VENTURI, Carlo
– Figlio di Valentino e di Angela Berti, nacque ad Avio, vicino Trento, il 6 giugno 1829.
La data è attestata dai registri parrocchiali e dagli Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini e contraddice una precedente datazione che fissava la sua nascita nell’ottobre del 1829. La famiglia godeva di una situazione economica agiata e Carlo era il secondo di cinque fratelli: il maggiore era Giuseppe, patriota, chirurgo e poeta, gli altri erano Clemente, Giacomo e Luigi.
Della sua educazione si occupò lo zio paterno, il giurista Francesco Antonio, ma a causa del suo carattere vivace fu messo per alcuni anni nel collegio militare. Rientrò in famiglia nel 1847 e nel marzo dell’anno successivo fu coinvolto nello scoppio dei moti nel suo paese: insieme ad altri giovani di buona famiglia appoggiò l’istituzione della guardia civica e l’innalzamento dell’albero della libertà. Poi, alla notizia del prossimo arrivo del colonnello Friedrich Zobel, inviato a ripristinare l’ordine, Venturi fuggì e raggiunse Padova, dove si trovava Giuseppe, che stava collaborando alla formazione della legione degli studenti universitari. Rimase al suo fianco per alcuni mesi: si arruolò nella legione, combatté insieme a lui a Treviso, poi si recò a Vicenza per cercare nuove reclute e rifornire di armi i combattenti, infine i due raggiunsero insieme Milano per unirsi ai volontari di Giuseppe Garibaldi.
A dispetto dei progetti iniziali, Carlo abbandonò i suoi compagni per fuggire insieme a una ragazza di cui si era follemente innamorato e non fece più ritorno al reggimento, temendo di incorrere in un provvedimento disciplinare. Raggiunse invece Bologna, dove combatté valorosamente per riscattarsi dal disonore e nell’estate, cessati i moti, salpò da Genova per l’America Latina e si arruolò nella legione ‘la Valorosa’ comandata dal colonnello abruzzese Silvino Olivieri. Imparò lo spagnolo e per il coraggio e il valore dimostrati sul campo di battaglia venne insignito della decorazione al merito militare. Nei primi anni Cinquanta lasciò Buenos Aires diretto a Londra, meta di molti esuli che si radunavano attorno a Mazzini, trasferitosi in Inghilterra dal 1837. Anche Venturi divenne un suo grande ammiratore, fu introdotto nella cerchia dei patrioti italiani e iniziò a frequentare l’alta società londinese, ma le sue relazioni furono piuttosto faticose a causa della scarsa conoscenza dell’inglese. Nel 1859 si arruolò al seguito di Garibaldi e combatté in Lombardia ottenendo la decorazione al valore militare e la promozione a capitano. Parallelamente, oltre all’impegno sui campi di battaglia, Carlo era attivo anche nella propaganda mazziniana ed era in stretto contatto con Andrea Giannelli e l’armata centrale.
Nel maggio del 1860 fu ancora in prima linea per la causa italiana e venne scelto da Mazzini come uomo di fiducia per preparare una spedizione nello Stato pontificio. Secondo Mazzini, Agostino Bertani e Aurelio Saffi, era infatti opportuno accelerare il processo di unificazione, invadere lo Stato pontificio e raggiungere il Regno di Napoli per ricongiungersi qui alle truppe di Garibaldi, che stavano risalendo la penisola. L’incarico affidato a Venturi preparava questa ampia operazione e comprendeva compiti diversi, come mettersi in contatto con i leader repubblicani del centro Italia, recapitare alcune lettere di Mazzini contenenti informazioni destinate al Comitato d’azione fiorentino, esaminare il confine presso Arezzo e Massa Marittima per studiare il territorio e verificare la disponibilità delle forze armate e il loro armamento. Questa zona aveva un’importanza strategica per la presenza del forte di Paliano, in cui si trovavano prigionieri politici come Giuseppe Petroni. Durante la missione Carlo prese contatti con Giuseppe Coleschi, capo di uno dei Comitati locali che operava in accordo con i gruppi di Castello e di Perugia. L’affidabilità e il rigore con cui portò a termine l’incarico rafforzarono la fiducia che Mazzini riponeva in lui, garantendogli una difesa di fronte alle critiche sollevate da Piero Cironi, Giuseppe Mazzoni e Andrea Giannelli, che non apprezzavano il carattere schivo ed eccessivamente riservato di Carlo e lo ritenevano inaffidabile per i fatti di Milano del 1848. Il progetto di invasione dello Stato pontificio però naufragò, e le truppe di combattenti si diressero verso Napoli per confluire nell’esercito garibaldino. Tra i circa duecento trentini che partirono per il Meridione c’era anche Venturi, che si arruolò con il grado di maggiore nella I brigata del II battaglione della 17 ª divisione, sotto il comando del generale Enrico Cosenz. Quando raggiunse la destinazione i combattimenti erano ormai al termine e Carlo, a malincuore, non prese parte agli scontri. La sua contrarietà aumentò a causa di alcuni cambiamenti incorsi nell’organizzazione militare della spedizione e in agosto decise di abbandonare l’impresa.
Fu una scelta affrettata, di cui si pentì già il mese seguente; riprese quindi servizio e ottenne da Garibaldi il permesso di raggiungere Abruzzo e Marche per arruolare volontari. Al termine dell’incarico rientrò a Londra, e attraversò un periodo di inattività in cui valutò l’eventualità di tornare in Sudamerica oppure arruolarsi nell’esercito dopo l’annessione di Napoli e della Sicilia al Regno di Sardegna. Questa seconda ipotesi contrastava però con le sue convinzioni politiche e venne scartata. Mentre stava ancora facendo progetti sul suo futuro, fu nuovamente contattato da Mazzini, che gli affidò una nuova missione: recarsi in Trentino e nel Tirolo per studiarne la topografia e preparare la liberazione del Veneto. Si trattava di una missione importante, adatta alla sua preparazione militare, ma al tempo stesso molto rischiosa visto che non aveva beneficiato dell’amnistia del 1854 a causa della sua diserzione giovanile.
Il 6 giugno 1861 Carlo si sposò con l’inglese Emilie Ashurst, che aveva conosciuto nel 1859, mentre era in fuga perché ricercato dalle autorità austriache. Emilie invece era in viaggio in Italia insieme al fratello William e a sua moglie Bessie. Per lei fu il secondo matrimonio, dopo quello con il birraio americano Sydney Hawkes, che aveva sposato all’età di ventiquattro anni e dal quale aveva divorziato.
Emilie era pittrice, giornalista e scrittrice. Nata tra il 1819 e il 1820 da Elizabeth Ann Brown e dall’avvocato William Henry Ashurst, era stata educata all’indipendenza intellettuale ed economica, ritenute indispensabili affinché una donna si sposasse non per necessità o per interesse, ma per amore. Nonostante la differenza di età tra i due, Carlo ed Emilie condividevano valori e ideali profondi, come la passione per la causa italiana, la libertà e i diritti dei popoli, oltre a un profondo affetto per Mazzini. Emilie fu tra le sue più strette collaboratrici: leggeva e rivedeva gli scritti che lui le sottoponeva e accettò missioni rischiose per portare ai patrioti italiani le collette raccolte in Inghilterra. Fu anche una delle più grandi divulgatrici delle idee repubblicane e curò una serie di traduzioni delle opere di Mazzini che nel 1875 culminarono nella biografia intitolata Joseph Mazzini. A memoir by E. A. V. with two essays by Mazzini. Thoughts on democracy and the duties of man.
Nel 1862 i coniugi Venturi partirono per l’Italia incaricati da Mazzini di recarsi in Toscana e in Lombardia, prendere contatti con Garibaldi e agevolare i preparativi per un’azione insurrezionale a Roma, a Venezia e in Trentino. Dopo i fatti di Aspromonte però Carlo ed Emilie ripararono a Genova, dove furono ospitati da Sara Nathan e dove erano sopraggiunti anche alcuni Ashurst. Questo soggiorno segnò irrimediabilmente la loro vita: il 14 settembre la polizia li arrestò, scambiando Emilie per Sara Nathan. Appena venne accertata la sua identità Emilie fu rilasciata in quanto cittadina inglese, ma Carlo, di origini trentine ed esule, fu trattenuto in carcere per due mesi e poté rientrare a Londra insieme alla moglie solo in novembre. Durante la sua permanenza in carcere contrasse l’angina pectoris, ma la malattia non fu adeguatamente diagnosticata dai medici, che accertarono un semplice reumatismo intercostale. Nonostante i forti attacchi di cui iniziò a soffrire, continuò a essere attivo nelle reti cospirative mazziniane: nell’estate del 1863 raggiunse il Canton Ticino e poi la Svizzera. In questi mesi si impegnò anche in una piccola raccolta di fondi tra gli amici italiani e inviò a Mazzini la somma di 450,50 lire in occasione della festa di s. Giuseppe per contribuire alla causa polacca e a quella italiana. Per sollecitare l’emulazione del gesto ne diede notizia al giornale milanese L’Unità italiana. Queste iniziative erano richieste da Mazzini, che in quel periodo si rivolgeva spesso ai coniugi Venturi per coinvolgerli nell’azione di propaganda e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. A questi mesi di viaggi e di assidui contatti ne seguirono altri di stallo e di attesa durante i quali Venturi restò senza un’occupazione stabile. Pensava di arruolarsi come volontario appena ce ne fosse stata la possibilità e l’incertezza della sua situazione destava una certa apprensione tra gli Ashurst.
Rientrati a Londra nel 1864, Carlo ed Emilie furono ospitati da Tom Taylor e a partire dal dicembre si occuparono della raccolta di fondi per l’emancipazione veneta, a cui loro stessi contribuirono versando la somma di uno scellino al mese. Nella primavera del 1865 riuscirono a trovare un’abitazione loro e si trasferirono, ma già in agosto Venturi era di nuovo in partenza, questa volta per la Lombardia, inviato da Mazzini nei pressi del lago di Garda. Data la vicinanza alla sua città natale, sperava di incontrare uno dei fratelli da cui ricevere parte del patrimonio di famiglia e migliorare la sua situazione economica. L’appuntamento però saltò ripetutamente per lo scoppio di un’epidemia di colera. Intanto Emilie era rimasta in Inghilterra, a Wimbledon, ospite di Tom Taylor, dove fu raggiunta dal marito e trascorsero insieme l’inizio della primavera.
Il 27 marzo 1866 Venturi morì improvvisamente per un attacco di angina pectoris. Lasciava Emilie vedova e senza figli. Fu sepolto nella tomba della famiglia Ashurst a Highgate.
Giuseppe Mazzini scrisse un lungo necrologio che uscì su L’Unità italiana il 28 aprile 1866, in cui lo ricordava come un patriota coraggioso e appassionato, un valido combattente dedito alla causa italiana e repubblicana e un uomo dolce e riservato.
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