Vedi CARNUNTUM dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CARNUNTUM
L'odierno insignificante villaggio di Petronel, situato ad E di Vienna era, al tempo dei Romani, un importante centro militare entro il limes che proteggeva il confine settentrionale dell'Impero e che qui costeggiava la riva meridionale del Danubio. Due ampie vie naturali si incrociano in questo punto: la valle del Danubio e la depressione della March, vie per le quali, sin da tempi antichissimi, si erano incanalati il commercio e le popolazioni nomadi penetrando nella regione prealpina. La popolazione pre-romana di C. era prevalentemente celtica; l'abitato più antico era posto su di un'altura a valle del Danubio. Il centro della C. romana era costituito dall'accampamento stabile costruito con terrapieni, non oltre l'anno 16 d. C., dalla XV legione. Ad O sorse la città vera e propria. Nel 73 d. C. l'accampamento fu ricostruito in pietra e più di una casa della città fu allora ricostruita dello stesso materiale.
Quanto sinora è stato scoperto è di epoca più recente: un grande complesso di edifici, terme o palazzi, con impianto di riscaldamento nel sottosuolo, nella maggior parte delle sale e nell'ambiente centrale rettangolare, la cui parete minore di fondo si allarga in una nicchia semicircolare, fu costruito nell'età adrianea (117-138); alla stessa epoca risale anche il cosiddetto "II anfiteatro", che conteneva circa 13.000 spettatori. Adriano aveva fatto di C. una colonia romana (municipium) ed iniziato così la prima fioritura di essa. Il cosiddetto "I anfiteatro", situato ad E dell'accampamento e costruito verso la fine del II sec. d. C., era destinato al solo esercito. I tre mitrei e un santuario del sino Giove Dolichenus stanno a testimoniare il carattere internazionale che la città aveva acquistato per opera della guarnigione romana.
C. fu distrutta in seguito ad un attacco dei Marcomanni germanici (166-169 d. C.); sembra però che sotto Settimio Severo (193-211), acclamato imperatore dalla XIV legione, allora di stanza nella città, C. fosse ricostruita. La cosiddetta Heidentor (Porta dei Pagani), un arco trionfale a quattro fornici sovrastato da una vòlta a crociera, dovrebbe appartenere a questo secondo periodo, se non al 225-250. Esso ha resistito all'ingiuria del tempo, unico edificio romano rimasto in piedi a testimonianza di uno splendore scomparso. Quando nel 275 l'imperatore Valentiniano soggiornò nella città per preparare una campagna contro la tribù germanica dei Quadi, il luogo era già abbandonato e deserto; poichè nel 433 la provincia di Pannonia, alla quale aveva appartenuto C. fin dalla fondazione dell'accampamento, venne ceduta agli Unni, la città e persino il suo nome caddero nell'oblio. La maggior parte delle sculture, dei mosaici e dei prodotti dell'artigianato scoperti a C. stanno a testimoniare il carattere unitario dell'arte romana provinciale delle basi militari. Le immagini di culto dei mitrei, i rilievi e le sculture di Giove Dolichenus, le statue dei genî dell'accampamento con cornucopie e patere, le lampade fittili con o senza rilievi, i recipienti di terra sigillata di provenienza gallica, vetri, monete e gemme parlano un linguaggio unitario, che ritroviamo tanto sul Reno quanto negli stanziamenti romani delle odierne Ungheria e Jugoslavia. Vere e proprie opere d'arte sono rare (forse non ve n'erano mai state di preziose e di importanti) e le popolazioni che si susseguirono ad ondate spazzarono via gli ultimi avanzi. Una piccola testa di bronzo riproduce in miniatura, a giudicare dalla decorazione dell'elmo con una sfinge fiancheggiata da due cavalli alati, una delle più celebri opere d'arte greche: l'Atena Parthènos di Fidia. Certo in essa non furono soltanto ridotte le proporzioni e alcuni particolari dell'originale, ma anche mutati come, ad esempio, la visiera dell'elmo e i riccioli che qui sono chiaramente arcaicizzanti ossia schematizzati secondo il tipo delle sculture pre-classiche del sec. VI a. C. Il ritratto di un illustre romano in arenaria locale fu spesso ritenuto quello di un personaggio appartenente alla casa imperiale Giulio-Claudia, ossia Tiberio o Druso; ma tanto i lineamenti quanto la forma della testa non assomigliano ad essi. In questa opera appaiono chiaramente la serietà e la dignità della prima età imperiale, ma il materiale tenero col quale essa è eseguita le conferisce una espressione particolarmente viva e mossa. Due statue imperiali provenienti dall'accampamento, una dell'imperatore con indosso la corazza, l'altra, acefala, di una dama imperiale con in braccio, a sinistra, un putto non sono contemporanee ed appartengono al III e al IV sec. d. C. A giudicare dai simboli sulla corazza, la prima dovrebbe rappresentare Alessandro Severo (222-235) mentre la seconda raffigura un' imperatrice della famiglia di Costantino il Grande con gli attributi della Pietas. La maniera dura con la quale è trattata la pietra, gli ornamenti e i galloni della figura dell'imperatrice si riferiscono a sculture siriache e soprattutto palmirene. Accanto a queste opere e ad opere simili di arte romana stanno altre più modeste, spesso appena notate o giudicate rozze e barbariche. Sono pietre tombali, sarcofagi, grandi e piccole sculture e oggetti di ornamento delle popolazioni allogene celtiche. Anche in esse l'influenza e l'educazione romane sono innegabili, ma vi si rivela qualche cosa di nuovo e di caratteristico. Una menade danzante sembra essere, a prima vista, un eccellente oggetto di importazione, senonché le sue proporzioni alterate secondo una forma volutamente longilinea sono una caratteristica che si nota frequentemente nelle statuette femminili di produzione locale. Frequenti (specialmente nella prima metà del sec. I d. C., cioè nei primi anni della fondazione del campo) le pietre tombali con il ritratto del morto posto per lo più su di un collo cilindrico. Nel disco bronzeo di C., che forse faceva parte di un finimento di cavallo, si può notare la cosiddetta triscele simbolo celtico della potente divinità del "Tricipite", che appare a chi osservi nel centro del disco il fondo delimitato dai tralci.
Bibl.: Kubitschek-Frankfurter, Führer durch C.6, Vienna 1923; J. Miltner, Das zweite Amphitheater von C., Vienna 1949; H. Wetters, Das Holzamphitheater v. C., in Unsere Heimat, XX, 1949, pp. 52-56; W. Heidendorff, Töpferstempel auf Terra sigillata aus C., in Mitt. d. Vereins der Freunde Carnuntums, V, 1952, pp. 11-12: E. Swoboda, C.3, Graz 1958; A. Betz, C. in der antiken Überlieferung, in Litterae Latinae, VII, 1953, pp. 1-4; L. Klima-H. Vetters, Das Lageramphitheater von C., in Kommission bei M. Rohrer, 1953, IV, p. 60.