VALGULIO, Carlo
Nacque a Brescia in una famiglia patrizia di parte guelfa dal giureconsulto Stefano in una data comunemente indicata intorno al 1434, ma che non è stato possibile accertare. Non è noto il nome della madre.
In documenti datati tra il 1502 e il 1513 è detto arciprete della Pieve di S. Andrea di Iseo, titolo che, con quello analogo della Parrocchia di Santo Stefano in Salis, comportava la sua appartenenza al clero. Si ha notizia di due suoi fratelli, Savoldo e Simoneto, e di un chierico Marco Antonio Valgulio, che probabilmente era suo figlio. Oltre a suo padre, abate della città nel 1446 e podestà di Chiari nel 1457, altri membri della famiglia furono impegnati nella vita politica cittadina, occupando anche cariche pubbliche apicali tra la fine del XV e i primi decenni del XVI secolo, e poi coinvolti nelle turbolente vicende successive alla battaglia di Agnadello (14 maggio 1509). Sui suoi studi mancano informazioni precise e non è documentato che il padre conoscesse il greco, come afferma qualche storico. Che sia stato allievo a Brescia di Giovanni Calfurnio o di Gabriele da Concorezzo appare ipotesi fondata, a condizione che si possa effettivamente fissare la sua data di nascita al 1434 circa; ma essa andrebbe alquanto posticipata nel caso si voglia ipotizzare un suo discepolato presso Ubertino Posculo, che tornò a Brescia non prima del 1458-59. In ogni caso, la sua conoscenza del greco fu evidenziata come fatto non comune da diversi contemporanei. Altrettanto straordinaria per l’epoca fu la sua conoscenza della trattatistica musicale greca.
Nel 1472 Angelo Poliziano gli dedicò un epigramma in greco in cui, forse rispondendo a un suo componimento analogo, celebrò la sua prodigiosa educazione giovanile, ricordando in termini allusivi gli stimoli intellettuali che aveva da lui ricevuti. Un rapporto consolidato tra i due emerge anche da una lettera datata Arezzo 18 marzo 1475 in cui Valgulio, rispondendo a Poliziano, menzionò Marsilio Ficino, un tale Tommaso (Minerbetti?), altri amici comuni fiorentini, e Panezio Pandozzi da Cortona. A lui, divenuto allievo di Ficino grazie ai suoi stessi consigli, Poliziano aveva dedicato un epigramma latino. Più numerose le testimonianze dell’amicizia con Ficino, che gli scrisse confidenzialmente il 10 dicembre 1474 in risposta a una sua precedente lettera, e lo nominò poi in altri passi del suo epistolario. Quasi certamente nel medesimo periodo, scrivendo al fiorentino Tommaso Minerbetti, uomo di lettere e poi più volte gonfaloniere e ambasciatore della città tra il 1483 e il 1492, gli raccomandò di restare «in familiaritate» con Valgulio, che all’epoca doveva trovarsi a Firenze, dove secondo alcuni era precettore dei suoi figli. In una lettera del 1476 lo raccomandò a Bernardo Bembo, che dopo la sua ambasceria a Firenze era tornato a Venezia, dove dunque Valgulio risiedeva e dove dovette trattenersi almeno fino al 1478, come emerge da un’altra lettera dei primi mesi di quell’anno al veneziano Leone Michiel, nella quale Ficino lo menzionò di nuovo. Non abbiamo documentazione, invece, di presunti rapporti con Antonio Calderini, Benedetto Accolti e Giovanni Cavalcanti. È molto probabile che proprio in quegli anni sia entrato in possesso di un importante manoscritto platonico, in precedenza appartenuto a Manuele Crisolora e forse a Palla Strozzi (Paris, Bibliothèque nationale de France, Gr. 1811).
La sua presenza a Roma dall’11 luglio 1481 al 27 settembre 1498 è attestata dai documenti relativi ai prestiti di numerosi manoscritti greci concessigli dalla Biblioteca apostolica Vaticana. Lì conobbe i bibliotecari che glieli consegnarono: Bartolomeo Platina, Cristoforo Persona, Giovanni Fonsalida, Gaspare Torrella. Il contatto con Giovanni Argiropulo è garantito dal fatto che a suo nome prese in prestito tre volumi nel 1481 e tre nel 1483, ma è verosimile che la conoscenza tra i due risalisse ad anni addietro: amici comuni a entrambi erano Ficino e Poliziano, il quale anche ad Argiropulo aveva dedicato un epigramma in greco nel 1473. L’assenza di prestiti documentati dal 1485 al 1494 non deve far suppore che egli non frequentasse in quel periodo l’ambiente della Biblioteca: è prova del contrario il suo componimento poetico in greco dedicato a Giovanni Lorenzi, bibliotecario dal 12 dicembre 1485 al 1492, anno in cui l’incarico gli fu revocato da Alessandro VI e prima del quale, probabilmente, la poesia fu composta. A dopo il 1490 risale certamente il contatto con Pietro Gravina, che apprezzò molto la sua traduzione latina dell’orazione 24 di Elio Aristide. In questi anni, come diversi altri bresciani, prestò servizio nell’alta burocrazia papale, ottenendo i benefici ecclesiastici di cui si è detto: entrato nell’orbita di Falcone Sinibaldi, tesoriere papale sotto Sisto IV e Innocenzo VIII e figura di spicco della vita intellettuale romana, divenne suo stretto collaboratore fino alla sua morte nel 1492; strinse amicizia anche col canonista ferrarese Felino Sandei, futuro segretario di Alessandro VI, e col cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Papa Pio III. Dal 24 luglio 1494, si firmò secretarius del cardinale Cesare Borgia, ma si può escludere che lo abbia seguito nei primi mesi del 1495: il 10 febbraio aveva preso in prestito un manoscritto contenente i Moralia di Plutarco mentre il presule, partito il 28 gennaio da Roma verso Napoli al seguito di Carlo VIII e abbandonata la spedizione, tornò in sede soltanto a marzo. Lo avrà invece assistito nei suoi spostamenti successivi: quando lasciò Roma il 27 maggio 1495 al fianco del Papa, che, non volendo incontrarsi con Carlo VIII di ritorno da Napoli, passò con tutta la corte da Orvieto a Perugia per tornare a Roma il 27 giugno; e quando fu inviato a Napoli per presenziare, in rappresentanza del Papa, all’incoronazione del re Federico I d’Aragona il 10 agosto 1497. A partire dal 18 luglio 1498 non si firmò più come suo segretario e non c’è ragione di ritenere che abbia continuato a seguirlo nelle imprese da lui compiute dopo aver ottenuto, il successivo 17 agosto, la dispensa dallo stato ecclesiastico. È verosimile, anzi, che dopo il 27 settembre 1498, giorno in cui è ancora documentata la sua presenza nella Biblioteca apostolica Vaticana, abbia lasciato Roma per andare a stabilirsi a Iseo.
Negli anni romani portò a compimento gran parte delle sue traduzioni dal greco in latino, alcune delle quali aveva certamente avviato e fatto circolare già in precedenza, lavori tutti che testimoniano lo stretto legame da lui instaurato con la famiglia Borgia e con l’ambiente che le gravitava attorno. Anteriori al 1492 vanno considerate le epistole dedicatorie di tre traduzioni rimaste inedite: successiva al 1481 quella a Piccolomini dei Praecepta gerendae reipublicae di Plutarco, successiva al 1488 quella a Sandei dell’Ad Nicoclem e del Nicocles di Isocrate. Priva di dedica è la traduzione delle Dissertationes di Epitteto, avviata tra il 1494 e il 1498 e terminata certamente prima del 19 febbraio 1512. Tra il 1492 o poco prima e il 1494 circa si pongono le dediche delle traduzioni poi pubblicate a Brescia nel 1497 presso Bernardino Misinta: ad Alessandro VI del De virtute morali di Plutarco (ma nel manoscritto livornese la dedica è a Piccolomini, segno che forse il lavoro risale a prima dell’elezione di Rodrigo Borgia al soglio pontificio, il 12 agosto 1492), al cardinale Cesare Borgia del trattato astronomico di Cleomede, a Giovanni Borgia duca di Gandìa dei Coniugalia praecepta di Plutarco, a Piccolomini di tre orazioni sulla concordia, la 24 di Elio Aristide, la 38 e la 39 di Dione Crisostomo. Non si ha traccia della traduzione dei De tuenda sanitate praecepta di Plutarco dedicata ad Alessandro VI, che Valgulio, nella citata dedica a Cesare Borgia, dice di aver portato a termine dopo la morte di Sinibaldi.
Non è provato che al suo ritorno in area bresciana abbia aperto una sua scuola, col poeta Andrea Marone tra gli allievi, come afferma qualche studioso. Sembra certa la sua appartenenza all’Accademia dei Vertumni, mentre è documentato che nel 1502 si impegnò senza successo per far istituire in città un insegnamento pubblico di musica. In seguito portò a termine il Prooemium alla sua traduzione latina del De musica plutarcheo, che, avviata nei decenni precedenti e portata a conoscenza di Franchino Gaffurio prima del 1492, fu pubblicata nel 1507 presso Angelo Britannico con dedica al giovane chierico bresciano Tito Perini. Qualche tempo prima aveva completato le traduzioni latine di Anabasis e Historia Indica di Arriano, poi pubblicate con dedica a Bartolomeo d’Alviano senza note tipografiche, ma certo prima della sconfitta di Agnadello ed entro l’aprile 1508 dall’editore bresciano Antonio Moretto all’epoca attivo a Venezia. Non si ha altra notizia di una sua traduzione dell’orazione De pace di Isocrate, che secondo Elia Capriolo fu terminata dopo il 1506. Il 10 febbraio 1509 pubblicò a Brescia presso Giovan Antonio Gandino due suoi pamphlet in latino riuniti in un opuscolo: nello Statutum Brixianorum de sumptibus funerum, contro le obiezioni dei Domenicani, difese le misure adottate dalle autorità cittadine nel 1507 per limitare lo sfarzo delle celebrazioni funebri; nel Contra vituperatorem musicae reagì appassionatamente alla condanna della musica espressa da un anonimo censore, forse un insegnante, evidenziando, in termini neoplatonici e sulla base delle sue conoscenze dei testi musicologici greci, gli aspetti positivi della disciplina. Una lettera che Giano Lascaris gli inviò da Roma verosimilmente nel 1513 documenta un consolidato rapporto di intima familiarità tra i due, di cui non è dato ricostruire le fasi iniziali. A lui va ascritto anche il De concordia Brixianorum, altro pamphlet di argomento politico nel quale si sostiene l’opportunità di un allargamento della base sociale degli organismi politici cittadini, pubblicato dal medesimo editore nel 1516 sotto il nome di Benedetto Massimi. Il testo diede l’avvio a un confronto acceso e senza esclusione di colpi tra opposte fazioni, e in quel clima, il 7 gennaio 1517, Valgulio fu assassinato per mano di Filippino Sala.
Plut. ger. reip.: Venezia, Biblioteca nazionale marciana, Lat. VI 69; Brescia, Biblioteca queriniana, L I 9; Pisa, Biblioteca universitaria, 554; Isocr. Ad Nic., Nic.: Siena, Biblioteca comunale, H IX 10; Epict. Diss.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Patetta 967, cc. 1r-90v. Traduzioni edite: Cleom. met.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4037, cc. 130r-152v; Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XI 10; Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 182, cc. 3v-63v; University of Pennsylvania, Lat. 13, cc. 279r-338v; Plut. virt. mor.: Livorno, Biblioteca Labronica, 091 Mss. Sez. XVI n. 43; Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Lat. 5234, cc. 193r-211r; Plut. con. praec.: Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Lat. 5234, cc. 169r-183r. Poesia per Giovanni Lorenzi: Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5641, c. 57r.
Per i rapporti con i contemporanei e i prestiti presso la Biblioteca apostolica vaticana: M. Ficino, Opera, I, Basileae 1576, pp. 640 s., 736 s., 791 s.; P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum I, Florentiae 1937, p. 114; M. Bertòla, I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana. Codici Vaticani Latini 3964, 3966, Città del Vaticano 1942, pp. 24, 26, 30, 34, 38, 56-57; I. Maïer, Les manuscrits d’Ange Politien, Genève 1965, pp. 391-393; Ead., Ange Politien. La formation d’un poète humaniste (1468-1480), Genève 1966, p. 148; M. Montorzi, Taccuino feliniano, Pisa 1984, pp. 59, 142-144, 167-169; S. Gentile, Marsilio Ficino. Lettere, I, Firenze 1990, pp. LXXXIII, 107; A. Pontani, Per la biografia, le lettere, i codici, le versioni di Giano Lascaris, in Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del secolo XV. Atti del convegno internazionale..., Trento... 1990, a cura di M. Cortesi - E.V. Maltese, Napoli 1992, pp. 363-433; P.O. Kristeller, Sebastiano Salvini, a Florentine Humanist and Theologian, and a member of Ficino’s Platonic Academy, in Id., Studies in Renaissance Thought and Letters, III, Roma 1993, pp. 178 s.; Id., Marsilio Ficino e Venezia, ibid., IV, Roma 1996, pp. 250-253; F. Pontani, Angeli Politiani Liber epigrammatum Graecorum, Roma 2002, pp. 10-16, 57-70; A. Meriani, Musica greca antica a Brescia ai principi del Cinquecento: il Prooemium in Musicam Plutarchi ad Titum Pyrrhinum e la Musica Plutarchi a Charolo Valgulio Brixiano versa in latinum (Brescia 1507), in Philomusica on-line, XV (2016), 1, pp. 9-10; D. Caso, La fortuna umanistica di Elio Aristide, Turnhout 2019, pp. 115, 118-122, 133.
Per il versante bio-bibliografico si veda A. Valentini, C. V. letterato bresciano del XV secolo, Brescia [1903], ricco di aneddotica, ma non sempre accurato e spesso impreciso. Per il quadro storico-culturale, per aspetti particolari, famiglia e formazione: A. Zanelli, recensione a Valentini, C. V., cit., in Archivio storico lombardo, XXXI (1904), pp. 125-133; P. Guerrini, C. V. arciprete d’Iseo, in Memorie storiche della diocesi di Brescia, III (1932), pp. 217-219; V. Cremona, L’umanesimo bresciano, in Storia di Brescia, a cura di G. Treccani degli Alfieri, II, Brescia 1963, pp. 539-617; Il sacco di Brescia, a cura di V. Frati et al., Brescia 1989, p. 759, con rimandi; S. Signaroli, Maestri e tipografi a Brescia (1471-1519), Travagliato-Brescia 2009, p. 241 e ad ind.; E. Valseriati, Tra Venezia e l’impero. Dissenso e conflitto politico a Brescia nell’età di Carlo VIII, Milano 2016, passim. Alcune fonti d’archivio sono richiamate in Meriani, Musica greca antica, cit.
Sulle opere di Valgulio: traduzioni e dedicatorie: E. Alvisi, Cesare Borgia, Imola 1878, pp. 26-28, 461-463; Meriani, Musica greca antica, cit., pp. 3-4, 12; Caso, La fortuna umanistica, cit., pp. 115-175; G. J. Boter, Epictetus, in Catalogus Translationum et Commentariorum, IX, Washington 2011, pp. 16-18; Plutarchi Chaeronensis De musica Carolo Valgulio interprete, a cura di A. Meriani, in corso di stampa. Per le opere originali: J.D. Cullington - R. Strohm, ‘That liberal and virtuous art’: three humanist treatises on music, Newtownabbey 2001, pp. 87-101; S. Bowd - J.D. Cullington, Two Renaissance treatises: C. V. of Brescia on funerals and music, in Annali queriniani, III (2002), pp. 131-171; Iid., Vainglorious Death. A Funerary Fracas in Renaissance Brescia, Tempe (Arizona) 2006; Meriani, Musica greca antica, cit., pp. 1-49; E. Valseriati, Il mercante di lana e l’umanista civile. Note sul de concordia Brixianorum di Benedetto Massimi e C. V. (1516-1517), in Commentari dell’Ateneo di Brescia, CCXIII (2014, ma 2018), pp. 443-456; A. Meriani, C. V. studioso di musica greca antica: il Proemium in Musicam Plutarchi ad Titum Pyrrhinum, in Vichiana, LVI (2019), 1, pp. 61-88.