TENCA, Carlo
– Nacque a Milano, il 19 ottobre 1816, da Giulio e da Caterina Casalini.
Benché versassero in modeste condizioni economiche, i genitori si preoccuparono della sua educazione, facendolo studiare dapprima presso le scuole di Brera e poi nel seminario arcivescovile, dove tradizionalmente un giovane di povere origini poteva raggiungere un’istruzione superiore.
La morte prematura del padre costrinse il diciassettenne Tenca a contribuire al sostentamento della famiglia lavorando quale insegnante presso alcune istituzioni private, come il collegio Boselli. Di lì a poco iniziò a collaborare con giornali milanesi come La Fama (il primo articolo è datato al 23 aprile 1838), il Cosmorama pittorico e il Corriere delle dame. Malgrado qualche composizione in versi, Tenca ebbe la vocazione del prosatore e il suo debutto da romanziere fu La Ca’ dei cani. Cronaca milanese del secolo XIV cavata da un manoscritto di un canettiere di Barnabò Visconti, pubblicato nel 1840, per i tipi milanesi di Borroni e Scotti, come strenna per il 1841.
La storia si svolge nella Milano trecentesca di Barnabò Visconti, e racconta del grottesco amore che il duca prova per i suoi cani da caccia che i cittadini, affamati da carestia e pestilenza, tengono a pensione in cambio di denaro, con il terrore delle punizioni che il truce signore riserva a chi si dimostra custode incapace delle sue amate bestie. È una parodia del romanzo storico di cui fa saltare le convenzioni e si rivela polemica già a partire dal titolo, che richiama il coevo Alla ca’ di can o la corte di Barnabò Visconti di Ignazio Cantù, fratello dell’altro letterato Cesare. La critica del romanzo storico investe anche l’impianto ideologico del genere e a una visione idilliaca della storia oppone un mondo dove i buoni soccombono e i potenti sprofondano nei loro vizi, nei loro sanguinosi giochi da tiranni.
Nel passaggio fra il terzo e il quarto decennio dell’Ottocento, Tenca si avvicinò a Carlo Cattaneo e a Giuseppe Mazzini e mazziniano convinto rimase fino alla triste fine del biennio rivoluzionario del 1848-49. Ma anche negli anni di maggiore vicinanza al grande genovese, Tenca non cedette mai alla sua mistica democratica, tenendosi sempre vicino alle posizioni di Cattaneo e al suo razionalismo radicato nella tradizione lombarda. Cattaneo e Mazzini sono gli interlocutori, impliciti, nelle riflessioni che pubblicò sulla Rivista europea, il periodico fondato da Giacinto Battaglia nel 1838, con cui iniziò a collaborare nel 1840, per poi assumerne quattro anni dopo anche la proprietà e la direzione.
Insofferente verso ogni mitologia o mitografia della patria, avviò sulla rivista una rilettura della cultura nazionale, per fare emergere la continuità nella tradizione intellettuale fra un passato glorioso e un presente incerto, ma degno e capace di una rapida, seppur problematica, rinascita.
Parallelamente alla ricostruzione storiografica, si svolse l’attività di critico militante: Tenca attaccò la miopia della letteratura contemporanea nei confronti dei moti e dei tormenti che agitavano la vita morale della società, sostenendo che il compito del letterato fosse l’approfondimento, e persino la scoperta, delle verità storiche invisibili a un’osservazione superficiale. In un’età dominata dalla censura, sostenne una letteratura capace di raccontare la complessità sociale, di portarne in superficie il malessere diffuso e tutto lo scontento politico causato dal governo austriaco del Lombardo-Veneto, in polemica con il mercato editoriale e le sue opere consolatorie che ignoravano i grandi problemi del presente e non davano spazio al racconto della nuova vita popolare e borghese, alle sue esigenze e ai suoi desideri. Sostenne anche la necessità che i nuovi letterati rompessero gli argini che ancora dividevano la letteratura dalla vita civile, per immergersi nei segreti della moltitudine, della folla dominante il mondo moderno, e per darle «l’intelligenza di sé, del suo fine». Nel linguaggio allusivo imposto dalle circostanze, Tenca auspicava la trasformazione degli attuali lettori nei futuri cittadini di una nazione finalmente indipendente.
Gli anni Quaranta sono anche quelli in cui iniziò la relazione, che durò poi tutta la vita, con la contessa Clara Maffei, conosciuta nel 1844: una relazione affettuosa che si sarebbe fatta più intima dopo il divorzio di Clara dal marito, il conte Andrea, traduttore di Friedrich Schiller e aristocratico austriacante. Il salotto della contessa Maffei era il luogo di ritrovo dell’intellettualità lombarda, dove Tenca conobbe e frequentò Giuseppe Verdi e Honoré de Balzac, e intensificò la frequentazione con Mazzini.
Allo scoppiare della rivolta delle Cinque Giornate, il 18 marzo 1848, fu immediatamente attivo per le vie della città; lui e Giulio Carcano convinsero il tipografo Vincenzo Guglielmini a stampare il proclama di Cesare Correnti: Domande degli Italiani di Lombardia. In un primo momento si avvicinò alle posizioni moderate del conte Gabrio Casati, capo del governo provvisorio, e assunse la direzione del 22 marzo, l’organo ufficiale dell’esecutivo. Ma l’atteggiamento accondiscendente di Casati e dei suoi verso l’annessione al Regno di Sardegna, richiesta da Carlo Alberto come contropartita per la guerra, spinse Tenca a staccarsi dal gruppo per assumere la direzione di L’Italia del popolo, cui parteciparono Mazzini, Giuseppe Revere ed Emilio Visconti Venosta, già firmatari di un indirizzo di protesta contro le pretese sabaude apparso il 13 maggio.
Quando, nel mese di agosto, gli austriaci di Josef Radetzky ripresero possesso di Milano, Tenca riparò dapprima a Lugano e poi a Firenze, dove ancora era in piedi l’esperienza costituzionale del governo guidato da Giuseppe Montanelli, con il quale collaborò sulle colonne della Costituente italiana. La dura sconfitta dell’esperimento rivoluzionario e il lento spegnersi delle esperienze repubblicane a Venezia e Roma, furono causa di un primo ripensamento sulle posizioni mazziniane, come testimonia la sua riluttanza a raggiungere Roma, dove era stato invitato proprio da Mazzini, triumviro della Repubblica, per continuare l’esperienza dell’Italia del popolo. Varcò sì i confini pontifici, ma non arrivò mai nella capitale e, dopo l’occupazione dei francesi del luglio del 1849, fece ritorno a Milano, dove però la direzione degli Imperiali regi licei gli negò la qualifica di «privato maestro del corso filosofico».
Nel gennaio del 1850 si rimise in moto la resistenza dei patrioti contro il governo vicereale austriaco: iniziò quella che poi venne chiamata la ‘guerra dei dieci anni’. Il Crepuscolo, che iniziò le pubblicazioni il 6 gennaio, fu determinante nell’instaurare un nuovo clima: Tenca, pur avendolo fondato e pur essendone l’anima, non poté assumerne formalmente la direzione fino al 1857, ma si rivolse direttamente ai lettori con un appello a non cedere allo sconforto per riprendere il cammino iniziato.
Sul Crepuscolo Tenca riprese le questioni affrontate nel decennio precedente sulla Rivista europea e in particolare il problema di una letteratura in cui potesse trovare espressione la complessità della vita sociale del tempo. Già nel terzo numero del giornale, iniziò a riflettere sulla distanza che si era venuta a creare fra intellettuali e popolo e sull’incomprensione che si era acuita dopo la sconfitta del 1848. L’avvento di una lingua condivisa e non più riservata agli «iniziati» doveva essere alla base di un rinnovato accordo fra la borghesia e le classi lavoratrici, da un lato, e i gruppi patriottici, dall’altro. I modelli positivi proposti da Tenca nei suoi interventi furono quelli dei più recenti frutti della tradizione italiana, come Giacomo Leopardi e Giuseppe Giusti: il primo come esempio stoico di fede nella ragione, ma anche monito contro le tentazioni dell’eremitaggio studioso e dell’indifferenza ai problemi della politica, il secondo come demolitore e demistificatore dei falsi miti di un società corrotta. Al romanzo, in quanto genere attorno al quale far nascere un nuovo pubblico e quindi una nuova comunità nazionale, Tenca assegnò il compito di restituire agli italiani il racconto del loro tempo: un’età apparentemente confusa e incerta, ma guidata da leggi storiche misteriose che il romanziere avrebbe svelato al suo pubblico, e con il racconto della complicata e, solo apparentemente, sconnessa esistenza nazionale, avrebbe rivelato al popolo la sua forza e la sua dignità.
Il Crepuscolo raccolse attorno a sé una larga schiera di collaboratori e oltre alla storia e alla letteratura, si occupò anche di statistica, economia, politica, scienze sociali e naturali. La presenza di Tenca fu costante: interveniva, correggeva e modificava gli articoli con determinazione.
Seppure molto interessato alle questioni internazionali, il giornale ignorò tutti i fatti che riguardavano l’Impero d’Austria: anche per questo subì una diffida già nel 1851, per non aver dato notizia della visita di Francesco Giuseppe nei suoi regni italiani. Il Crepuscolo non commentò neppure il fallimento dei moti mazziniani del 6 febbraio 1853, e per questo ricevette un’altra censura governativa.
I moti del 1853 segnarono il distacco definitivo di Tenca e del salotto Maffei dalle idee mazziniane e l’avvicinamento, dapprima cauto poi sempre più convinto, al Piemonte di Vittorio Emanuele e soprattutto di Camillo Benso conte di Cavour. Più che di una conversione alla causa monarchica per Tenca si trattò di una scelta razionale, basata su un’analisi delle forze in campo.
Nel 1856 pubblicò la sua Storia d’Italia narrata alle donne italiane, e nello stesso anno diede grande risalto alla visita in Francia del re di Sardegna: per quest’ultimo motivo, e per avere di nuovo ignorato la visita imperiale del 1857, la censura austriaca proibì al giornale di occuparsi di questioni di attualità, cosa che portò a un crollo degli abbonamenti, cosicché, dopo essere passato da settimanale a quindicinale, all’inizio del 1859 sospese le pubblicazioni per poi riprenderle solo dopo le vittorie franco-sarde della seconda guerra di indipendenza. L’ultimo numero apparve nel Natale del 1859. Quindi i fondatori del nuovo giornale La Perseveranza, Cesare Giulini e Cesare Correnti, ne offrirono la direzione a Tenca, ma senza successo.
Con il compimento dell’Unità, malgrado qualche novella scritta o abbozzata, Tenca si dedicò soprattutto alla vita politica: fu eletto al Consiglio comunale di Milano nel gennaio del 1860 e presto divenne assessore all’Istruzione, mantenendo questa carica per sette anni. Riuscì a ottenere risultati significativi, come la creazione di scuole popolari, serali e festive per i lavoratori e le donne, la fondazione di una scuola superiore femminile e l’attuazione di un unico programma per tutti gli allievi delle scuole regolari.
Sempre nel 1860 fu eletto in Parlamento con i voti dei moderati e della Sinistra; alla Camera si tenne sempre su posizioni d’ispirazione cavouriana, militando nella Destra storica, vicino a Silvio Spaventa e Bettino Ricasoli, e in polemica con la Sinistra di Urbano Rattazzi.
Per due volte, nel 1860 e nel 1863, fu fra i deputati che risposero al discorso della Corona. Il suo impegno parlamentare si concentrò nel lavoro di commissione (per il riassetto del codice civile nel 1860 e per la revisione del regolamento della Camera tra il 1867 e il 1868) e nelle riforme della scuola, cui si dedicò a partire dal 1865, quando fu nominato membro straordinario – e poi nel 1870 membro ordinario – del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Si batté per far prolungare la durata degli studi comuni e quindi per ritardare la diversificazione classista derivante dalla scelta fra indirizzi scientifici e avviamento professionale.
Gli anni Settanta, che si erano aperti con le feste per Roma capitale, furono il tempo della vecchiaia, della disillusione e delle difficoltà economiche. Quando il ministro Michele Coppino lo nominò commissario dell’inchiesta sull’istruzione secondaria, Tenca viaggiò in tutta la penisola per incontrare uomini di scuola, ma al suo ritorno constatò il disinteresse per il problema da parte della politica. Il fallimento della banca milanese nel 1877 fu causa di un grave danno economico, e nel frattempo la sua salute peggiorò. Nell’inverno del 1879 fu colto da vertigini mentre era alla Camera e cadde ferendosi. Anche se il giorno dopo tornò comunque al lavoro, i medici e la fedele Maffei insistettero per un periodo di riposo al termine del quale, nel 1880, diede le dimissioni da tutti gli incarichi pubblici.
Morì a Milano, il 4 settembre 1883, al termine di una dolorosa malattia; all’antico compagno di lotta Tullo Massarani chiese di «raccogliere tutte le sue carte e di bruciarle come cose inutili».
Opere. Fra i pochi testi pubblicati in volume durante la vita dell’autore, i più importanti sono: La Ca’ dei cani. Cronaca milanese del secolo XIV cavata da un manoscritto di un canettiere di Barbabò Visconti, Milano 1840 (ed. moderna a cura di M. Columni Camerino, Napoli 1985) e la Parte antica della Storia d’Italia narrata alle donne italiane, Milano s.d. [ma 1853].
Numerose le antologie degli scritti a partire da Poesie e prose, a cura di T. Massarani, Milano 1888, passando per Giornalismo e letteratura nell’Ottocento, a cura di G. Scalia, Bologna 1959; A. Palermo, Carlo Tenca. Un decennio di giornalismo italiano (1838-1848), Napoli 1967. E ancora: Saggi critici, a cura di G. Bernardi, Firenze 1969; Scritti linguistici, a cura di A. Stella, Milano-Napoli 1974; Delle strenne e degli almanacchi. Saggi sull’editoria popolare (1845-1859), a cura di A. Cottignoli, Napoli 1995; Racconti e abbozzi inediti, a cura di A. Cottignoli, Bologna 2003. Ciascuno dei titoli citati è accompagnato da importanti apparati critici e interpretativi. L’articolo Del romanzo in Italia è apparso con la duplice attribuzione a Giacomo Battaglia e Carlo Tenca in Storia in Lombardia, 2013, n. 2-3, pp. 181-229 (a cura di M. Viscardi che ne firma anche l’introduzione).
Fonti e Bibl.: Dopo il pionieristico T. Massarani, C. T. e il pensiero civile del suo tempo, Milano 1886, si vedano almeno: L. Jannuzzi, «Il Crepuscolo» e la cultura lombarda (1850-1859), Pisa 1966; P. Voza, Letteratura e rivoluzione passiva. Mazzini, Cattaneo, T., Bari 1978; A. Cottignoli, Le metafore della ragione. Dante, Manzoni, T., Pisa 1988. Per un’analisi dell’azione e dell’influenza di Tenca nel decennio di preparazione, si rimanda agli studi di G. Maffei e in particolare al capitolo VI del suo Nievo, Roma 2012: Verso il romanzo della vita contemporanea, pp. 134-158. Fra i carteggi, vale la pena ricordare quello con la contessa Maffei curato da L. Januzzi, Milano 1973 (nuova ed., Avellino 2016) e La vita letteraria in Piemonte e in Lombardia nel decennio 1850-1859. Carteggio inedito T. - Camerini, a cura di I. de Luca, Milano-Napoli 1973. Le vicende del salotto Maffei sono state ricostruite da R. Barbiera nel suo Il salotto della contessa Maffei e la società milanese (1834-1886), Milano 1895 e, da ultimo, nel volume L’Ottocento di Clara Maffei, a cura di C. Cappelletti, Milano 2017.