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CARMAGNOLA, Francesco Bussone, detto il

di Felice Fossati - Enciclopedia Italiana (1931)
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CARMAGNOLA, Francesco Bussone, detto il

Felice Fossati

Francesco Bussone, detto comunemente il conte di Carmagnola, ma con più esattezza "il Carmagnola" dal luogo di nascita, conte di Castelnuovo Scrivia, poi di Castelnuovo e di Chiari, nacque probabilmente fra il 1380 e il 1385, da famiglia modestissima, non però, sembra, del tutto infima. Compì il suo tirocinio di armi sotto Facino Cane. Alla morte di questo è presentato come capo e arbitro almeno d'una parte delle milizie che egli guadagna al Visconti. Rimasto solo padrone del ducato (maggio 1412), con il vastissimo dominio paterno frantumato, Filippo Maria risolve la difficile situazione sposando Beatrice di Tenda, vedova di Facino Cane, e s'accinge a recuperare i beni paterni. Che parte abbia avuto il C. in questa prima mossa del Visconti non è ben chiaro. A ogni modo nella ricostruzione dello stato visconteo il C. è, se non l'unico, certo il più celebre strumento del duca, e guadagna gran fama, sia con notevoli vittorie (quelle, ad es., di Montechiari e d'Arbedo), sia con insigni acquisti, per es. Brescia e Genova.

Ma il periodo visconteo si approssima al termine, ed è finita la serie di quei vantaggi personali onde il C. è stato innalzato a condizione principesca. Ché il duca tra l'altro gli ha dato il feudo di Castelnuovo e Caselle e il diritto di portare lo stemma e il cognome dei Visconti; il comando supremo delle milizie; la carica di primo consigliere; il feudo di Sale; Antonia Visconti per moglie (nozze 14 febbraio 1417). Ma verso lo scadere del 1422, honoris specie, come si affermò, ma in realtà per allontanarlo dall'esercito, il Visconti lo destinò a governare Genova, dove il C. rimase fino al 5 ottobre 1424. Allora venne preparandosi il suo distacco da Filippo Maria. Nel 1423 Filippo Maria è entrato in guerra con Firenze: il C. è lasciato da parte. Contemporaneamente il duca vuol entrare nell'altra guerra tra Giovanna II di Napoli, alleata sua e di Martino V, e Alfonso d'Aragona appoggiato da Firenze; e ordina a Genova di preparare un'armata: ma il comando è dato a Guido Torelli. Tuttavia ancora qualche tempo il C. può vagheggiare nuova gloria militare: il duca e i suoi alleati meditano una spedizione per terra, ed egli ne sarebbe il duce supremo; forse per gli accordi, nel gennaio del 1424 torna brevemente a Milano. Ma varie circostanze troncano il disegno, e l'ultimo sogno di gloria svanisce. Anche in questo, non già solo nella soverchia grandezza sua, sospetta al Visconti, nelle sobillazioni degl'invidiosi, nel dubbio affronto di Abbiategrasso, vanno cercate le cause della rottura, qualunque poi ne sia stata l'occasione. Tornato in ottobre a Milano, chiese il congedo e si ritirò nei suoi feudi. Era certo, dopo tanta ascesa, un congedo significativo; non però strano nelle vicende di un capitano di ventura. Sennonché poco dopo abbandona moglie, figlie, ogni cosa e fugge da Sale. Oscura la causa, ma da allora è nemico al Visconti. Giunto in patria, s'offre al Saluzzo, forse al Monferrato, certo, in Ivrea, ad Amedeo VIII; poi si trasferisce a Venezia (23 febbraio 1425).

La Serenissima, benché abbia nel febbraio 1422 rinnovata l'alleanza con Filippo Maria per dieci anni, è inquieta per le brame ognor più rivelantisi del duca: a marzo inoltrato assolda il C. Durante l'anno gravi fatti sospingono verso risoluzioni estreme: Filippo Maria tenta di far avvelenare il condottiero; le sue milizie, di vittoria in vittoria s'inoltrano minacciose contro Firenze, e questa rinnova alla Serenissima l'istanza di un intervento. Nel dicembre alfine le due repubbliche si alleano: è la guerra. Creato capitano generale, il C. inizia la lotta con un grosso colpo: fomentando il malumore dei guelfi bresciani, ne provoca la ribellione (la notte del 17 marzo 1426). Sopravvenuto pochi giorni dopo, egli non ha che da avviare l'assedio ai ducali chiusi nelle fortezze. La guerra si combatte in ampia zona, con alterne vicende ma con vantaggio degli alleati; poi si raccoglie intorno a Brescia, il cui Castello finalmente s'arrende (20 novembre 1426). Il C. però, allontanandosi per motivi di salute, lasciando, la direzione al Gonzaga, torna a cose fatte. Circa un mese dopo giungono a conclusione anche le lunghe pratiche della pace (30 dicembre). Ma è una breve sosta, cui succede nuovamente la lotta. La campagna del '27 annovera, come altre, successi e insuccessi da ambo le parti: assai celebre, se non altrettanto importante, la giornata di Maclodio (12 ottobre 1427). Dopo questa vittoria, malgrado le sollecitazioni vive e continue del governo, il capitano procede fiacco; non senza altri guadagni, sì che dalla nuova pace Venezia ha il Bresciano, quasi tutto il Bergamasco e alcune terre del Cremonese. Nel principio del '29 il C. chiede il congedo, due volte, ma due volte il senato glielo nega; allora (15 febbraio) firma una seconda condotta per due anni e due di rispetto.

Alla nuova guerra, scaturita ancora da una di Firenze, egli è dunque nuovamente capitano generale della Serenissima. Venezia eccita il C. a operare risolutamente, gli fa grandi promesse; ed egli al rompersi delle ostilità, sembra puntare deciso a fondo. Ma laddove altri capitani ottengono successi, egli fallisce nella sorpresa di Lodi (gennaio '31); si lascia ingannare dal progetto di aver Soncino per corruzione ed è battuto con perdite notevoli (16 marzo); entrato in campo il 30 maggio guidando tutto l'esercito, tenta ancora Soncino inutilmente e in un aspro scontro con lo Sforza perde altri 500 cavalli (6 giugno); quando, il 21 giugno, la flotta è sbaragliata, non pensa o non riesce a soccorrerla, e per mesi e mesi, duro contro gl'incitamenti sempre più vivi del governo, non fa quasi più nulla. A Venezia crescono le preoccupazioni e sorge il dubbio se convenga ormai sottoporre a esame la sua condotta: egli non si muove; Guglielmo Cavalcabò sorprende una porta e una rocca di Cremona (17 ottobre) e vi si regge molte ore: egli non interviene o interviene troppo tardi, già ricacciato il Cavalcabò, per ritrarsene come da azione fallita; gli Ungheri di re Sigismondo tornano ancora una volta, si spingono fino a Udine, il Senato l'avverte di tenersi pronto a fronteggiarli, poi lo stringe ad accorrere con la maggiore celerità: egli parte ultimo dei capitani, avanza lento e arriva, sembra, quando gl'invasori hanno già sgombrato (novembre). Nonostante tutto, il governo, sempre fisso all'Adda, lo conforta, lo sprona. Egli mostra di scuotersi, ma non fa nulla di concreto; anzi, persiste nel ricevere e trasmettere gli esasperanti messaggi di Filippo Maria e allorché gli si offre il destro d'occupare Soncino, rifiuta. Ed ecco di colpo, il governo veneziano, che gli aveva prodigato sempre parole di fiducia, di stima, d'incitamento, delibera di arrestarlo (29 marzo 1432). Attratto a Venezia come per discutere della guerra, il C. è chiuso in carcere (7 aprile), sottoposto a regolare processo, indotto a confessare con la tortura. Riconosciuto traditore (poco si sa di preciso sul processo) la sera stessa è decapitato sulla pubblica piazza.

Giustamente, secondo il Battistella. Ma egli non ha convinto tutti, e il giudizio sul C. sembra arduo ancora (mancano allo storico alcuni elementi, in particolare gli atti del processo). Dall'opera sua scaturisce tuttavia perentorio un dilemma: in quasi tutto il periodo veneziano il C. fu o un traditore o un condottiero poco meno che inetto. Or si aggiunga che anche per gli anni antecedenti i varî meriti di lui come capitano non appaiono così netti come sembrerebbe dalla fama; e può ben essere dubbio se egli superasse di tanto i suoi colleghi da risultare giustificata la celebrità sua, che sembra dovuta alla trista fama di Venezia nel Rinascimento e all'arte del Manzoni, più che a meriti proprî.

Bibl.: Fondamentale è il lavoro di A. Battistella, Il Conte Carmagnola, Genova 1889; id., Ritagli e scampoli, Voghera 1890, pp. 71 e segg.; id., in Rivista storica italiana, 1894, p. 479 segg.; id., in Nuovo archivio veneto, X (1895), p. 97 segg.; id., La Repubblica di Venezia, Venezia 1921, passim. Inoltre, L. A. Ferrai, in Archivio storico lombardo, XVI (1889), p. 970 segg.; G. Romano, ibid., XXIII (1896); XXIV (1897), passim; Inventari e Regesti del R. Archivio di stato in Milano, I, Milano 1915; II, i, 1920; II, ii, 1929, passim; F. Fossati, in Arch. stor. lomb., XLI (1924), p. 500 segg.; P.C. Decembrio, Vita Philippi Mariae, in Muratori, Rer. ital. script., 2ª ed., Bologna 1925, XX, i, fasc. 1-2; 1926, fasc. 3; 1928, fasc. 4, passim.

Vedi anche
Maclodio Comune della prov. di Brescia (5,1 km2 con 1468 ab. nel 2008). Battaglia di M. Fu combattuta il 17 ottobre 1427, durante la guerra fra Milano e Venezia, alleata di Firenze, e vide la vittoria delle truppe alleate comandate dal Carmagnola su quelle milanesi agli ordini di Carlo Malatesta, coadiuvato da ... Bartolomeo Colleóni Condottiero italiano (Solza, Bergamo, 1400 - Malpaga 1475); militò sotto Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza, e con quest'ultimo si guadagnò fama nello scontro dell'Aquila (1424); quindi, al soldo di Venezia nella guerra contro Filippo Maria Visconti (1431), seppe fronteggiare validamente le ... Filippo Arcèlli Condottiero piacentino (m. 1421). Al servizio dei Visconti nelle lotte contro i Dal Verme e gli Scotti, creato conte (1412) da Filippo Maria, prese Piacenza, sconfiggendo le truppe dell'imperatore Sigismondo (1414), e se ne insignorì, finché, urtatosi col Visconti, fu bandito (1415). Nel 1418 passò al ... compagnìa di ventura Nome attribuito dal 14° sec. ad associazioni di mercenari, che si mettevano al servizio delle monarchie, desiderose di milizie indipendenti da ogni vincolo feudale per far valere la propria autorità sui vassalli, e dei Comuni, soprattutto in Italia, nei quali l’attività industriale e i traffici commerciali ...
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