Vedi CARTAGINE dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CARTAGINE (fen. Qart Hadasht; greco Καρχηδών; lat. Carthāgo)
Colonia fondata dagli abitanti di Tiro sul golfo che si apre nella costa settentrionale dell'Africa fra il Capo Ermeo e il Capo Bello (golfo di Tunisi). Sembra che in relazione con una colonia più antica, forse Utica, le fosse dato il nome di "Città nuova" (Qart Ḥadasht). Secondo l'erudito storico siciliano Timeo di Tauromenio la fondazione risalirebbe all'814 a. C. e tale data, anche per conferme indirette, può ritenersi approssimativamente esatta. C. sorgeva nella penisola triangolare fra il mare e il lago di Tunisi, collegata al retroterra da un istmo collinoso. Questa posizione, assai favorevole per la difesa dagli indigeni del retroterra e per il commercio marittimo, contribuì a farla divenire la più popolosa tra le colonie fenicie d'Occidente. Fino al sec. V a. C. non ebbe che un territorio assai ristretto, sul quale pagava tributo agli indigeni. L'impero cartaginese ha inizio nel VI sec., e come suo fondatore veniva considerato Magone, succeduto a Malco, che estese il predominio fenicio nella Spagna meridionale, in Sardegna, su parte della Sicilia, mentre le colonie fenicie della Tripolitania entrarono in lega con Cartagine. La distruzione di C. ad opera dei Romani (Publio Cornelio Scipione Emiliano) avvenne nel marzo-aprile del 146 a. C.
Nella storia urbanistica di C., a prescindere anche dal modesto centro abitato moderno, costituito in parte da piccole ville, ma più dalla grande cattedrale di S. Luigi e dagli altri stabilimenti religiosi sorti accanto a questa sulla collina che fu l'antica acropoli di Byrsa e sulla collina attigua detta di Giunone o Lavigerie, si distinguono due periodi del tutto indipendenti l'uno dall'altro, il punico e il romano. Le due città non ebbero di comune che il sito, nessun edificio della prima essendo stato incorporato nella seconda: così radicale dovette essere la distruzione operata dalle truppe romane durante e dopo la conquista romana. Si che, all'infuori di pochi elementi sparsi, la cui pertinenza al periodo punico non è sempre del tutto certa, delle vaste necropoli, di un santuario di Tanit sorto al di sopra di un più antico centro di culto, di varie stele votive rinvenute un po' qua, un po' là, per avere un'idea dell'aspetto e dello sviluppo di C. nei secoli della sua indipendenza e della sua maggiore potenza, siamo rimessi soltanto a quel che ce ne dicono le fonti letterarie. La scelta del luogo da parte dei Fenici al principio del primo millennio a. C., fu forse dettata più dalla posizione rispetto al mare su cui si affacciava, che da particolari condizioni di favore che esso presentasse per l'approdo: è probabile che a rifugio delle navi in questo più antico tempo di vita della colonia servissero lo stagno di Tunisi e la laguna a settentrione chiamata oggi Sebkha er-Riana: più tardi i Cartaginesi dovettero crearsi un duplice porto del tutto artificiale entro terra, a S della collina che gli antichi chiamarono Byrsa, dalla pelle di bue che nella leggenda accompagnava la fondazione della città. Mentre la collina, coronata sulla sommità dal tempio di Eshmun, ultimo rifugio dei difensori durante l'assedio di Scipione, costituiva il centro della città, ai suoi piedi, tra essa e il porto, si distendevano i quartieri di abitazione e mercantili e la piazza principale. Appiano ci parla di tre strade che salivano da questa verso la collina fiancheggiate da case altissime. La collina stessa era circondata sulla sommità da mura, delle quali si è creduto riconoscere recentemente alcuni avanzi, ed aveva sulle pendici alcune tombe di età molto antica: altre vaste necropoli si stendevano su tutte le alture che da quella di Byrsa si prolungano verso N-E fino al mare: non vigeva infatti per i Cartaginesi il divieto di sepoltura entro le mura. Il porto era, come si è detto, duplice: scavato nella terraferma, secondo un sistema largamente praticato dai Fenici nella loro terra d'origine, aveva la bocca rivolta verso S: un primo bacino, rettangolare, era destinato alle navi mercantili; da esso si passava ad un secondo bacino, circolare, per le navi da guerra: in un isolotto nel mezzo era la sede del comando; all'intorno si distendevano i navalia, gli: arsenali, di cui Appiano ci ha lasciato la descrizione. Al quartiere centrale di Byrsa e dei porti faceva seguito sia verso O, e cioè verso la base dell'istmo, sia sulle colline a N-E e nel piano al di là di queste, tutta un'ampia distesa di case intramezzate da orti e giardini: il quartiere di Magara o Megara. Una larga cerchia di mura chiudeva Byrsa e Megara sia dalla parte del mare che verso terra: solo che, mentre tali mura verso il mare erano a cortina semplice, dalla parte dell'istmo, cioè dove un attacco poteva essere più facile e pericoloso, erano costituite; secondo quanto ci dicono Appiano e Polibio, da una triplice difesa, forse un fosso con palizzata e un muro più basso dinnanzi alla muraglia maggiore: il sistema era analogo a quello del Castello Eurialo di Siracusa, come, del resto, analogo a quello di Dionigi, per le mura di questa città, era il principio che aveva presieduto al tracciato della cerchia cartaginese, anch'essa verosimilmente del sec. IV a. C., e cioè di appoggiare le mura alle difese naturali, anche se ciò comportava un perimetro assai esteso, comprendente zone per nulla o scarsamente abitate.
Dell'aspetto della città possiamo dire assai poco: le case erano alte, a più piani, e coperte a terrazze; i templi maggiori dovevano, almeno nella loro ultima fase costruttiva, assomigliare a quelli greci, dai quali avevano preso, salvo lievi modificazioni e contaminazioni, lo stile architettonico e la tecnica di costruzione, in pietra rivestita da intonaco; le strade più importanti sembra fossero lastricate: i santuari minori, di cui uno è stato scavato nella regione di Salammbô vicina ai porti, erano aree sacre, nelle quali si accatastavano senza ordine, e a piani sovrapposti attraverso i secoli, stele votive e vasi contenenti i resti di sacrifici, fra cui anche sacrifici di bambini. Il santuario di Salammbô ebbe la sua origine in una piccola fossa scavata nel terreno vergine, nella quale furono rinvenute ceramiche databili non oltre l'VIII sec. a. C.: fossa più tardi chiusa entro una camera a cupola e da porsi, forse, in rapporto con il culto del fondatore della città. Varie, e talune anche molto ricche, le tombe: le più antiche in piccole fosse o camerette scavate nel suolo, altre, più recenti, in camere sotterranee: i due riti della cremazione e della inumazione si uniscono e si alternano: tra le tombe a camera particolarmente notevoli quelle della necropoli detta di S. Monica, che contenevano sarcofagi in marmo, sul cui coperchio è la figura distesa del defunto: ben noti quello della sacerdotessa di Tanit con la caratteristica veste a lembi sovrapposti simili ad ali, e quello del sacerdote (del tutto simile ad uno rinvenuto a Tarquinia). È probabile siano opere di artisti venuti dalla Sicilia, se non importate dalla Sicilia stessa. La suppellettile delle tombe comprende oggetti di fabbricazione locale e prodotti importati dall'Oriente e dalla Grecia (ceramiche, avori, gemme, ecc.), utilissimi per fissare la cronologia delle singole deposizioni.
Quando C. risorse dalla distruzione in età romana, nacque secondo un piano del tutto nuovo, e cioè, su pianta quadrangolare con strade intersecantisi ad angolo retto. Già Gaio Gracco nel 123 a. C. propose la deduzione di un certo numero di coloni nel sito di C. e procedette, oltre che all'assegnazione di terre, a tracciare le linee della nuova città, che, dal nome della principale dea punica Tanit, dai Romani assimilata a Giunone, fu chiamata Colonia Iunonia: ma la fondazione di Gracco, avversata per ragioni politiche e religiose, non ebbe alcun seguito, e di essa non restano, a quanto sembra, che scarse tracce della centuriazione del terreno ad O del sito della città vera e propria. La C. romana iniziò pertanto la sua vera vita solo con Cesare, o meglio per decisione di Cesare, attuata dopo la sua morte dai consoli eletti all'indomani delle idi di marzo del 44, Antonio e Dolabella. Ricerche sul terreno ed esame dei testi hanno provato, in modo che sembra certo, che la fondazione cesariana si tenne ancora lontana, per scrupoli religiosi, da quello che era stato il centro della C. punica, occupando, invece di questo, la zona dietro la collina di Byrsa, verso l'entroterra: ad essa spetta verosimilmente il sistema di cisterne della Malga, costituito da una serie di lunghi vani rettangolari a vòlta (Edrisi ne contò al suo tempo ventiquattro, oggi sono una quindicina) costruiti in opera cementizia. Non lontano di qui furono rinvenuti i due rilievi, l'uno, oggi al Louvre, con figurazione analoga a quella della Tellus dell'Ara Pacis, l'altro, oggi ad Algeri, con le divinità del tempio di Marte Ultore, che potrebbero essere in relazione con qualche monumento religioso innalzato nella nuova colonia. Fu Augusto che, superando ogni ostacolo di natura religiosa, riportò la città nel sito preciso della città più antica, come dimostra il fatto che la misurazione del terreno entro cui essa si inquadra ha il suo centro sulla collina di Byrsa. Fin dal tempo di Augusto dovettero essere costruite opere di sostruzione e di terrazzamento intorno alla collina, anche per ampliarne la superficie: di una di esse, il cosiddetto "muro delle anfore", perché costituito di anfore piene di terra messe orizzontalmente a strati sovrapposti, è sicuramente datato dai bolli delle anfore stesse. Ad un'altra, eretta a sostenere in parte un portico rettangolare intorno ad uno spazio lastricato, spetta una serie di grandi sale absidate (il cosiddetto Palazzo del Proconsole). Sulla collina è probabile sorgesse il Capitolium e accanto a questo templi o sacelli minori, dedicati alla Concordia, ad Esculapio, alla Magna Mater: in uno, dedicato alla Gens Augusta, fu rinvenuta l'ara, ora al Museo del Bardo, con figurazioni allusive ad Augusto. Alcuni rilievi con grandi figure di Vittorie con trofei d'armi o con cornucopie, della seconda metà del II sec. d. C., derivano da un monumento commemorativo, pare, delle vittorie di M. Aurelio e L. Vero sui Parthi. La città ebbe rapido sviluppo e riacquistò ben presto la posizione di primato rispetto all'Africa che le conferiva la sua posizione geografica; Augusto stesso, o Tiberio, vi riportarono la residenza del governatore della provincia; particolare attività edilizia vi esplicarono Adriano, che costruì l'acquedotto e il sistema di cisterne detto di Borg el-Gedid, Antonino Pio che, riparando i danni di un incendio, innalzò un grande edificio termale nella parte bassa vicino al mare, Settimio Severo, che dotò la città di un secondo teatro: l'odeon. In età cristiana sorsero a C. numerose chiese, in gran parte alla periferia dell'abitato, su tombe di martiri o in luoghi particolarmente venerati. La magnificenza della città alla fine dell'età antica era tale che Ausonio la diceva la più bella dopo Roma. Sprovvista di difese fino a questo momento, l'approssimarsi del pericolo delle invasioni barbariche indusse Teodosio II nel 425 a circondarla di mura. Dopo la parentesi vandala, Giustiniano restaurò C. dei danni subiti, ed egli o altro dei suoi successori fece costruire la basilica detta di Damus el-Karita, nel quartiere del porto. Distrutta, o per lo meno gravemente danneggiata dagli Arabi, C. fu abbandonata dalla popolazione e dai principi musulmani, i quali preferirono la vicina Tunisi.
Ricerche tumultuarie, condotte per inolti anni con scarso rigore di metodo, inoltre molte e non sempre belle costruzioni moderne hanno fatto sì che della città antica solo pochi siano gli edifici tornati in luce e il più delle volte essi si presentano in modo così confuso da poterli valutare assai imperfettamente. Ben poco, oltre quello che già si è detto, è da aggiungere intorno alle costruzioni della collina di Byrsa, occupata oggi dalla cattedrale di S. Luigi e dagli stabilimenti dei Padri Bianchi, nei quali è situato il museo, che raccoglie le suppellettili delle necropoli, alcune sculture pagane e cristiane, e oggetti minori. La collina di Byrsa si prolunga verso N-E con altre alture più basse, che giungono fino al mare: sulla prima, detta di Giunone o Lavigerie, non è stato scoperto alcun edificio importante., Su quella che le succede si appoggia verso O il teatro e dalla parte opposta l'odeon: nè l'uno nè l'altro presentano peculiarità degne di rilievo. Presso la collina più prossima al mare sta il sistema di cisterne detto di Borg el-Gedid, capace di circa 30.000 m3 d'acqua, oggi rimesso in efficienza per uso locale. Nella parte piana ai piedi delle colline, fra queste e il mare, due lagune segnano verosimilmente il luogo dei porti, l'unico elemento della città punica che, pur certamente trasformato, ebbe ancora vita nella città romana: è verosimile che non lontano da essi si aprisse il Foro. A N, nella regione detta di Duimes, è la basilica bizantina che conserva copiosi resti della decorazione a mosaico dei pavimenti; poco più oltre sorgevano le terme di Antonino, delle quali scavi recenti hanno riportato in luce vari ambienti, alcuni a pianta ottagonale, distribuiti intorno ad una grande sala quadrata, di m 37 di lato, aperta da una parte verso il mare, circondata da portici e con le vòlte sostenute da nove pilastri. Nell'edificio sono state rinvenute molte sculture, fra cui alcune erme di marmo nero che sembra rappresentassero le varie gentes Africanae. Circo ed anfiteatro erano fuori dell'abitato, verso occidente; non lontano dal secondo era il cimitero degli officiales, cioè dei funzionarî degli uffici imperiali. Numerose case e ville sono state messe in luce in varie parti della città: particolarmente notevoli i mosaici figurati di cui alcune erano decorate: il mosaico detto del Dominus Iulius, del IV sec. con scene relative alla dimora e alla vita di un grande proprietario terriero, il mosaico dell'uccelliera, quello della toletta di Venere, quello del sacrificio ad Apollo e Diana, ecc. Tra le basiliche cristiane (di S. Cipriano, di S. Monica, delle SS. Perpetua e Felicita o basilica Maiorum) la più importante è quella detta di Damus el-Karita (secondo alcuni corruzione di domus Charitatis). È un vasto complesso di edifici (atrio semi-circolare, cella tricora, battistero) che si accentra nella basilica vera e propria: questa è una sala rettangolare che otto file di pilastri ornati di colonne dividono in nove navate nel senso della lunghezza e in undici nella larghezza: le navate centrali, nell'un senso come nell'altro, sono più larghe, e al loro incrocio era l'altare sormontato da un ciborio: la selva di pilastri e colonne che ne risultava sembra avere offerto il modello al più insigne edificio arabo della Tunisia, la moschea di Kairuan.
Le necropoli, pagana e cristiana, non offrono monumenti particolarmente degni di rilievo; presso il villaggio di Gamart è una necropoli ebraica di età romana con tombe scavate nel terreno.
Bibl.: St. Gsell, Hist. Anc. Afrique du Nord, II, Parigi 1921, p. 1 ss.; C. Picard, Carthage, Parigi [1951], con bibl. anteriore; B. Pace-R. Lantier, Carta Archeologica di C., in Mon. Linc., XXX; A. Audollent, Carthage romaine, Parigi 1901; M. Hours-Miedan, Carthage, Parigi 1949; G. Lapeyre-A. Pellegrin, Carthage latine et chrétienne, Parigi 1950. Nuove ipotesi sulla fondazione: Bull. Corr. Hell., 79, 1955, p. 153 ss.; G. Picard, Le monde Carthage, Parigi 1956.
(P. Romanelli)
Iconografia. - La personificazione di C. appare soprattutto su monete di età romana imperiale. La sola testa, con corona turrita e accanto una cornucopia, è su monete di Clodius Macer; a figura intera, in due tipi: a) con frutta in ambedue le mani (la Felix Carthago), su monete di bronzo di vari imperatori, da Diocleziano a Costantino; su monete di bronzo, d'argento e d'oro del pretendente Alessandro; b) anziché con frutta, con spighe nelle mani in monete d'oro di Massimiliano Erculeo e di Massenzio e d'argento di Ilderico, re dei Vandali. In piedi, sotto un tempio, C. si trova in monete di Massimiano Erculeo e di Massenzio. La personificazione della città appare anche su un interessante rilievo in bronzo, proveniente da uno scrigno di cedro trovato in Croazia. La figura è seduta e, insieme alla personificazione di Costantinopoli, di Nicomedia e di Siscia, fiancheggia la dea Roma seduta: rappresentazione, questa, attribuita alla fine dell'usurpazione dell'Occidente da parte di Magnezio.
Monumenti considerati. - Monete: di Clodius Macer: L. Müller, Numism. de l'anc. Afrique, ii, p. 170 s., n. 381; H. Cohen, Monn. Emp., i, p. 318; nn. 10-11; di Diocleziano: J. H. Eckhel) Doctrina nummorum veterum, Vienna 1792-98, viii, p. 11; H. Cohen, vii2, p. 464, nn. 437-438; di Massimiano Erculeo: Cohen, vi2, p. 546, nn. 509-510; di Costanzo Cloro: Cohen, vii2, p. 84, nn. 270-272; di Galerio Massimiano: Cohen, vii2, p. 121, nn. 190-192; di Flavio Severo ii: Cohen, vii2, p. 138, nn. 64-65; di Massimino Daza: Cohen, vii2, p. 157, n. 150; di Massenzio: Cohen, vii,2 p. 177, n. 103; di Costantino M.: Cohen, vii2, p. 284, n. 479; del pretendente Alessandro: Cohen, vii2, p. 185 s., nn. 3, 4, 6. Monete d'oro di Massimiano Erculeo: Eckhel, op. cit., viii, p. 18; Cohen, vi2, p. 505, n. 108; di Massenzio: Cohen, vii2, p. 173, n. 66.; di Ilderico: Eckhel, iv, p. 138; di Massimiano Erculeo (2° tipo): Cohen, vi2, p. 501, n. 74; monete di Massenzio, (2° tipo): Cohen, vii2, p. 171, n. 50. Rilievo bronzeo proveniente dalla Croazia: J. M. C. Toynbee, in Journ. Rom. Stud., xxxvii, 1947, p. 135 ss.
(G. Sgatti)