TIENGO, Carlo
TIENGO, Carlo. – Nacque da Giovan Battista e da Giuditta Bonandini il 1° aprile 1892 ad Adria, nel Basso Polesine. Qui visse fino al 1926, sposandosi con Velia Gusella, maestra elementare. La coppia ebbe almeno un figlio, Mario (Adria, 30 aprile 1922 - Pavia, 3 settembre 2010), che nel secondo dopoguerra sarebbe diventato un medico di fama internazionale, noto come uno dei fondatori in Italia della terapia del dolore.
In gioventù si avvicinò ai circoli repubblicani adriesi, che annoveravano tra le loro fila il sindacalista Giovanni Marinelli, con il quale strinse un saldo rapporto (Rondina, 2014, p. 91). Mentre frequentava la facoltà di giurisprudenza all’Università di Padova, entrò a far parte di un gruppo di studenti irredentisti denominato Battaglione San Giusto. Partecipò alla prima guerra mondiale con il grado di capitano di complemento del 22° reggimento fanteria, venendo decorato con medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Pel primo si slanciava all’assalto di una forte posizione, e la raggiungeva sotto violente raffiche di fuoco nemico, sostenendovi con mirabile coraggio un’accanita lotta con i difensori, che costringeva alla resa. Catturata poi una mitragliatrice, la rivolgeva tosto contro l’avversario che veniva più volte al contrattacco in gran forze; manteneva così saldamente la posizione. - Monte Asolone, 14-15 gennaio 1918» (http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org).
Nel dopoguerra riprese la militanza politica tra le file repubblicane, candidandosi alle elezioni amministrative della sua città nel novembre del 1920 (Bellinetti, 1985, p. 132). Nell’aprile del 1921, seguendo Marinelli, aderì al Partito nazionale fascista (PNF) dopo aver ascoltato a Milano un comizio di Benito Mussolini (Rondina, 2014, p. 91); tuttavia – secondo la testimonianza dello squadrista Gino Finzi – già dall’inverno precedente figurava tra i fondatori del fascio di Loreo (Rovigo) e partecipava alle spedizioni delle camicie nere nel Basso Polesine (Bellinetti, 1985, pp. 63-65). Nel 1922 prese parte alla marcia su Roma, guidando il reparto mitraglieri della legione polesana. In seguito divenne console generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e nel gennaio del 1925 segretario provinciale della federazione fascista di Rovigo (Cifelli, 1999, p. 270).
Conseguita la laurea in giurisprudenza, si avviò alla carriera prefettizia, entrando nei ranghi non per concorso ma per nomina politica. Divenne così uno dei tanti funzionari ai quali il regime affidò il processo di fascistizzazione dello Stato italiano, condotto anche attraverso la politicizzazione dell’istituto del prefetto, figura nodale tra centro e periferia che spesso venne sottratta alle canoniche procedure di selezione burocratica. Come primo incarico, il 16 dicembre 1926, venne mandato a Sondrio, dove rimase fino al settembre successivo, quando fu trasferito a Piacenza. Nella città emiliana rappresentò il primo di quattro prefetti di nomina politica che detennero il potere locale per circa quattro anni l’uno fino al 1942, «a conferma della tesi di una provincia inquieta da tenere sotto controllo» (Achilli, 2007, p. 102). L’esperienza fu segnata dai contrasti con il ras Bernardo Barbiellini Amidei, podestà dal 1927 al 1929, al quale contestò (con bocciature di delibere) i disavanzi al bilancio comunale indotti dalle eccessive spese assistenziali e la mancata riduzione delle tasse richiesta dall’adeguamento alla politica di stabilizzazione monetaria a ‘quota 90’. Il dissidio tra i due vertici dell’amministrazione locale si concluse con il siluramento di Barbiellini da parte del PNF.
Nel gennaio del 1931 un nuovo mandato aprì una fase che lo vide impegnato come prefetto al confine orientale, prima a Gorizia e poi, dal gennaio del 1933 al luglio del 1936, a Trieste. Nella regione del Friuli-Venezia Giulia il regime ricorreva sistematicamente a funzionari pubblici provenienti dai quadri del partito, come Tiengo, per creare «una sorta di cintura di sicurezza» che mettesse al riparo il potere fascista dai nemici interni ed esterni (Vinci, 2011, p. 171). Durante questo duplice incarico il bersaglio politico principale delle iniziative prefettizie fu rappresentato da certi ambienti clericali più refrattari ad accettare il patto tra fascismo e Chiesa cattolica. In particolare, Tiengo si scontrò con l’anziano arcivescovo sloveno di Gorizia, Francesco Borgia Sedej, e con il vescovo della diocesi di Trieste e Capodistria, monsignor Luigi Fogar. Anche per mezzo di una violenta campagna di stampa, condotta principalmente sulle colonne dei quotidiani triestini Il Piccolo (di proprietà del senatore Teodoro Mayer, diretto da Rino Alessi) e Il Popolo di Trieste (organo della federazione fascista, diretto da Michele Risolo e Carlo Barbieri), i due sacerdoti vennero pesantemente attaccati, screditati e, infine, allontanati: Sedej già nel 1931, Fogar nel 1936 (Botteri, 1995, pp. 67-81). Nel frattempo, operando in un’area fortemente colpita dagli effetti della depressione economica, Tiengo produsse una serie di preoccupate relazioni mensili al ministero dell’Interno, registrando almeno fino a tutto il 1934 un costante incremento di disoccupazione e indigenza, e chiedendo la pronta ripresa dei lavori per le opere pubbliche e delle commesse statali per i cantieri navali (Vinci, 2011, pp. 207 s.).
Nel biennio compreso tra il 1° agosto 1936 e il 15 agosto 1938 fu prefetto a Bologna. Il 16 agosto 1938 entrò in carica a Torino, dove sostituì Pietro Baratono, che si era scontrato apertamente con il gerarca Piero Gazzotti denunciandone i comportamenti scorretti e gli abusi di potere. L’arrivo di Tiengo nel capoluogo piemontese, tuttavia, non chiuse definitivamente il conflitto di competenze politico-istituzionali tra prefettura e federazione, che scaturiva in realtà dalle ambizioni personali di Gazzotti, molto legato al segretario nazionale del PNF Achille Starace: fu lo stesso federale a rivelare al suo superiore l’esistenza di dissidi e una conseguente «vivace offensiva» di Tiengo, appoggiato dal questore (Roma, Archivio centrale dello Stato, Partito nazionale fascista, Situazione politica delle province, b. 25, lettera di Gazzotti a Starace, 7 giugno 1939). L’intera vicenda è emblematica delle divisioni interne al sistema istituzionale fascista, delle rivalità tra apparati ministeriali e partito, dell’invadenza di quest’ultimo nel tentativo di conquistare una posizione egemone negli equilibri di potere anche su scala locale (Lupo, 2000, pp. 382-386).
I rapporti complicati con il federale torinese comunque non distolsero Tiengo dal fedele asservimento al regime fascista. All’indomani dell’emanazione delle leggi razziali, eseguì scrupolosamente gli ordini governativi e avviò le operazioni per il censimento degli ebrei. Il 4 gennaio 1939 firmò la circolare di applicazione del regio decreto n. 1728 del 17 novembre 1938, recante provvedimenti per la difesa della razza italiana, che vietava i matrimoni misti e stabiliva i criteri per la classificazione dei nati da unioni interrazziali; il 25 febbraio firmò un’altra circolare, sempre indirizzata ai podestà dei comuni della provincia torinese, relativa al censimento degli ufficiali di razza ebraica in congedo (Salvo, 2013, pp. 126 s.).
L’anno successivo, dopo l’entrata in guerra dell’Italia e i primi bombardamenti sul capoluogo piemontese, venne decorato con medaglia di bronzo al valor civile con la seguente menzione: «Durante le incursioni di aerei nemici sulla città di Torino, che con lancio di bombe causavano danni e vittime, noncurante del pericolo, era presente dovunque: il suo esempio e la sua parola potevano essere di utile incitamento, recando aiuto e conforto ai feriti e alle famiglie dei caduti; e curando personalmente l’immediata attuazione delle necessarie provvidenze, contribuiva a tenere alto lo spirito della popolazione. - Torino 1940» (Salvo, 2013, p. 127).
In pieno periodo bellico, l’ultimo incarico prefettizio lo portò a Milano, dove prese servizio il 1° febbraio 1941, rimanendo in carica per due anni fino a un’improvvisa svolta nella sua carriera. Il 6 febbraio 1943, infatti, in occasione di un ampio rimpasto ministeriale, Mussolini gli assegnò il ministero delle Corporazioni, in sostituzione di Renato Ricci. Di conseguenza l’ex prefetto diventava anche membro del Gran consiglio del fascismo ed entrava come consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni. La nomina sorprese gli ambienti sindacali e corporativi, data l’estraneità del nuovo ministro al dicastero che andava a guidare: una decisione del tutto «incomprensibile», la definì per esempio il sottosegretario Tullio Cianetti nelle sue memorie (1983, p. 355). Tuttavia si trattava di una scelta che per certi versi confermava la tendenza ad affidare le Corporazioni, dopo l’uscita di Giuseppe Bottai nel 1932, a figure di basso profilo, come per depotenziare l’intero progetto corporativo (Parlato, 2000, pp. 254 s.). In ogni caso, al momento della nomina, Tiengo era già in cattive condizioni di salute e impossibilitato perfino a mettere piede negli uffici di via Veneto, fra l’altro in una fase di estrema difficoltà per il mantenimento del controllo sociale da parte del regime. In pratica, durante l’ondata di scioperi del marzo del 1943, il ministero fu guidato dal sottosegretario Cianetti, che infatti ottenne ufficialmente la promozione a ministro delle Corporazioni il 19 aprile 1943, mentre Tiengo venne sollevato dall’incarico di fatto senza averlo mai esercitato. Nell’arco dell’intero ventennio fascista, rappresentò una delle permanenze più brevi alla guida di un ministero (Melis, 2018, p. 52). Secondo Giovanni Giuriati, che cita il caso come esempio degli errori compiuti da Mussolini nella selezione dei collaboratori durante gli ultimi anni di governo, Tiengo soffriva di «infermità di mente» (La parabola di Mussolini raccontata da Giuriati, II, Come lavorava il dittatore, in La Settimana Incom illustrata, 2 gennaio 1956). In seguito, l’ex prefetto rimase a disposizione del ministero delle Finanze, prima come commissario dell’Ente cellulosa e carta, poi come presidente dell’Istituto nazionale gestione imposte consumo. Le sue condizioni di salute tuttavia non migliorarono e nell’agosto del 1943 venne collocato a riposo. L’anno successivo, dopo una lunga degenza, fece ritorno ad Adria, ormai ritirato a vita privata. All’inizio del 1945, temendo per le sue sorti data la lunga militanza prima nello squadrismo e poi nell’apparato amministrativo dello Stato fascista, cercò rifugio a Milano, dove contava appoggi risalenti ai due anni in cui era stato prefetto. Qui, secondo una testimonianza di Sandro Pertini, la mattina del 25 aprile fu presente alla riunione che si tenne in arcivescovado con il cardinale Ildefonso Schuster e alcuni esponenti del Comitato di liberazione nazionale (CLN) per discutere sulla resa di Mussolini, svolgendo un ruolo attivo nella decisione del duce di non arrendersi e tentare invece la fuga (Uno scritto di Sandro Pertini. Resistenza: patrimonio di tutti, in Avanti!, 16 aprile 1965).
Arrestato dai partigiani e tenuto prigioniero per qualche giorno, se ne persero le tracce fino all’11 maggio, quando venne ritrovato morto nei dintorni di Milano con in mano un biglietto sul quale era scritto «Sono Carlo Tiengo» (Bellinetti, 1985, p. 133).
La sua figura, emblematica di una generazione di funzionari statali provenienti dalla militanza squadristica e totalmente incardinati nei ranghi del regime mussoliniano, finì nell’oblio, fino alla parziale riscoperta in opere memorialistiche o storiografiche attente alla dimensione locale delle strutture di potere del fascismo.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale dell’Amministrazione civile, Divisione Affari generali e riservati; Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 95, f. Tiengo Carlo. Altra documentazione è reperibile nei fondi di prefettura conservati presso gli archivi di Stato delle città in cui Tiengo esercitò la funzione di prefetto: Sondrio, Piacenza, Gorizia, Trieste, Bologna, Torino, Milano.
Schede biografiche ad nomen in M. Bellinetti, Squadrismo di provincia. La nascita dei fasci di combattimento in Polesine (1920-1921), Rovigo 1985; A. Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Roma 1999; N.S. Salvo, I prefetti della provincia di Torino. 1861-1943, Roma 2013. Sul rapporto con Marinelli e l’adesione al fascismo, A. Rondina, Giovanni Marinelli. Una carriera nell’ombra del regime, Adria 2014, p. 91. Sulla partecipazione allo squadrismo, si veda in particolare G. Finzi, Memoriale, in M. Bellinetti, Squadrismo di provincia, cit., pp. 63-65. Sull’esperienza di prefetto a Piacenza, F. Achilli, Classe dirigente e dinamica interna nel fascismo piacentino degli anni Venti, in Fascismo e antifascismo nella Valle Padana, a cura dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, Bologna 2007, pp. 102-104. Sul doppio incarico in Friuli-Venezia Giulia e sulla campagna contro la diocesi di Trieste, G. Botteri, Luigi Fogár, Pordenone 1995, pp. 67-81; A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale, Roma-Bari 2011, ad indicem. Sui dissidi con il federale torinese Gazzotti, S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma 2000, pp. 382-386. Sul breve periodo alla guida del ministero delle Corporazioni, oltre alla testimonianza di T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, Milano 1983, p. 355, si vedano R. De Felice, Mussolini l’alleato, II, La guerra civile. 1943-1945, Torino 1997, ad ind.; G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna 2000, pp. 254 s.; G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna 2018, p. 52. La testimonianza di Pertini sulla presenza di Tiengo all’arcivescovado di Milano la mattina del 25 aprile 1945 fu pubblicata con il titolo Uno scritto di Sandro Pertini. Resistenza: patrimonio di tutti, in Avanti!, 16 aprile 1965, ed è raccolta in Scritti e discorsi di Sandro Pertini, I, 1926-1978, Roma 1991, pp. 576-578.