tre figure e nove carte numerali. Nel sec. XVI prevalgono i soggetti burleschi; nel XVII si adottano anche le carte francesi.
Francia. - Le carte numerali francesi assunsero sin dai primi tempi i semi che poi conservarono sino ai nostrì giorni: cuori, quadri, fiori (trifogli) e picche; sull'origine di questi semi nulla di preciso si può dire.
Nel sec. XV, come in altri paesi, le carte di Francia assumono soggetti svariati: uomini e donne celebri nella storia, personaggi famosi del tempo, o anche puramente fantastici assumono le funzioni di re, regina e fante nei mazzi: così quelle pregevolissimc impresse a Lione (collez. L. Wiener), in cui si vede il duca di Lan accanto a Ecuba o a Pantesilea; così quelle analoghe conservate nella biblioteca di Digione.
Anche l'abbigliamento delle figure varia a seconda delle epoche: così troviamo carte francesi dell'inizio del sec. XVI con costumi alla Luigi XII: re e regine portano la corona gigliata. In altri mazzi son raffigurati personaggi biblici o delle chansons de geste, come in una pregevole serie di Rouen: quest'uso però si perde nel secolo seguente. Cominciano nel Cinquecento, a quanto sembra, le carte satiriche a contenuto politico, come quelle (Museo di Berlino) che rappresentano il re (Enrico III) col ventaglio e la regina con lo scettro. Nel Seicento troviamo carte di fantasia, in cui spesso i punti vengon segnati da animali, frutti, fiori, emblemi ecc., ripetuti più volte a seconda del valore numerale della carta. Motti varî, per lo più di devozione ai regnanti, cominciano a iscriversi al piede delle insegne. Gli atteggiamenti, i costumi, lo svolgimento in genere del tema apparentemente povero delle carte, variano da periodo a periodo, da luogo a luogo di fabbricazione, e le variazioni si accentuano ancor più nel sec. XVIII. Artisti noti non sdegnano di comporre mazzi di carte secondo disegni originali, come quelle, raffiguranti personaggi illustri, incise da J. B. Papillon verso il 1745. In questo secolo, poi, hanno una particolare importanza le carte ispirate a motivi della Rivoluzione: o si mantiene il tipo delle precedenti, ma togliendo la corona ai re e alle regine e sostituendola coi berretti frigi, o si compongono mazzi ispirati a motivi romani repubblicani; più tardi, in seguiti a un preciso ordine della Convenzione (22 ottohrc 1793) le prime serie si aboliscono, e i soli motivi schiettamente rivoluzionarî sono ammessi. In un mazzo dell'epoca troviamo i motti più cari alla Repubblica, il calendario rivoluzionario. il sistema metrico, la dichiarazione dei diritti dell'uomo, ecc. Al posto delle figure sono rappresentati gli elementi, le stagioni, le figure simboliche dei principî della rivoluzione, oppure anche atteggiamenti e costumi di sans-culottes, di soldati, ecc.
Nel sec. XIX l'epoca napoleonica ispira le carte raffiguranti imperatori, re e regine, disegnate da David e incise da Andrieu. Nei mazzi compare anche il ritratto di Napoleone incoronato di lauro. Col Secondo Impero ritornano i gigli, che scompaiono nuovamente con Luigi Filippo. Accanto ai giuochi veri e proprî sono da segnalare curiose "fantasie", come i mazzi composti a più riprese da Houbigant per reagire a quelli più in uso, dichiarati bruttissimi da m0lti. I personaggi di questi mazzi son tratti dalla storia di Francia: vi troviamo Carlo Magno, Francesco I, Ildegarda, Bianca di Castiglia, Orlando, il Sire di Joinville, ecc.; queste carte furono adoperate. al matrimonio del duca di Berry ed ebbero un successo considerevole, tanto da indurre l'Houbigant a comporne delle altre, con lievi varianti. Altre carte di fantasia raffigurarono mestieri o ripresero i vecchi motivi simbolici. Un nuovo mazzo edito sotto Luigi Filippo rappresenta costumi e personaggi di epoche diverse, in atteggiamenti assai liberi in confronto ai consueti. Altre carte mffigurarono mode, attori teatrali, personaggi di romanzo; furono rivoluzionarie o reazionarie a seconda dei tempi. Ai primi dell'Ottocento si adottano in Francia le carte a due teste, la cui origine è probabilmente italiana e di cui si fanno mazzi di fantasia, satirici, politici, restando però invariato il tipo comune ancora in uso.
Italia. - Dai naibi, giuoco educativo fanciullesco italiano, e dalle carte numerali spagnole, sorsero presumibilmente, come abbiamo visto, i tarocchi italiani. Le carte numerali presero anch'esse dai tarocchi gli elementi principali, e si protrassero poi sino ai giorni nostri. Importa dunque considerare anzitutto la costituzione e lo sviluppo dei tarocchi, rimandando per le notizie circa la tecnica del giuoco all'articolo giuochi di carte (v.). Si accennerà poi alle carte propriamente dette.
I tarocchi in Italia e fuori. - Già nel sec. XV si possono distinguere in Italia tre specie di mazzi di tarocchi: il tarocco di Lombardia o di Venezia; il tarocchino di Bologna, inventato, come si è visto, dal Fibbia; e le minchiate di Firenze.
Il primo, certamente più antico, comprende 78 carte, divise in due gruppi: 22 figure particolari, dette trionfi o arcani, e quattro serie numerali dall'i al 14, contrassegnate dai denari, dalle coppe, dai bastoni e dalle spade. L'origine di questi segni è altrettanto nebulosa quanto quella dei segni analoghi delle carte francesi: citiamo, a puro titolo informativo, l'ipotesi secondo la quale rappresenterebbero le quattro classi della società, ossia, rispettivamente: i commercianti, gli ecclesiastici, gli agricoltori e i guerrieri.
I trionfi, numerati dal 0 al 21, sono, nel tarocco veneziano, seguenti: il Folle, il Bagatto, la Papessa, l'Imperatrice, l'Imperatore, il Papa, l'Innamorato, il Carro. la Giustizia, l'Eremita, la Ruota della Fortuna, la Forza, l'Appiccato, la Morte, la Temperanza, il Diavolo, la Casa di Dio, le Stelle, la Luna, il Sole, il Giudizio e il Mondo. Ciascuna sequenza o "seme" si compone di dieci carte numerali (dall'asso al 10), più re, dama, cavallo e fante.
Il tarocchino di Bologna differisce lievemente dal precedente: e alcune carte numerali (2, 3, 4, 5) sono state soppresse; l'Innamorato è diventato l'Amore, l'Eremita il Vegliardo, la Ruota della Fortuna la Fortuna la Casa di Dio il Fulmine, il Giudizio l'Angelo.
Le minchiate presentano invece differenze sensibili: le figure sono quaranta, più il Folle, anziché ventidue, e comprendono quelle del tarocco veneziano meno la Casa di Dio. Le venti figure aggiunte sono: le tre virtù teologali (Fede, Speranza, Carità); una delle quattro virtù cardinali, la Prudenza (poiché le altre tre, la Fortezza, la Temperanza e la Giustizia, erano già comprese nel tarocco veneziano); i quattro elementi (Fuoco, Terra, Aria e Acqua) e infine i dodici segni dello Zodiaco.
I tarocchi veneziani, impostisi a preferenza degli altri in Italia e fuori, conservarono stabilmente la loro composizione sino ai nostri giorni, solo variandone, com'è naturale, l'elemento iconografico. Abbiamo già ricordato i "tarocchi di Carlo VI", artisticamente assai pregevoli, dipinti con cura su fondo oro, leggiadramente ornati con linee punteggiate, inquadrati da un orlo argenteo, con qualche doratura nelle vesti dei personaggi. Del mazzo restano 17 carte, di circa mm. 185 i 90, conservate alla Biblioteca Nazionale di Parigi (v. tav. a colori).
Tra i primi mazzi di tarocchi italiani va menzionato anzitutto, quello posseduto dalla famiglia Visconti di Milano, dipinto sui primi del Quattrocento per il giovane duca Filippo Maria Visconti dal suo segretario Marziano da Tortona. Ne restano 67 carte (si tratta di un giuoco "fiorentino"), dipinte con grande fantasia, ricchezza di ornato e delicatezza di tratto. Un altro mazzo notevole è quello già posseduto dal conte Leopoldo Cicognara, intagliato in rame con disegni di medaglie, tazze, armi di elegante fattura. Il rovescio di ciascuna carta è ornato a chiaroscuro con gusto finissimo. Ricordiamo ancora i tarocchi posseduti dalla famiglia Busca-Serbelloni, impressi a Venezia nel 1491; il mazzo, miniato, trae i soggetti dalla storia romana e dalla mitologia. Né dimenticheremo quelle della famiglia Colleoni, disegnate dal pittore Antonio Cicognara.
Tarocchi notevoli del sec. XVI sono quelli, di fattura italiana, conservati alla biblioteca di Rouen (collezione Leber), incisi su legno e graziosamente colorati. I trionfi sono rappresentati da personaggi della storia antica e da figure allegoriche commiste. I denari hanno l'effigie di antichi romani, le coppe son rappresentate da vasellame da tavola decorato, le spade sono gladî nel fodero, i bastoni sono arbusti.
Nel sec. XVII i tarocchi, in Italia e in Francia, appaiono di fattura assai rozza, al contrario dei precedenti. Ricorderemo soltanto quelli del bolognese Giuseppe Mario Mitelli, in cui si scorge, p. es.. l'Appiccato trasformato in un personaggio che picchia con un maglio su un otre, il Sole in Apollo, la Luna in Diana, ecc.
Nel sec. XVIII i mutamenti, più che nell'esecuzione materiale dei temi, riguardano gli atteggiamenti delle figure e gli accessorî di ogni singola rappresentazione. Il numero delle carte resta sempre invariato. Si fecero in Francia naturalmente, all'epoca della Rivoluzione, dei tarocchi rivoluzionarî così come rivoluzionarie divennero le carte numerali. Appartiene alla fine di questo secolo il mazzo conosciuto col nome di "Nozze bavaresi", disegnato con grande finezza e fantasia, edito da Andreas B. Göbel ad Augusta o a Monaco. Altri mazzi di fantasia, non di grande importanza, appaiono nel sec. XIX; in questo e nel sec. XX il giuoco rimane in massima inalterato nell'iconografia, e, nella composizione, fedele alle origini.
Le carte numerali italiane. - Le carte italiane, tuttora largamente adoperate dal popolo, malgrado la diffusione delle carte francesi, hanno conservato sino ai nostri giorni i quattro semi dei tarocchi. I tipi di carte regionali sono caratterizzati dalle stesse rudimentali figurazioni adottate dai primi fabbricanti, consacrate ormai da una tradizione più che secolare, e quindi entrate nel pieno gusto o, meglio, nell'abitudine del consumatore, che difficilmente si adatterebbe a modificazioni. Si suddistinguono nei tipi piemontese, genovese, lombardo, piacentino, trevisano, padovano, romagnolo, fiorentino, viterbese, barese, siciliano. Il numero delle carte è il medesimo, mentre in quelle spagnole si osserva la soppressione del dieci e la sostituzione della regina con un cavaliere. Altra differenza tra le carte italiane e quelle spagnole è nella disposizione dei semi, intrecciati per lo più delle prime, separati nelle altre; così nelle prime il re è di solito seduto, nelle seconde in piedi.
Spagna. - Un cenno particolare meritano le carte spagnole per la loro sostanziale somiglianza iconografica con quelle italiane. I primi esempî notevoli di carte originali di Spagna sono dei secoli XVI e XVII, poiché nei secoli precedenti vediamo, per un contrasto inverto assai strano, che questo paese, attraverso cui esse si diffusero, ne importa dall'estero, e specialmente dalla Francia. Ricordiamo comunque i notevoli mazzi originali posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Parigi (uno madrileno del 1648, uno del 1694, edito da A. Infirrera).
Carte istruttive, umoristiche, politiche, bizzarre, ecc.
Troppo lungo sarebbe ricordare tutti gli svariatissimi temi che le carie svolsero a scopo didattico, come pure le carte di fantasia, quelle umoristiche, satiriche, ecc., ecc. Ad alcuni, importanti dal punto di vista iconografico, abbiamo già avuto occasione di accennare. Menzioneremo qui rapidamente altri mazzi, che ebbero una loro effimera notorietà, o che sono comunque degni di nota.
Pochi indubbiamente sono gli argomenti che non si è cercato di insegnare per mezzo delle carte; persino le dottrine apparentemente meno suscettibili di tale espressione, quali la geologia, l'astronomia o la metrologia, hanno offerto lo spunto per la formazione di mazzi ad hoc. Altri soggetti più facilmente rappresentabili, come l'araldica, la geografia, la storia, la mitologia, ecc., formano i temi di molte serie, pubblicate in epoche diverse. Così le carte araldiche di C. Oronce Fine, di Lione (1660); quelle di Almaury (Lione 1692), di Silvestre (1730) per il duca di Borgogna, di Daumont (1730) per il conte d'Artois, di Chevillard (1744) ecc. Un celebre mazzo istruttivo fu composto nel 1644 (forse dietro consiglio di Mazarino) dal Desmarest per il giovane re Luigi XIV: le serie rappresentano i re di Francia, le regine famose, soggetti geografici e mitologici. La geografia storica servì di soggetto alle carte di P. du Val, geografo del re di Francia (1669, 1677); la geografia descrittiva a quelle di Poilly e Mitoire (1763), con le capitali, le grandi città e i sovrani delle quattro parti del mondo, di Le Clerc (1764), di Bastien (1778), e di altri molti; la storia di Francia a quelle di Th. Le Gras (Parigi 1739). Un giuoco tedesco del sec. XVII fu composto per l'insegnamento del latino... Nel British Museum si conservano curiosi esemplari di carte musicali, impresse verso la metà del Settecento, con notazioni per canto e flauto; altre carte musicali pubblicò J. Galler nel sec. XIX; una serie di walzer fu pubblicata in un mazzo viennese verso il 1830; altre, a scopo puramente didattico, pubblicò Boboeuf (circa 1840), oltre a carte alfabetiche, aritmetiche, ecc. Le favole di La Fontaine fornirono lo spunto alle graziose carte di Lambert (Parigi 1819); la guerra, e soprattutto le fortificazioni, a due belle serie del già citato Daumont (1763); l'insegnamento della logica, alle carte di Murner (1629), in cui sedici divisioni corrispondono a sedici emblemi; il mazzo si compone di 52 carte.
Nelle carte satiriche si distinsero in special modo gl'Inglesi, in occasione di guerre, rivoluzioni, complotti, processi celebri. ecc. Carte di carattere politico furono pubblicate quasi in tutti i tempi e in ogni paese; menzioneremo qui in modo speciale quelle del nostro Risorgimento.
Vanno ricordati alcuni mazzi, ispirati a motivi bizzarri o grotteschi. Nel 1692, a Londra un tal Moxon vendeva "un gradevole passatempo del padre di famiglia, ossia modo di trinciare a tavola rappresentato in un giuoco di carte, col quale ognuno può imparare a tagliare alla moda i piatti più comuni di carne, pesce, selvaggina e pasticceria, con varie salse L contUrni adatti a ogni pietanza". I cuori corrispondono alla carne, i fiori ai pesci, i quadri alla selvaggina, le picche ai cibi approntati... Mazzi del genere si stamparono anche in Italia sui primi del Seicento.
Altri soggetti umoristici furon tolti dal teatro, dal giornalismo, dalla vita d'ogni giorno, dal commercio. Mazzi curiosissimi disegnò il colonnello Athalin, valendosi di particolari atteggiamenti di panneggi o dí oggetti per far coincidere certe parti dei suoi disegni con i semi delle varie carte, neri o colorati. Si ebbero poi carte a trasformazione (diverse a seconda che fossero diritte o capovolte); carte-domino; carte a domande e risposte; carte piccolissime con disegni infantili, dedicate ai bimbi; carte per giuochi particolari come il nano giallo, o campana e martello.
Diritto. - Dai primi tempi della loro introduzione in Europa, le carte da giuoco diedero origine a provvedimenti destinati a limitarne l'uso, o a renderle oggetto di tasse. Tali provvedimenti furono dapprima emanati sporadicamente, talora si limitarono a esortazioni da parte della chiesa; più tardi furono fissati da leggi e decreti. Abbiamo già ricordato la Provvigione fiorentina del 23 marzo 1376. Nel 1377 Siena seguì l'esempio. Il 22 gennaio 1379 il prevosto di Parigi proibiva ai gens de métiers, oltre a varî giuochi, anche quello delle carte. Tra le predicazioni ecclesiastiche contro le carte fu celebre quella di San Bernardino da Siena, che il 5 maggio 1423, dalla scalinata della chiesa di S. Petronio a Bologna, dichiarò le carte opus Diaboli e pronunziò un'allocuzione veemente contro tutti i giuochi d'azzardo (v. giuochi d'azzardo anche per quanto concerne la proibizione di taluni giuochi di carte).
In Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Germania, le carte furono oggetto di tasse di fabbricazione o d'importazione, e lo sono tuttora in questi e in molti altri paesi. In Italia, prima dell'unificazione politica del Regno, la tassa sulla fabbricazione delle carte da giuoco era in vigore presso tutti gli stati, in misura naturalmente diversa dall'uno all'altro, a volte fissa, a volte graduata secondo il tipo e la qualità delle carte; anche i sistemi di riscossione erano varî.
La prima legge del regno d'Italia in materia è quella del 21 settembre 1862, n. 965, che, nonostante la laboriosa preparazione, non corrispose allo scopo, specie perché incompleta in materia di contravvenzioni.
Attualmente vigono le disposizioni del r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3277, per cui le tasse di bollo si applicano a tutte le carte da giuoco fabbricate nel regno (eccettuate quelle destinate all'esportazione) o provenienti dall'estero, e sono dovute dai fabbricanti e dagl'importatori. Nei rapporti con i compratori, il credito rappresentato dalle tasse di bollo pagate dal fabbricante o importatore è privilegiato ai sensi dell'art. 1958 cod. civ. Le tasse sono fisse, stabilite in misura più mite per i mazzi di carte comuni e più elevata per quelli considerati di lusso. Si pagano presso gli Uffici del registro, all'atto del ritiro delle carte, bollate dall'officina governativa delle carte-valori. Il gettito medio annuale di questa tassa si aggira sui 10 milioni di lire.
Fabbricazione. - La fabbricazione di carte da giuoco ha seguito da vicino i progressi delle arti grafiche. Un tempo curata da piccoli stabilimenti con scarsa attrezzatura tecnica, è entrata ormai in una fase industriale vera e propria.
La prima fabbrica italiana di carte da giuoco pare che abbia avuto sede in Viterbo. Col diffondersi del giuoco e l'affermarsi di gusti particolari circa le figurazioni nelle diverse regioni, sorsero, col tempo, un po' dovunque piccoli centri di produzione, finché non intervenne la legge con la istituzione del monopolio fiscale poi abolito, a ridurli, disciplinarli e accentrarli.
Attualmente la fabbricazione in Italia è distribuita tra una quindicina di fabbriche, e in complesso impiega da cinque a seicento operai. Il consumo annuale di cartoncino per la fabbricazione si valuta in quattro milioni, quasi tutti destinati al consumo interno. Tra le fabbriche più importanti sono da citare quella dei successori F. lli Armanino già a Genova, ora a Roma, una fabbrica (la Murari) di Bari, due di Trieste. Fabbriche minori si hanno a Torino, Genova e in qualche altro centro.
I tipi di carte che vanno in commercio sono moltissimi. Si sogliono però raggruppare in due grandi categorie: a) tipi di lusso, numerati agli angoli con figurazioni di cuori, quadri, fiori e picche, di uso quasi mondiale (carte da poker, baccarà, ecc.), dette anche comunemente, carte francesi; b) tipi comuni o regionali, senza numeri agli angoli, con figurazioni come sopra (Italia settentrionale) o altre, dette coppe, bastoni, danari, spade (Italia centrale e meridionale), di uso molto spesso strettamente regionale. Inoltre, si sogliono fabbricare piccoli e graziosi tipi di carte per signora, carte da indovino, ecc.
La fabbricazione delle carte ha luogo attraverso una serie abbastanza complessa di operazioni, alcune delle quali destinate ad assicurare una stampa perfetta delle figurazioni, altre a conferire al cartoncino una sufficiente scorrevolezza al tatto e una consistenza adeguata alla lunga manipolazione che il mazzo di carte dovrà subire una volta entrato nell'uso.
Per le carte fini si usa molto spesso un cartoncino a tre strati, di cui il centrale scuro per evitare la trasparenza e i due esterni, destinati a ricevere la stampa, perfettamente bianchi, ed esenti da qualsiasi difetto che possa rendere la carta riconoscibile nelle mani di un esperto giuocatore. Per le carte di uso comune o regionale si adopera generalmente un cartoncino detto mano-macchina, con alta percentuale di straccio. Il peso del cartoncino suole variare da 380 o poco meno a 460 grammi per metro quadrato.
Le carte si stampano in fogli contenenti uno, due o più giuochi completi, per mezzo delle moderne rotative o anche, da taluni, con macchine litografiche piane. L'uso delle rotative è preferibile per la celerità che si raggiunge nella stampa; l'altro sistema però, se è più lento, conferisce alla stampa una colorazione più vivace e una maggiore esattezza di contorni.
I fogli vengono passati alla macchina tante volte quanti sono i colori da dare, sia sul recto che sul verso; quindi, a stampa ultimata, disposti in cataste e intercalati affinché non si macchino, in attesa che i colori si asciughino nel modo più perfetto.
Dopo qualche tempo si passa al secondo stadio di lavorazione (laccatura) che consiste nel sottoporre i fogli a un bagno di sostanze speciali. Queste sostanze si distribuiscono in uno strato uniforme su tutta la superficie del cartoncino, dando ad esso una forte consistenza e, al tempo stesso, un maggior risalto al colore sulle zone stampate. L'ulteriore prosciugamento si ottiene o mediante esposizione all'aria libera, o in locali appositamente riscaldati in modo opportuno, o, ancora, e questo avviene nelle fabbriche meglio attrezzate, in speciali forni a gas, elettrici o a vapore. Con questi forni si arriva a far asciugare completamente i fogli nel giro di pochi minuti.
Segue al detto trattamento la cilindratura per mezzo di macchine dette calandratrici, composte di grossi cilindri a pressione regolabile, alcuni di ferro e altri rivestiti di cuoio e internamente riscaldati; oppure la telatura, a mezzo di macchine dette telatrici, costituite da cilindri zigrinati, attraverso i quali i fogli acquistano una speciale impressione di linee o punti. Dopo queste operazioni, il foglio risulterà ancor più resistente nella fibra, perfettamente regolare, scorrevolissimo.
Il taglio dei fogli così preparati si fa prima per liste mediante tagliatrici a coltelle circolari, operazione, questa, delicata perché bisogna tener conto delle deformazioni che il cartoncino subisce in rapporto alla sua composizione dopo le già descritte manipolazioni; poi con la riduzione, mediante le stesse macchine, delle liste in carte, le quali, attraverso speciali dispositivi, si dispongono automaticamente in mazzi nell'ordine voluto dalle consuetudini del giuoco. Infine si procede all'angolatura, per quattro, otto o più mazzi simultaneamente, con una macchina angolatrice azionata elettricamente come tutte le altre, munita di coltelle sagomate a seconda dei tipi che si lavorano.
I mazzi così preparati si rivedono, eliminando le carte che per imperfezioni di stampa o difetti di altra natura, potrebbero prestarsi a riconoscimento nel corso del giuoco, e si tengono poi pronti per il commercio.
V. tavv. LXIII-LXVIII, e tavola a colori.
Bibl.: Per l'origine, la storia e l'iconografia delle carte da giuoco, oltre all'opera poderosa e nel complesso insuperata di H. René D'Allemagne, Les carts à jouer, 2 voll., Parigi 1906, v.: G. Peignot, Analyse critique et raisonnée de toutes les recherches publiées jusqu'à ce jour sur l'origine des cartes à jouer, Digione 1826; L. Cicognara, Memorie spettanti alla storia della calcografia, Prato 1831; M. C. Leber, Études historiques sur le cartes à jouer, Parigi 1842; W. A. Chatto, Facts and speculations on the origin and history of playing cards, Londra 1848; P. Boiteau d'Ambly, Les cartes à jouer et la cartomancie, Parigi 1854; Taylor, The history of playing cards, Londra 1865; R. Merlin, Origine des cartes à jouer, Parigi 1869; P. Lacroix, Les arts au moyen-âge et à l'époque de la Renaissance, Parigi 1869, pp. 216-256; L. Zdekauer, Il giuoco in Italia nei secoli XIII e XIV, Firenze 1886; id., Sull'organizzazione pubblica del giuoco in Italia nel Medioevo, Bologna 1892; Ch. Schreiber, Playing cards of various ages and countries, 3 voll., Londra 1892; F. Novati, Per la storia delle carte da giuoco in Italia, in Il libro e la stampa, Milano 1908, fasc. I.
Trattazioni iconografiche particolari sono: G. Campori, Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi nel sec. XV, in Atti e mem. delle RR. Deputazioni di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, VII, Modena 1874, p. 123; W. H. Willshire, A descriptive catalogue of playing and other cards in the British Museum, Londra 1876; R. Renier, I tarocchi del conte Matteo Maria Boiardo, in Rassegna emiliana, Modena 1882, fasc. 11; P. Clerici, Il Pezzana, il Toschi, il CIcognara. Il gioco dei Tarocchi e un quadretto del Mantegna, in La bibliofilia, XIX (1917-1918), pp. 97-113. Bibliografie generali sulle carte sono, oltre a quella in appendice alla citata opera del D'Allemagne: N. T. Horr, A bibliography of card games and of the history of playing cards, Cleveland 1892; A. Lensi, Bibliografia italiana di giuochi di carte, Firenze 1892; F. Jessel, Bibliography of works in English on playing cards and gaming, Londra 1905. Su tipi speciali di carte si veda: J. K. Van Rensselaer, Prophetical, educational and playing cards, Philadelphia 1912. V. anche giuochi di carte.