SAMONÀ, Carmelo
– Appartenente a una famiglia dell’antica aristocrazia siciliana, che annovera tra i suoi membri politici, studiosi e intellettuali di spicco, nacque a Palermo il 17 marzo 1926. Fu il secondo di tre figli (con Adele, primogenita, e Alberto) di Giuseppe (1898-1983), architetto e urbanista, fondatore della cosiddetta scuola di Venezia, e della musicologa Teresa Favara (1899-1972), figlia del compositore e studioso del folklore musicale siciliano Alberto Favara, da cui Samonà ereditò un’accentuata passione musicale, coltivata al margine dei suoi studi di ispanistica e di critica letteraria, che sfociò in alcune pagine illuminanti (Sulla fortuna attuale di Mozart, in La Cultura, XXIII (1985), 2, pp. 357-362; Elsa Morante e la musica, in Paragone, XXXVII (1986), 432, pp. 13-20; poi in Linea d’ombra, 1994, n. 89, pp. 64-66).
Nel 1951 sposò Adele Samonà (detta Delia, 1928-2008), da cui ebbe due figli, Ferdinando (1952) e Giuseppe A. (1958), storico delle religioni e autore del romanzo Quelle cose scomparse, parole (Nuoro 2004).
Samonà si era laureato a Roma in lettere, nel 1948, discutendo una tesi in storia moderna, poi, sotto la guida del filologo Angelo Monteverdi, si era presto orientato verso la letteratura spagnola medievale. Nel 1956 conseguì la libera docenza universitaria, nel 1960 vinse il concorso alla cattedra di lingua e letteratura spagnola, insegnando dal 1961, in qualità di professore ordinario, presso la facoltà di magistero, e dal 1973 alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma, ove successe a Jole Scudieri Ruggeri. Nominato nel 1987 membro dell’Accademia nazionale dei Lincei, svolse un ruolo molto attivo nel nascente ispanismo italiano. Fu cofondatore nei primi anni Cinquanta, assieme a Guido Mancini, Inoria Pepe Sarno e Lore Terracini, dell’Istituto di letteratura spagnola della facoltà di magistero di Roma e delle due prime riviste nazionali di studi ispanici: Quaderni di letteratura spagnola della facoltà di Magistero (1953-54) e Studi di letteratura spagnola (1964-70). Nel 1973, in un incontro tenutosi a Cortona dal 18 al 22 maggio, con Mario Di Pinto, Giuseppe Di Stefano e Alessandro Martinengo, promosse la costituzione dell’Associazione ispanisti italiani (AISPI), per sostenere in Italia la ricerca, l’insegnamento e la diffusione delle culture ispaniche, con precise prese di posizione all’insegna della condanna del regime franchista.
Già nei suoi primi lavori di maggiore respiro, quali Aspetti del retoricismo nella “Celestina” (Roma 1953) – oggetto della sua tesi di perfezionamento e fra i contributi più significativi sulla stilistica del capolavoro di Fernando de Rojas – e Studi sul romanzo sentimentale e cortese nella letteratura spagnola del Quattrocento (Roma 1960), Samonà diede mostra di un esercizio critico raffinato, rigoroso e complesso. Influenzato, come molti studiosi della sua generazione, dall’estetica crociana, ne visse, tuttavia, la crisi e ne avviò una profonda se non totale revisione, anche alla luce dei nuovi approcci stilistici di scuola spitzeriana e della critica strutturalista, verso la quale mantenne, comunque, una posizione di cauta polemica, come traspare nel significativo saggio intitolato Sui rapporti fra storia e testo: la letteratura come trasgressione e altri appunti (in Belfagor, XXX (1975), 6, pp. 651-668).
Fatta eccezione per alcune incursioni nella comparatistica italo-spagnola (Note sulla fortuna di Boccaccio nella letteratura spagnola del Quattrocento, Roma 1959; Dante e il dantismo in Spagna, in Cultura e scuola, V (1966), 19, pp. 99-105; I concetti di «gusto» e di «no sé qué» nel padre Feijoo e la poetica del Muratori, in Giornale storico della letteratura italiana, 1964, vol. 141, n. 433, pp. 117-124) e sul Novecento spagnolo, Samonà scelse come terreno privilegiato di studio la letteratura spagnola del Seicento. In quest’ambito pubblicò una serie di importanti contributi sul teatro di Pedro Calderón de la Barca, Tirso de Molina e Lope de Vega, in parte raccolti successivamente nel volume Ippogrifo violento. Studi su Calderón, Lope e Tirso (Milano 1990).
In essi, attraverso un esame puntuale dei processi storico-culturali e della tradizione formale, l’attenzione è sempre vòlta a cogliere le «motivazioni profonde» del testo letterario, nella convinzione che ogni opera è «un modo del soggetto di porsi dinanzi al mondo». Di Samonà va anche ricordato l’intenso lavoro di alta divulgazione, con la produzione di una manualistica accademica che è rimasta imprescindibile nella bibliografia del settore. Oltre al suo Profilo di storia della letteratura spagnola (Roma 1960 [ma 1959]), in cui – contestando alcune categorie divenute a priori in una parte consistente della tradizione storiografica degli studi ispanici, quali realismo, popolarismo, localismo, secentismo e via enumerando – rivendicava una maggiore attenzione alla misura formale, strutturale e retorica dei testi, ancora imprescindibili sono da considerarsi i capitoli da lui curati per la Letteratura spagnola edita da Sansoni-Accademia, sull’Età dei re cattolici e l’Età di Carlo V (1972-73).
Tra il 1976 e il 1989 collaborò al quotidiano la Repubblica, con una serie di articoli sui classici della letteratura spagnola e ispano-americana, poi raccolti nel volume postumo, Scritture di Spagna e d’America (a cura di S. Arata, prefazione di N. von Prellwitz, Roma 2003). Alle soglie dei cinquant’anni, avvertì prepotentemente il richiamo della scrittura narrativa, nuova vocazione ch’ebbe il sopravvento sulla scrittura critica. Nel giro di un decennio uscirono tre romanzi brevi (Fratelli, Torino 1978; Il custode, Torino 1983; Casa Landau, Milano 1990), un racconto (L’esitazione [1990]; pubblicato postumo in Fratelli, seguito da “L’esitazione”, con un saggio di F. Orlando, Palermo 2008), una pièce teatrale (Ultimo seminario, in Linea d’ombra, 1987, n. 20, pp. 112-120) e le prose Cinque sogni (in Paragone, XLI (1990), 19, pp. 19-28).
Per i tre romanzi che costituiscono il cuore della sua produzione letteraria non si può parlare propriamente di trilogia, tuttavia – come scrisse Natalia Ginzburg nella quarta di copertina di Fratelli – un «sottile filo congiunge le sue opere», sia per la ricerca costante di una prosa raffinata e complessa, marcata da una precisa volontà di stile, sia per la scelta dei temi proposti. Fratelli, Il custode e Casa Landau, infatti, declinano variamente i temi della malattia mentale, della reclusione, delle insidie del linguaggio e, dunque, dell’incomunicabilità. Fratelli, sua opera prima, lo segnalò da subito all’attenzione del pubblico e della critica. Recensito con plauso da Natalia Ginzburg, Alfredo Giuliani, Walter Pedullà e Giorgio Manganelli, fu insignito con i premi Mondello (1978) e Pozzale (2002). Vide successive riedizioni (rispettivamente per Garzanti, Milano 1991; Mondadori, a cura di F. Orlando, Milano 2002; con prefazione di D. Starnone, Utet, Torino 2006; Sellerio, Palermo 2008) e traduzioni in tedesco, inglese e francese. Nel 1986 la regista Loredana Dordi, con la collaborazione di Franca Ongaro Basaglia, ne fece un adattamento cinematografico, da cui Samonà, tuttavia, prese le distanze, non condividendone il taglio incentrato esclusivamente su un caso di disturbo mentale, letto alla luce delle moderne teorie dell’antipsichiatria. Nel 2012 Fratelli fu portato sulle scene presso il Teatro Libero di Palermo con la regia di Antonio Viganò, con un testo che lo stesso Samonà aveva riadattato prima della sua prematura scomparsa.
Ambientati in realtà circoscritte, chiuse e claustrofobiche, i due primi romanzi di Samonà sviluppano il tema della relazione labile e struggente con l’Altro, còlta in due situazioni estreme, il rapporto tra due fratelli, uno sano e l’altro vittima di un disagio mentale in Fratelli, e quello tra un detenuto e il suo carceriere in Il custode. In entrambe le opere, la prospettiva narrativa viene assolta da uno dei personaggi, il fratello sano, nel primo caso, e il recluso nel secondo, che, in un flusso monologante, meditano sulla condizione dell’Altro, ne interpretano i gesti, inventano strategie di comunicazione e di contatto, fino a viverne di riflesso e a introiettarne fatalmente i modi.
Se Fratelli e Il custode si incentrano tutti nella ricerca, tenace e disperata, di un linguaggio che coniughi due mondi inesorabilmente separati dalla malattia o dalle anguste mura di una prigione visitata da carcerieri anonimi, l’incompiuto e postumo Casa Landau presenta una struttura narrativa più aperta e complessa: con qualche riflesso autobiografico vi si narrano i tentativi di emancipazione di un protagonista adolescente da un contesto familiare dispotico e il suo rifugio in una dimensione libresca, che lo porta a interpretare la realtà alla luce delle trame dei romanzi più amati. L’incontro con Miranda, figlia del professor Landau, affetta da malattia mentale, con la richiesta fatta dall’anziano Landau al ragazzo di aiutarlo a prendersene cura, fanno coincidere il suo passaggio all’età adulta con l’assunzione di responsabilità. Se la critica concorda unanimemente nell’accostare l’opera letteraria di Samonà alla narrativa della Mitteleuropa (Franz Kafka, Elias Canetti, Arthur Schnitzler), non manca chi lo colloca, invece, in prospettiva più nazionale, riconoscendovi suggestioni pirandelliane ed echi di autori coevi, quali Mario Tobino e Alda Merini.
Un panorama generale sulla produzione del critico e dello scrittore non sarebbe completo senza citare alcune memorabili pagine su Buster Keaton (Buster Keaton: il rigore dell’assurdo, in Arte e letteratura: scritti in ricordo di G. Baldini, Roma 1972, pp. 297-311) e Fausto Coppi (Uno scarto immenso..., in Un uomo solo: vita e opere di Fausto Coppi, a cura di G. Casadio - L. Manconi, Milano 1979, pp. 105-111), che ne evidenziano la vastità e l’apertura degli interessi.
Morì a Roma il 17 marzo 1990.
Opere. Per una bibliografia completa degli scritti v. S. Arata, C. S., in C. Samonà, Scritture di Spagna e d’America, cit., pp. 299-321. Fra le opere non citate nel testo: L’“Amadís” primitivo e il romanzo d’amore quattrocentesco, in Romania. Scritti offerti a F. Piccolo, Napoli 1962, pp. 451-466; Per un consuntivo della giovane poesia spagnola, in Cultura e scuola, II (1963), 8, pp. 55-62; L’età dei re cattolici, in A. Varvaro - C. Samonà, La letteratura spagnola dal Cid ai re cattolici, Firenze-Milano 1972, pp. 215-279 (poi, Milano 1993); L’età di Carlo V, in C. Samonà - G. Mancini - A. Martinengo, La letteratura spagnola. I secoli d’oro, Firenze-Milano 1973, pp. 7-201 (poi, Milano 1993); Studio introduttivo a P. Calderón de la Barca, Teatro, in Teatro del siglo de oro, a cura di M. Socrate - M.G. Profeti - C. Samonà, III, Milano 1990, pp. IX-LIX.
Fonti e Bibl.: F. Orlando, Parole dette ai funerali di C. S., in Belfagor, XLV (1990), 3, pp. 307-310; L. Terracini, C. S., in L’apporto italiano alla tradizione degli studi ispanici. Nel ricordo di C. S., Roma 1993, pp. 109-116; R. Rossi, Ricordo di C. S., in D. Fasoli - R. Rossi, Le estasi laiche di Teresa d’Avila. Psicanalisi, misticismo e altre esperienze culturali a confronto, Roma 1998, pp. 127-142; G. Grilli, C. S.: la necessità del classico, in Id., Modelli e caratteri dell’ispanismo italiano, Viareggio-Lucca 2002, pp. 13-16. Sull’opera narrativa si segnalano, in particolare: C. Segre, La vita, la follia, i modelli in “Casa Landau” di C. S., in Autografo, 1992, n. 27, pp. 21-31; F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Torino 1993, pp. 476-480; V. Spinelli, Violenza e malattia nei romanzi di C. S., tesi di laurea, Università di Berna, facoltà di lettere e filosofia, 2005.