VERARDI, Carlo
– Nacque a Cesena nel 1440 dalla nobile famiglia Verardi. Non sono noti i nomi dei genitori.
Originari di Lodi, dove possedevano diversi castelli, i Verardi sono attestati dal 1434 a Cesena, città in cui si estinsero nei primi anni del 1500 con la morte di Camillo Verardi, nipote di Carlo, cavaliere pontificio e vescovo di Lodi. Tra i ranghi della famiglia si annoverano alcuni membri del Consiglio di Cesena, diverse personalità di spicco in ambito militare, scientifico ed ecclesiastico, come cavalieri gerosolimitani.
Sin dalla prima giovinezza Verardi si trasferì a Roma, dove studiò teologia e diritto civile e canonico. Nel solco della tradizione familiare si distinse nelle humanae litterae ricevendo gli elogi degli umanisti Lidio Catto di Ravenna, Giovanni Mario Filelfo e Lorenzo Astemio di Macerata. Il cerimoniere papale Giovanni Burcardo nel Liber notarum fa spesso menzione di Carlo da Cesena, identificato come arcidiacono, cameriere e segretario pontificio (cfr. Burchardus, 1906a, pp. 216 s., 249, 337-339, 430, 434, 606, 611, e 1906b, pp. 33, 109, 148 s.). Verardi, infatti, operò nella curia romana dal pontificato di Paolo II che lo assunse come cameriere papale e segretario della corrispondenza, funzioni che serbò ininterrottamente con i papi Sisto IV, Innocenzo VIII e Alessandro VI (Errani, 2013, pp. 218 s.).
Verardi visse appieno quella fase storica di stretta collaborazione tra il papato e la corona di Spagna. Considerati i rilevanti interessi che i sovrani cattolici, Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, avevano in Italia, alti dignitari spagnoli, come gli ambasciatori Bernardino López de Carvajal e Juan Ruiz de Medina, lavorarono presso la S. Sede all’edificazione di un impianto propagandistico che mirava alla nobilitazione messianica di Ferdinando d’Aragona. I due oratori, infatti, patrocinarono la nascita di una sorta di società letteraria e artistica filospagnola, in cui rientrò anche Verardi grazie agli importanti rapporti di familiarità che aveva con questi. In tale contesto si proiettarono non solo le ambizioni letterarie di Verardi, ma anche quelle dei nipoti suoi allievi, i poeti Marcellino e Bartolino Verardi, che lo coadiuvarono nell’esercizio delle lettere (Fernández de Córdova Miralles, 2005, p. 265; Colazzo, 2016a, p. 171, e 2016b, p. 238).
Nonostante la fitta trama degli interessi di Verardi si dipanasse primariamente a Roma, egli conservò contatti sempre molto vivi con la sua città natale. Il 22 dicembre 1474 fu nominato rettore della chiesa cesenate di S. Severo, titolo cui rinunciò il 18 dicembre 1498 in favore di Roberto Mori (Errani, 2013, p. 219). Il 18 ottobre 1487 inoltrò al capitolo della cattedrale la richiesta di fare erigere all’interno del duomo di Cesena un altare dedicato al Corpo eucaristico e di istituire una nuova dignità, l’arcidiaconato. Il progetto fu accolto: nel 1490 Verardi fu intitolato primo arcidiacono del duomo di Cesena, funzione che ricoprì fino alla morte, come testimonierebbe l’atto del 27 novembre 1500, per mezzo del quale Alessandro VI autorizzò la nomina del nipote di Carlo, Agapito Verardi, quale suo successore (v. Burchi, 1962, p. 76; Fantaguzzi, 2012, pp. 240-254). Nel duomo di Cesena Carlo e il nipote Camillo Verardi – figlio del medico Tolomeo Verardi, fratello di Carlo – fecero innalzare un imponente altare allo scultore Giovanni Battista Bregno, il quale eseguì il lavoro fra il 1494 e il 1505. Il gruppo marmoreo raffigura Cristo con ai lati s. Giovanni Battista e s. Giovanni Evangelista. In basso, in atto di preghiera, sono ritratti i committenti Carlo, nel suo unico ritratto noto, e Camillo, rispettivamente alla destra e alla sinistra del gruppo centrale. Alla base di ciascuna figura sono riportate le iscrizioni: «Carolus Verardus hic primus Archidiaconus» e «Camilus Verardus Eques Pontificius».
Nel 1497 riparò a Ravenna al fine di sottrarsi a un clima politico molto difficile che si era venuto a creare nella città natale. In quegli anni lo scontro tra la famiglia ghibellina dei Tiberti e quella guelfa dei Martinelli per il predominio su Cesena si era concluso con l’affermazione dei Tiberti e il conseguente allontanamento del patriziato vicino ai Martinelli. In questa corrente figuravano le famiglie giunte a Cesena durante il governo dei Malatesta o che grazie a questi si erano arricchite, tra cui gli stessi Verardi, che oltre tutto con i Martinelli risultavano uniti in un legame di parentela (v. Fantaguzzi, 2012, p. 144; Errani, 2013, p. 222).
Di Verardi è giunta una sola opera, il dramma Historia Baetica. Si ha notizia, inoltre, di due componimenti non pervenuti: una bozza in prosa del Fernandus servatus, tragicommedia latina verseggiata da Marcellino, e una cronaca della storia di Cesena, il Liber urbanorum memorabilium sive memoriae Caesenates. Le prefatorie all’Historia Baetica e al Fernandus servatus risultano le uniche epistole di Verardi tramandate. Proprio come redattore di lettere pontificie, egli probabilmente scrisse un’epistola gratulatoria all’allora vescovo di Pavia, Iacopo Ammannati Piccolomini (v. Braschi, 1738, p. 333). La missiva, secondo le fonti datata 15 ottobre 1477, avrebbe dovuto riguardare l’affidamento al prelato della diocesi di Lucca occorso il 24 settembre 1477. Di questa lettera, tuttavia, non rimane traccia, come non si conserva alcuna risposta nell’epistolario di Ammannati.
L’Historia Baetica è un’opera teatrale in linea con la tendenza tipicamente umanistica di riscoperta del teatro classico. Il dramma, composto a Roma nei primi mesi del 1492, fu messo in scena per la prima volta il 21 aprile dello stesso anno durante i festeggiamenti pasquali, nella cornice del palazzo romano del cardinale Raffaele Sansoni Riario Della Rovere, in cui fu allestito un fastoso teatro estemporaneo. La tradizione risulta essere prevalentemente a stampa, si registra un unico esemplare manoscritto vergato dal bibliofilo umanista Hartmann Schedel e datato 1495 (v. Ruggio, 2011, pp. 89 s.; Historia Baetica, a cura di M. Colazzo, 2014, pp. LXVIII-LXXVII). Il 7 marzo 1493 fu data alle stampe l’editio princeps, impressa a Roma nella tipografia di Eucharius Silber. Il volume comprende anche scritti di Marcellino Verardi: tre elegie con dedica ai sovrani cattolici e la tragicommedia Fernandus servatus. La stampa riporta, infine, il brano musicale Viva el gran re Don Fernando, prima testimonianza di partitura polifonica a stampa e di composizione destinata alla rappresentazione scenica.
L’opera è introdotta da una Praefatio in prosa con dedica al cardinale e mecenate Raffaele Riario. L’Argumentum e il Prologus sono stati composti da un allievo, nonché nipote dell’autore in senari giambici impuri. La tradizione non è univoca nell’attribuzione di questi versi: alcuni testimoni li assegnano a Bartolino Verardi, altri a Marcellino. Seguono la parte introduttiva ventitré scene in prosa, un continuum drammatico senza l’apporto del coro.
Il dramma si caratterizza per un ibridismo che coniuga elementi della tragedia a quelli della sacra rappresentazione. Come si afferma nel prologo, a essere narrata non è una fabula tipica delle commedie o delle tragedie classiche, ma un fatto vero e recente, una historia verificatasi nelle primissime settimane del 1492, ovvero l’atto finale del processo di riconquista delle terre iberiche da parte degli spagnoli e la conseguente definitiva cacciata degli arabi che le occupavano dall’VIII secolo. La instant tragedy incentra l’azione sulla resa di Granada, ultima roccaforte moresca di Spagna, che il 2 gennaio 1492 cadde per opera dei sovrani cattolici. L’episodio si prestava perfettamente all’obiettivo dell’autore: celebrare con toni enfatici il trionfo della cristianità e i regnanti iberici, autori dell’impresa. Rappresentava, infatti, un pretesto ideale per uno scritto di natura encomiastica valido a erigere Ferdinando d’Aragona a novello crociato e alto esempio per tutti i principi cattolici, i quali, illuminati da questa esperienza, avrebbero dovuto unire le loro forze contro i turchi, aderendo a una lega che papa Innocenzo VIII stava creando allo scopo. Verardi, inoltre, era convinto di trovarsi al cospetto di un evento storico senza precedenti, momento culminante del secolare scontro tra Occidente e Oriente, le cui conseguenze avrebbero cambiato per sempre le sorti della cristianità; celebrarlo sarebbe valso a perpetuare la memoria non solo dei suoi protagonisti, ma anche dello stesso autore cantore della fatica.
L’opera sembra rispondere, dunque, alle esigenze del piano propagandistico che Ferdinando d’Aragona aveva messo in piedi presso la curia pontificia. Gli ambasciatori Carvajal e Medina agirono, infatti, con grande tempestività per dare massima diffusione e risonanza alla notizia della caduta di Al-Andalus, assistiti dal dedicatario dell’Historia Baetica, il cardinale Raffaele Riario. La dedizione di Verardi ai suoi mecenati era tale che egli dette in dono a Medina un esemplare in pergamena molto pregiato dell’Historia Baetica con dedica manoscritta, oggi conservato nella University Library di Cambridge (Verardi, 2011, p. XVI).
A un esponente di spicco del clero spagnolo, Pedro González de Mendoza, dedicò anche la tragicommedia latina Fernandus servatus del nipote Marcellino, la quale si propone sempre come opera apologetica volta a celebrare Ferdinando d’Aragona, portando in scena l’attentato ordito a Barcellona il 7 dicembre 1492 ai danni dello stesso sovrano (ibid., pp. XVII s.). Alle due fatiche encomiastiche dei Verardi si aggiungono, come già osservato, altri carmi di elogio che accompagnano l’editio princeps dell’Historia Baetica.
L’ultima citazione relativa a Carlo da Cesena risale al 30 maggio 1499 (Burchardus, 1906b, p. 149). Morì a Roma il 13 dicembre 1500 e fu sepolto nella basilica di S. Agostino in Campo Marzio. Sulla lapide il nipote Marcellino compose un epitaffio sepolcrale oggi scomparso (Zeno, 1753, p. 276).
Opere. Edizioni della Historia Baetica: Carolus Verardus Caesanatis cubicularii Pontificii in historiam Baeticam ad R. P. Rafaelem Riarium S. Georgii diaconum cardinalem, Roma 1493; In laudem serenissimi Ferdinandi Hispaniarum regis Bethice et regni Granate obsidio victoria et triumphus, s.n.t. [Deventer, Richardus Paffraet]; Historia Betica, Factum Romae Anno Domini 1494; In laudem serenissimi Ferdinandi Hispaniarum regis Bethice et regni Granate obsidio victoria et triumphus, s. l. [Basilea] 1494; Historia Bethica de granatensi regno per invictissimos reges Ferdinandum et Helisabeth expugnato et crudelissimo vulnere eidem Barchinone illato nuper Rome edita atque acta, s.n.t. [1494 circa]; In laudem serenissimi Ferdinandi Hispaniarum regis Bethice et regni Granate obsidio, victoria et triumphus, s.n.t.; Expugnatio regni Granatae, quae contigit anno ab hinc quadragesimo secondo a catholico rege Hispaniarum Ferdinando, in R. Monacho, Bellum Christianorum principum: praecipue Gallorum, contra Saracenos, anno [...] MLXXXVIII pro terra sancta gestum, Basilea 1533, pp. 85-115; Expugnatio regni Granatae, in A. Schott, Hispania illustrata, II, Francoforte 1603, pp. 861-877; Historia Baetica, in Revue hispanique, XLVII (1919), pp. 319-382; La Historia Baetica de Carlo Verardi, drama histórico renacentista en latín sobre la Conquista de Granada, a cura di R. Bravo, Monterrey 1971; Historia Baetica de Carlo Verardi. Drama humanístico sobre la toma de Granada, a cura di M.D. Rincón, Granada 1992; Historia Baetica. Edizione critica e commento, a cura di M. Colazzo, tesi di dottorato, Lecce 2014.
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