SAMONÀ, Carmelo
Scrittore e ispanista, nato a Palermo il 17 marzo 1926, morto a Roma il 17 marzo 1990. Figlio dell'architetto Giuseppe S. (v. oltre), dopo la laurea in lettere (1948) bruciò le tappe di un curriculum universitario che lo vide libero docente nel 1955, vincitore di concorso a cattedra nel 1960 e professore di Lingua e letteratura spagnola, sempre a Roma, prima nella Facoltà di Magistero (dal 1961) e poi in quella di Lettere (dal 1978 alla morte). Fra i riconoscimenti vanno ricordati il premio Juan Carlos dell'Accademia spagnola (1984) e la nomina a socio dell'Accademia dei Lincei (1987).
Negli studi ispanistici S. immise una raffinata cultura classica e moderna che, partendo da un'impostazione estetica inizialmente crociana, aperta peraltro a ogni posteriore suggerimento interpretativo, faceva leva su una scrittura tersa, di precisa intenzione letteraria. Ogni saggio diviene così, insieme, un avvertito prodotto critico, mai succube comunque di caduche mode e terminologie, e un autonomo oggetto poetico ("sono libero e onnipotente all'interno della scrittura"). I temi privilegiano le zone alte della letteratura spagnola con un accento speciale sul teatro e sui secoli d'oro. Dopo i due volumi d'esordio, dedicati ad argomenti quattrocenteschi (Aspetti del retoricismo nella ''Celestina'', 1953; Studi sul romanzo sentimentale e cortese, 1960), i saggi più significativi, provenienti da precedenti pubblicazioni e ora raccolti nel volume postumo Ippogrifo violento (1990), muovono infatti da una meditazione sulla prima scena di La vida es sueño di Calderón de La Barca, considerata archetipo del dramma, per giungere, attraverso un esame dei modi di assimilazione del culteranismo gongorino nel teatro di Lope de Vega e della sua scuola e un'indagine sulla problematica del dramma storico esemplato da Tirso de Molina, a una rivisitazione di quell'ispanistica italiana dei primi anni del 20° secolo che ebbe in B. Croce il suo motore e maestro. In un secondo volume di saggi, L'età di Carlo V, S. progettava di consegnare i capitoli da lui scritti per la Storia della letteratura spagnola (1972 e 1973), mentre in altri volumi avrebbero dovuto trovar posto non solo gli scritti, ora sparsi, di letteratura moderna spagnola e ispanoamericana, molti dei quali pubblicati sul quotidiano la Repubblica cui egli collaborava dal 1976, ma anche quelli dell'impegno civile, che S. sentì sempre vivissimo, oltre a quelli ''stravaganti'' sul cinema (due acuti saggi su Buster Keaton, 1971, ristampati nel 1991) e sulla musica (una meditazione su Mozart, 1987).
L'esordio nella narrativa, a lungo rimandato, è del 1978, con il romanzo Fratelli. Con il suo paradigma dell'uomo che vive con il fratello malato in un vecchio appartamento della città e inventa per lui un singolare rituale comunicativo, il libro, trasfigurazione poetica di una sofferta vicenda personale, impone S. sulla scena letteraria come scrittore di severa e quasi classica misura stilistica e di preoccupazioni esistenziali che coinvolgono i temi, poi a lui consueti, della reclusione e della malattia. Nella stessa linea, il secondo romanzo, Il Custode (1983), colloca la coppia umana, custode e recluso, nell'ottica di ''fame dell'altro'' di quest'ultimo, mentre un terzo incompiuto, Casa Landau (1990), presenta il misterioso sodalizio di un vecchio professore e di un ragazzo nell'atmosfera gravida di presagi dell'Italia 1939. Poche, calibrate pagine sparse − Ultimo seminario (in Linea d'Ombra, 20, 1987) e Cinque sogni (in Paragone, 38, 1987 e 41, 1990) − completano il suo lascito narrativo.