TULLIO-ALTAN, Carlo
TULLIO-ALTAN, Carlo. – Nacque a San Vito al Tagliamento, già provincia di Udine, il 30 marzo 1916, da Francesco, imprenditore agrario di antica nobiltà terriera, e da Gianna Vinay, appartenente all’alta borghesia intellettuale piemontese.
Secondogenito con tre sorelle, frequentò il liceo a Udine. Destinato alla carriera diplomatica, seguì i corsi di giurisprudenza nell’Università di Roma dove si laureò in diritto internazionale nel 1940. Nel 1938 dopo il servizio di leva fu richiamato come ufficiale di Cavalleria. Affetto da amebiasi ritornò dall’Albania nel 1941 e per tre anni fu sottoposto a cure. Dai ventidue ai ventinove anni rimase sotto le armi, in guerra e poi nella Resistenza, con un ruolo di comando nella formazione partigiana Osoppo Friuli e nel Comitato veneto di liberazione nazionale. Contrasse matrimonio con Eleonora Sernagiotto da cui nacquero Francesco (il noto e apprezzato vignettista Altan), Cristiana ed Elisabetta.
Nel 1943 si dichiarò ispirato dalla produzione scientifica di Benedetto Croce. Entrato poi a far parte del Partito liberale italiano stabilì con lui un vincolo che durò fino alla morte del filosofo. Durante gli anni Cinquanta intraprese numerosi viaggi in Europa. Con il sostegno economico paterno, per circa un decennio pratico ciò che definì come un «grand tour intellettuale». Dapprima soggiornò a Vienna, presso il Voelkerkunder Museum, dove frequentò esponenti della Scuola austro-tedesca dei cicli storico-culturali, in particolare padre Wilhelm Schmidt e collaboratori. In questa sede studiò la diffusione delle credenze in un Essere supremo e le forme varianti dell’esperienza religiosa.
La seconda tappa fu Parigi dove esaminò a fondo gli studi delle grandi scuole socio-etnologiche, dalle quali ricavò alcune nozioni fondamentali che entrarono a far parte del suo apparato scientifico. Egli si riferì espressamente al concetto di coscienza collettiva di Émile Durkheim, al tema del prelogismo di Lucien Lévy-Bruhl, legato all’esperienza simbolica, alla teoria del dono con la nozione di fatto sociale totale di Marcel Mauss. Nel quadro della fenomenologia delle religioni approfondì le indagini sulla nozione di sacro, inteso come «completamente altro» da Rudolf Otto, e gli apporti di autori che ritenne fondamentali nei suoi successivi studi sull’esperienza religiosa. Nello stesso periodo approfondì le conoscenze di paleoantropologia presso il Musée de l’homme e, in altre sedi, i fondamenti psicologici delle teorie formulate da Jean Piaget e Carl Jung.
Tra il 1956 e il 1957 Tullio-Altan frequentò la biblioteca del British Museum di Londra ove si dedicò alle indagini sulle civiltà e le religioni dell’Egitto antico, del Medio ed Estremo Oriente e del mondo islamico. Concluso il decennale soggiorno nei centri europei più qualificati, in capo a un biennio attese alla pubblicazione di uno studio storico-antropologico dal titolo Lo spirito religioso del mondo primitivo (Milano 1960), con l’introduzione di Remo Cantoni. Nello stesso anno ottenne la libera docenza in antropologia culturale e un primo incarico di insegnamento della stessa disciplina nell’Università di Pavia.
L’esperienza dell’insegnamento e la necessità di perfezionare alcuni argomenti teorici lo indussero ad approfondire il concetto centrale di cultura. Egli esaminò in chiave critica i contributi di esponenti dell’antropologia statunitense come Franz Boas e Alfred Kroeber a cui si devono i concetti di superorganico e di determinismo culturale, principi di spiegazione che tali studiosi attribuiscono alla cultura di un popolo, intesa come configurazione integrata. Tullio-Altan ne conseguì che questi finiscono con il diventare i prodotti della cultura stessa obiettando che posizioni deterministiche analoghe si ritrovano negli studi sul carattere nazionale affrontati da psicologi come Abram Kardiner e da noti antropologi come Ralph Linton e Ruth Benedict.
Ponendosi in una prospettiva innovativa affrontò l’ardua questione delle leggi sulla struttura e il funzionamento dei sistemi sociali, argomenti di dibattito delle diverse scuole di pensiero statunitensi e britanniche di antropologia e sociologia. La valutazione critica degli apporti dovuti ad Alfred Reginald Radcliffe-Brown e più in particolare a Bronisław Malinovski, lo indussero a ripensare il modello teorico funzionalistico ‘classico’ di matrice sociologica e a riformularlo come strumento concettuale costituito sulla base di una serie di specifici bisogni e di corrispondenti risposte culturali. Posizione del tutto nuova rivolta a interpretare una realtà sociale complessa caratterizzata dalla presenza umana. Da una posizione critica rispetto allo strutturalismo linguistico sostenuto da Claude Lévi-Strauss in Antropologia strutturale (Milano 1966), Tullio-Altan iniziò la sua produzione manualistica con Antropologia funzionale (Milano 1968), che da una visuale storico-funzionale situava l’uomo al centro del discorso antropologico e della stessa nozione di cultura. Per lui «Questo significa concepire la cultura in modo funzionale, in una prospettiva funzionale in relazione ai problemi di vita che essa è destinata a risolvere» (C. Tullio-Altan, Un processo di pensiero, 1992, p. 240).
Negli stessi anni si dedicò allo studio di temi connessi alla scuola di cultura e personalità affrontati da psicologia e psichiatria. Ponendosi su questo terreno rielaborò il concetto durkheimiano di «anomia» e quello di «crisi della presenza» di Ernesto De Martino per affrontare il tema delle forme patologiche di disagio e disadattamento umano. Le condizioni di turbamento mentale si possono esprimere simbolicamente con il disegno e la pittura qualora denotino alterazioni psicopatologiche dell’espressione. Per Tullio-Altan le opere artistiche dovute a tali pazienti, se interpretate contestualmente dall’antropologo e dallo psichiatra, possono diventare validi strumenti diagnostici e pertinenti mezzi di cura.
Nell’ottobre del 1968 si trasferì presso l’Istituto superiore di scienze sociali di Trento che si stava costituendo come il principale polo italiano del settore. Nella sede trentina la situazione si presentò molto diversa da quella pavese tanto da richiedere una organizzazione dei programmi e della didattica basata in prevalenza sul metodo seminariale propugnato dal movimento di idee nato nel 1968.
Per la sua stessa formazione Tullio-Altan non pensò mai di svolgere ricerche presso popolazioni extraeuropee, tanto che privilegiò gli studi sulle culture occidentali. Sempre sensibile ai fenomeni sociali contingenti, promosse un’inchiesta pluridisciplinare sulla condizione giovanile che richiedeva l’uso di sofisticati metodi quantitativi. La complessa ricerca realizzata tra il 1965 e il 1970 verteva sul sistema dei valori, gli atteggiamenti culturali, sociali e politici prevalenti fra i giovani e si concluse con due volumi, I valori difficili. Classi sociali e scelte politiche (Milano 1974; con A. Marradi) e Indagine sulla gioventù degli anni Settanta (Milano 1976).
Stando a Trento prese in esame la letteratura marxiana e gramsciana, valutando altresì l’influenza della psicanalisi freudiana e della scuola di Francoforte sull’antropologia. Queste acquisizioni, assieme alla teoria innovativa del funzionalismo critico che superava le posizioni antropologiche prevalenti, costituirono le basi di un nuovo Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo (Milano 1971), che trattò dello sviluppo storico del pensiero e del metodo antropologico partendo da una disamina puntuale sul concetto di cultura e sulle sue potenzialità applicative. All’opera fece seguito un testo che ebbe un diffuso impiego didattico: Antropologia. Storia e problemi (Milano 1983).
Nel 1971 Tullio-Altan si trasferì per chiamata presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Firenze e nel 1972 vinse il primo concorso nazionale di antropologia culturale.
Durante i sette anni di permanenza a Firenze preparò una serie di articoli e saggi che furono la premessa di studi conseguenti. Nel 1972 sottopose a un esame stringente i contributi della scienza delle tradizioni popolari o folklore. A suo giudizio le ricerche si occupavano in prevalenza di fenomeni residuali che si riproducevano in talune regioni italiane. In una prospettiva del tutto nuova, egli auspicava che le indagini selezionassero specifici caratteri osservabili nelle comunità locali collocandoli in un più ampio quadro storico e strutturale capace di far emergere l’esistenza nel Paese di dislivelli culturali. Nella convinzione che il tema dell’economia non fosse valorizzato a sufficienza, nel 1973 organizzò un convegno internazionale a Firenze che fece emergere la necessità di promuovere anche in Italia insegnamenti di antropologia economica. Espresse un convinto apprezzamento per Karl Polanyi, che intendeva l’economia incorporata nel sociale in conformità con le posizioni dovute a Mauss, Malinowski, Richard Thurnwald e Raymond Firth. Tullio-Altan condivise l’azione di contrasto avviata da Polanyi nei confronti del formalismo economico condividendone l’indirizzo sostantivista. Il primario interesse per la ricerca lo portò a concludere che nelle ricostruzioni del passato non si potesse evitare l’esame critico delle fonti e quindi il ricorso a un articolato ‘sapere extrafonti’ che comprendesse anche l’economia. Con Fernand Braudel e la scuola delle Annales condivise l’assioma che per delineare la teoria dei differenti scenari storici non si possa evitare di ricorrere alle diverse discipline scientifiche ivi compresa la scienza della cultura.
Nel 1978, ricevuta una proposta di trasferimento nella facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Trieste, Tullio-Altan accettò di buon grado l’offerta che gli consentiva di congiungersi con figli e nipoti che ad Aquileia abitavano la Ca’ Tullio, ampia costruzione compresa nelle terre di famiglia.
Durante quest’ultima tappa della carriera universitaria continuò a distinguersi per la consueta operosità. Pubblicò un buon numero di volumi, saggi scientifici e articoli nei quotidiani. Animato da un alto senso del dovere proseguì nelle ricerche trattando temi rilevanti per l’antropologia, la politologia e gli studi sulla complessità moderna.
La sua passione civile e la vastità degli interessi si ritrovano in molte opere che vanno dall’antropologia religiosa alle ricerche sulla società civile italiana ed europea, dalla psicopatologia dell’espressione all’antropologia dei valori, dagli studi sul simbolismo alla formazione dell’identità.
Negli ultimi tempi questo riconosciuto maestro della scuola italiana di antropologia riprese le riflessioni sull’esperienza religiosa. Pubblicò Religioni, simboli e società. Sul fondamento umano dell’esperienza religiosa (Milano 1998; con M. Massenzio) e Le grandi religioni a confronto. L’età della globalizzazione (Milano 2002).
Morì a Palmanova il 15 febbraio 2005.
Opere. Antropologia funzionale, Milano 1968 (in partic. Sulle pitture dei malati di mente. Relazioni tra psichiatria e antropologia, pp. 275-328); Il materialismo culturale come reazione all’antropologia tradizionale, in M. Harris, L’evoluzione del pensiero antropologico, Bologna 1971, pp. VII-XXVII; The destructive consequences of peasant culture in modern Italy, in Research in economic anthropology, I, 1978, pp. 217-229; Introduzione, in P. Sibilla, Una comunità Walser delle Alpi. Strutture tradizionali e processi culturali, Firenze 1980, pp. 11-15; La nostra Italia. Arretratezza socio-culturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità a oggi, Milano 1986; Sullo specifico del simbolico, in Metodi & Ricerche, IX (1990), pp. 3-58; Un processo di pensiero, Milano 1992; Soggetto, simbolo e valore. Per un’ermeneutica antropologica, Milano 1992; Ethnos e civiltà. Identità etniche e valori democratici, Milano 1995; Gli italiani in Europa. Profilo storico comparato delle identità nazionali europee, Bologna 1999; Le grandi religioni a confronto. L’età della globalizzazione, Milano 2002; La democrazia non è esportabile, mai, comunque, sulla canna dei fucili, in Social Trends, 2003, n. 101, pp. 11 s. Fra i numerosi articoli apparsi sui quotidiani Le due società. Alle radici della violenza, in La Stampa, 3 maggio 1977.
Fonti e Bibl.: P. Ignazi, Populismo e trasformismo: l’analisi di T.-A., in il Mulino, 1989, n. 5, pp. 864-870; R. Cartocci, Presentazione, in C. Tullio-Altan, Italia: una nazione senza religione civile. La ragioni di una democrazia incompiuta, Udine 1995, pp. Xl-XXV; U. Fabietti - R. Remotti, L’antropologia culturale in Italia, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, IX, Milano 1996, pp. 295-305; R. Malighetti, T.-A., C., in Dizionario di antropologia, a cura di U. Fabietti - F. Remotti, Bologna 1997, p. 772; L. Sciolla, Italiani. Stereotipi di casa nostra, Bologna 1997, pp. 14-36; R. Albano, Il capitale sociale in Italia un deficit insanabile?, in Quaderni di sociologia, 2002, n. 29, pp. 180-186; M. Massenzio, Attento alle religioni e alla società, in la Repubblica, 16 febbraio 2005; E. Di Giovanni, Filosofia critica e esperienza storica come impalcature metodologiche nell’antropologia di T.-A., in Dada. Rivista di antropologia post-globale, 2016, pp. 116 s.