TESTI, Carlo
– Nacque a Modena il 7 ottobre 1763, figlio unico di Giuseppe e di Rosa Mattioli.
La famiglia, borghese e proprietaria di beni nel Modenese e nel Carpigiano, godette della prerogativa dell’invito alla corte ducale estense grazie a Giuseppe, comandante delle milizie del feudo di Novi di Modena col grado di capitano, che nel 1782 fu insignito dal duca Ercole III del titolo di cavaliere per sé e la sua discendenza.
Carlo fu educato a studi letterari e giuridici presso il seminario-collegio ex gesuitico di Reggio Emilia, sede delle scuole di istruzione superiore dopo la soppressione della locale università nel 1772. Nella Modena dei lumi e delle riforme entrò nel giro di amici di Luigi Cerretti, segretario e cancelliere dell’università e maestro di eloquenza di studenti illustri, come Leopoldo Cicognara, Giovanni Paradisi, Giovanni e Ippolito Pindemonte, Giulio Cesare Tassoni, Giacomo Lamberti. Già intimo di suo padre, Cerretti si prese cura dell’educazione di Carlo e non solo. Fu lui infatti che, grazie alle amicizie contratte a Milano con la famiglia Greppi, organizzò il matrimonio del giovane con Giuseppina Perego, figlia di Gaetano, noto banchiere e fermiere proprietario della villa di Cremnago presso Como, dove Testi a lungo soggiornò.
Grazie a Cerretti e al suo cenacolo culturale e goliardico Carlo coltivò una serie di affinità, compresa quella con Carlo Bentivoglio, che insieme ai viaggi in Europa favorirono la sua formazione umana e intellettuale. Nel 1796, mentre figurava nello stato militare quale cavaliere e tenente colonnello della terza divisione di stanza a Modena, accolse favorevolmente l’arrivo delle truppe francesi (22 giugno) e fece poi parte, con l’incarico di presidente della Commissione militare, del Comitato di governo provvisorio incaricato di reggere la città dopo la fuga di Ercole III. In tale veste nel dicembre partecipò a un congresso a Bologna quale rappresentante di Modena e Reggio insieme a quelli delle altre città cispadane e con essi fu in missione a Milano presso Napoleone Bonaparte. Dopo l’entrata degli ex territori estensi nella Repubblica Cisalpina, nell’estate del 1797 fu nominato ministro degli Esteri. Il 15 novembre nel quadro dei rinnovati interessi espansionistici e filounitari dell’ala più avanzata dell’universo repubblicano cisalpino, inviò a Genova come incaricato d’affari Gaetano Porro, acceso democratico, indi l’amico Cicognara a Torino. Il successivo 15 febbraio 1798 Testi fu fiero sostenitore della Repubblica Romana che considerò «la vendetta contro diciotto secoli di delitti e di servitù» del Papato (I Carteggi di Francesco Melzi d’Eril, 1958-1966, IX, p. 211). Convinto della necessità di salvaguardare la «libertà Italica» (p. 134) nei giochi politici internazionali, reagì al trattato di alleanza della Cisalpina con la Francia del marzo del 1798 che sottomise l’Italia «col bugiardo titolo d’indipendenza» (p. 269). Visse in prima persona gli effetti del rivolgimento democratico del generale Guillaume-Marie-Anne Brune dell’aprile successivo: insieme a Giacomo Lamberti fu uno dei due direttori che sostituirono Pietro Moscati e Paradisi.
Del suo desiderio di rinnovamento morale e politico è prova la Memoria che indirizzò il 2 giugno 1798 a Melzi contro i mali del Paese (I Comizi nazionali di Lione..., 1934-1940, I, pp. 3-8).
Fu tra i patrioti più ardenti. Il 31 agosto 1798 si dimise dal Direttorio essendo contrario all’involuzione autoritaria del nuovo ambasciatore Claude-Joseph Trouvè, il quale polemicamente lo definì un «patriote exageré che va in segreto contro i francesi mentre se ne sta in campagna negli ozi della villeggiatura» (Zaghi, 1992, p. 676). Anche Vincenzo Monti nell’agosto del 1798 riferendosi alla sua villeggiatura di Cremnago ironizzò affermando che stava «in campagna lontano dalla tempesta» (Epistolario di Vincenzo Monti raccolto e ordinato da Alfonso Bertoldi, II, Firenze 1928, p. 101).
Dopo il ritorno degli austro-russi a Milano, Testi andò in esilio a Parigi. Qui reincontrò Cicognara e Cerretti e nel 1800 condivise con gli altri esuli italiani la commozione per la scomparsa di Lorenzo Mascheroni che gli aveva dedicato la poesia Invito a Lesbia Cidonia. Nel luglio del 1799 fu tra i firmatari della petizione di Carlo Botta al Consiglio dei cinquecento per la libertà, l’indipendenza e l’unità della penisola italiana. Da Parigi si proclamò favorevole alla ripresa delle ostilità ritenendo che un allargamento della Repubblica Cisalpina fosse premessa per uno Stato unitario e vide nel ritorno di Napoleone dall’Egitto la garanzia della liberazione del Paese.
Rientrato in Italia dopo Marengo, rifiutò la carica di membro della Consulta legislativa della seconda Cisalpina eletta il 22 giugno 1800 e si ritirò a vita privata. Nel maggio del 1801 tornò nuovamente a Milano per scongiurare il pericolo di un’annessione del dipartimento del Panaro a quello del Crostolo con capitale Reggio. Nonostante le diffidenze di alcuni per le sue posizioni democratiche e unitarie fu designato nella delegazione dei notabili del Panaro ai Comizi di Lione. Qui fu nella Commissione dei nove incaricata di stendere le osservazioni sulla costituzione e le basi delle leggi organiche e in quella per la nomina alle più alte cariche della Repubblica. Ebbe parte nella Commissione dei trenta, dove fu uno degli oppositori alla presidenza di Bonaparte. Fu nominato nel Collegio dei possidenti e nel Consiglio legislativo. Nel marzo del 1804 minacciò le dimissioni per un contrasto con il ministro Giuseppe Prina in materia finanziaria. Nello stesso anno, insieme ad Ambrogio Birago, si schierò a favore del divorzio. Ebbe in più occasioni l’appoggio del vicepresidente Melzi che nonostante alcune perplessità sul suo carattere già nel luglio del 1803 pensò di inviarlo a Parigi al posto di Daniele Felici, nominato ministro degli Interni a Milano: «È savio. Vede bene, ma non fa molto» (I carteggi di Francesco Melzi d’Eril..., 1958-1966, III, p. 2) scrisse di lui il 16 ottobre 1802 a Ferdinando Marescalchi e il 31 marzo 1805 a Napoleone: «È uomo di talenti, tatto e carattere. Sempre a livello delle sue funzioni mai al di sopra» (ibid., VII, p. 440).
Nel gennaio del 1805 fu nominato nella Commissione sulle prede corsare. Il successivo 7 giugno fu incaricato della seconda divisione del ministero degli Esteri a Milano alle dipendenze di Marescalchi a Parigi. Consigliere di Stato e commendatore della corona di ferro (1° maggio 1806), il 19 febbraio 1809 fu nominato senatore al posto del padre Giuseppe: nell’occasione il viceré Eugenio di Beauharnais lo presentò a Napoleone come «uomo distinto sotto tutti gli aspetti, poco lavoratore ma molto capace» (Veggetti, 1933, p. 120). L’11 ottobre 1810 fu creato conte. Presiedette la sessione dei collegi elettorali del Panaro nel 1811. Perse nella campagna di Russia l’unico figlio maschio Fulvio morto a Wilna nel 1813. Alla caduta di Napoleone, precisamente alla vigilia della tregua armata di Eugenio con l’Austria, il 15 aprile 1814 costui pensò a lui come deputato da inviare insieme al generale Achille Fontanelli e al ministro Prina al quartiere generale degli alleati onde difendere «i diritti e gli interessi del Regno» (I carteggi di Francesco Melzi d’Eril..., 1958-1966, VIII, p. 532). Il 17 aprile fu scelto con ventitré voti in Senato per una missione diplomatica presso le potenze della coalizione antinapoleonica. Rinunciò apertamente adducendo la malattia agli occhi e confermando un atteggiamento di estrema prudenza che il segretario di legazione Pierre David aveva denunciato già a suo tempo in altra occasione a Charles-Maurice Talleyrand - Périgord nell’aprile del 1798. Si dimise il 26 aprile confessando di essersi sentito «affatto straniero a questo Stato e alla sua capitale» (Coltorti, 2010, p. 67), quasi a riprova del mai sopito dissidio tra olonisti e cispadani.
Indi si ritirò in campagna a villa delle Rose, presso Modena. Visse con lui la figlia Rosa, nata nel 1792 e sposata infelicemente con il conte Taddeo Rangoni, la quale coltivò l’amore per la patria che era stato del padre. Fu arrestata perché imputata di complicità nella rivolta di Modena del 3 febbraio 1831 per avere cucito su commissione di Ciro Menotti una bandiera bianca, rossa e verde, il tricolore cispadano divenuto emblema di libertà.
Carlo Testi morì a Modena il 14 marzo 1849.
La sua ricca biblioteca di classici passò alla Biblioteca Estense.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Particolari, b. 359, f. 30, b. 360, f. 96, b. 361, f. 167, b. 363, f. 332; Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, L C, f. Carlo Testi, f. II, doc. 148, docc. 141-143; Famiglie modenesi, b. 11, f. 4, Famiglia Testi; Archivio di Stato di Milano, Araldica, p. m., cart. 170; Consiglio legislativo, verbali; Archivio Marescalchi, cart. 124; Archivio Melzi restituito, cartt. 12-13; Archivio Testi, cart. 273; Uffici e Tribunali regi, p. m., cart. 653; Parigi, Archives des affaires etrangères, Correspondance politique, Milan, 55-58; Mémoires et documents, Italie, 15, c. 215; Archives nationales, AF, III, 71 s., 551, IV, 1709, Notes des fontionnaires actuels de la République italienne.
F. Coraccini [G. Valeriani], Storia dell’amministrazione del Regno d’Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, p. CXXIX; L. Bosellini, Elogio del conte cavaliere Luigi Valdrighi, Modena 1863, p. 52; C. Dionisotti, Vita di Carlo Botta, Torino 1867, pp. 500-512; L. Armaroli - C. Verri, La rivoluzione di Milano dell’aprile 1814, a cura di T. Casini, Roma 1897, p. 49; G. Sforza, La rivoluzione del 1831 nel ducato di Modena, Roma-Milano 1909; T. Casini, Ritratti e studi moderni, Roma 1914, pp. 374, 385, 391, 398, 413 s.; A. Pingaud, Les hommes d’État de la République italienne, Paris 1914, pp. 72-76; T. Casini, I candidati al senato del Regno Italico, in Rassegna storica del Risorgimento, 1916, 1, pp. 9-55 (in partic. p. 36); G. Nicodano Rubini, La contessa Rosa Testi Rangoni, Milano 1931; A. Solmi, L’idea dell’unità italiana, Roma 1933, pp. 174 s.; E. Veggetti, Note inedite di Eugenio Beauharnais sui candidati al Senato del Regno Italico, in Rassegna storica del Risorgimento, XX (1933), 1, p. 120; C. Zaghi, Il congresso di Bologna e la missione dei governi cispadani al generale Bonaparte a Milano, ibid., XXII (1935), 5, pp. 701-746 (in partic. pp. 711, 713, 728, 733, 736, 741, 743 s.); I Comizi nazionali di Lione per la costituzione della Repubblica italiana, a cura di U. Da Como, Bologna, I-III, 1934-1940, ad ind. e III, 2, pp. 132 s.; I carteggi di Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, I-IX, Milano 1958-1966, ad ind.; C. Capra, La carriera di un uomo incomodo, in Nuova rivista storica , LII (1968), 1-2, pp. 150-154; G. Mor - P. Di Pietro, Storia dell’Università di Modena, Firenze 1975, I, p. 97; II, pp. 364-389; I deputati emiliano romagnoli ai comizi di Lione, a cura di F. Boiardi, Bologna 1989, p. 222; A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli 1992, pp. 202, 221, 236; C. Zaghi, Il Direttorio francese e la Repubblica Cisalpina. Con un’appendice di documenti inediti, I-II, Roma 1992, ad ind.; A. Dardi, «La forza delle parole». In margine a un libro recente su lingua e rivoluzione, Firenze 1995, pp. 7, 51, 63, 88, 124, 139, 149, 179, 198; Modena napoleonica nella cronaca di Antonio Rovatti, a cura di G.P Brizzi, I, Modena 1995, p. 108; A. De Francesco, Rivoluzione e costituzioni. Saggi sul democratismo politico nell’Italia napoleonica, 1796-1821, Napoli 1996, pp. 34-45; O. Rombaldi, La repubblica Cispadana, Modena 1997, p. 27; A. Arisi Rota, Diplomazia nell’Italia napoleonica. Il Ministero delle Relazioni estere dalla Repubblica al Regno (1802-1814), Milano 1998, ad ind.; V. Sani, La rivoluzione senza rivoluzione. Potere e società a Ferrara dal tramonto della legazione pontificia alla nascita della Repubblica Cisalpina (1787-1797), Milano 2001, pp. 85, 93, 280, 284; A. De Francesco, La democrazia alla prova della spada. Esperienza e memoria del 1799 in Europa, Milano 2003, p. 168; Id., 1799. Una storia d’Italia, Milano 2004, p. 41; S. Momesso, La collezione di Antonio Scarpa (1752–1832), Cittadella 2006, pp. 12-23; F. Sofia, Olonisti e cispadani nei dibattiti del Consiglio legislativo, in La formazione del primo Stato italiano e Milano capitale, 1802-1814, a cura di A. Robbiati Bianchi, Milano 2006, pp. 590-605; V. Sani, Un punto di luna curioso: l’opposizione alla presidenza Bonaparte nei comizi di Lione, in Da Brumaio ai cento giorni, a cura di A. De Francesco, Milano 2007, pp. 369-442 (in partic. pp. 425-428); I. Pederzani Postilla sul Bovara, ministro moderato, Roma 2008, pp. 14, 97, 103; V. Sani, Il «coruttore dei cuori». Luigi Cerretti e la formazione della classe dirigente cispadana dell’età francese, in Con la ragione e col cuore. Studi dedicati a Carlo Capra, a cura di S. Levati - M. Meriggi, Milano 2008, ad ind.; G. Coltorti, I milanesi contro lo stato di Napoleone, in Annali di storia moderna e contemporanea, XVI (2010),pp. 27-80 (in partic. p. 67); K. Visconti, L’ultimo Direttorio. La lotta politica nella Repubblica cisalpina tra guerra rivoluzionaria e ascesa di Bonaparte 1799-1800, Milano 2011, ad indicem.