TAPIA, Carlo
– Nacque a Lanciano, nella provincia di Abruzzo Ultra nel Regno di Napoli, nel 1565 dal matrimonio di Egidio, magistrato, con la cugina Isabella Tapia Riccia, esponente della piccola nobiltà locale.
Egidio, nel 1565 uditore a Salerno, fu nominato nel 1567 giudice della Gran Corte penale della Vicarìa e nel 1575 presidente di sezione della Camera della Sommaria, tribunale amministrativo del Regno di Napoli.
Rimasto orfano nel 1578, Carlo fu posto sotto la tutela di due eminenti giuristi, lo spagnolo Francisco Álvarez de Ribera e il padovano Girolamo Olzignano, entrambi alti magistrati nei tribunali napoletani, che ebbero un importante ruolo nel suo avvio alla vita pubblica, in particolare Ribera (di cui Tapia scrisse una breve biografia: Francisci Álvarez de Ribera regentis in Supremo Italiae Consilio pro Regno Neapolitano vita a Carolo Tapia in eodem Consilio regente descripta, s.n.t., ma Madrid 1621), nominato nel 1597 nel Consejo de Italia di Madrid, l’organismo che affiancava il sovrano spagnolo nel governo dei territori italiani della monarchia cattolica.
Nel 1583, appena diciottenne, Tapia si addottorò in utroque iure e iniziò a esercitare l’avvocatura, senza per questo però abbandonare gli studi: dopo tre anni pubblicò il Commentarius in rubricam et legem finalem ff. de Constitutionibus Principum (Neapoli 1586), opera di notevole erudizione giuridica imperniata sul quesito se il sovrano si dovesse considerare o no soggetto alle stesse sue leggi.
Tapia sosteneva che il principe non fosse soggetto alle leggi, ma che a esse dovesse sottostare spontaneamente, una posizione che si collocava all’interno di una ben consolidata, e prudente, tradizione giuridica, sebbene arricchita dall’enfasi sul ruolo dei togati, cioè del ceto dei magistrati, come garanti dell’equilibrio del sistema, impegnati nell’applicazione delle leggi del principe, ma anche attenti a intervenire contro le sue violazioni.
La pubblicazione del Commentarius mise in luce il giovane giurista che, grazie anche all’autorevole appoggio di Ribera, nel luglio del 1588 fu nominato dal viceré di Napoli Juan de Zúñiga y Avellaneda, conte di Miranda, uditore per la provincia di Principato Ultra, un’area di confine caratterizzata da contrabbando, brigantaggio, frequenti collusioni tra baronato e banditi. Tapia agì duramente contro il contrabbando, non esitando anche a incarcerare alcuni baroni riconosciuti colpevoli di esportazione illegale di grani; inoltre, profilandosi una situazione di grave carestia, nel 1589 egli fu inviato in Basilicata per fare incetta di generi alimentari da immettere sul mercato di Napoli. Per le doti di efficienza, ma anche di moderazione, dimostrate in entrambi i difficili frangenti, nel 1591 fu promosso all’udienza di Salerno, competente per il Principato Citra e la Basilicata, e ricevette contestualmente la nomina a commissario per la raccolta dei grani per queste due province e per quella di Principato Ultra. In particolare, fu giudicato molto positivamente che egli avesse assolto il suo incarico senza mai ricorrere a misure estreme e impopolari, come requisizioni o sequestri, né gravando le casse dello Stato con acquisti fatti a prezzi esorbitanti, ma intervenendo soprattutto per colpire la speculazione e stabilizzare i flussi che alimentavano il mercato. Tutto questo valse a Tapia il plauso dei contemporanei e la riconoscenza del viceré, che in un memoriale indirizzato alla corte a Madrid descrisse gli ottimi risultati ottenuti dal giovane magistrato.
Un forte legame di fiducia si rinnovò dopo il 1595 anche con il nuovo viceré Enrique de Guzmán, conte di Olivares; fu molto probabilmente per Miranda o per Olivares che Tapia scrisse una lunga e articolata memoria, databile alla metà degli anni Novanta e attualmente conservata presso la Biblioteca nazionale di Napoli, dove si esaminano minuziosamente i problemi delle comunità del Regno, con particolare attenzione ai meccanismi annonari e al dissesto delle finanze municipali. Come sue opere a stampa comparvero al principio degli anni Novanta due libelli, il Discurso de la habilidad de la juventud (Napoles 1590) e lo Specchio di mormoratori (Napoli 1592), entrambi composti da Tapia per difendersi – nel primo in forma mediata, nel secondo più direttamente – dall’accusa di essere troppo giovane e senza esperienza per le cariche ricoperte. Le attività come uditore e come commissario per il reperimento dei grani, al contrario, avevano fornito a Tapia il materiale per comporre la prima parte del Trattato dell’abondanza, compiuta, a detta dell’autore, già nel 1594 e pubblicata con il resto dell’opera nel 1638. Ma il lavoro principale completato da Tapia in questi anni fu il De religiosis rebus tractatus, pubblicato nel 1594, nel quale viene esaminata in modo sistematico la natura giuridica delle maggiori istituzioni ecclesiastiche e dello stato dei religiosi.
Nel 1595 Tapia sposò a Salerno Marianna de Leyva (nipote e omonima del personaggio della Monaca di Monza immortalato da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi), appartenente all’eminente lignaggio dei conti di Monza e dei principi di Ascoli Satriano, da cui nascerà il figlio Francesco Tommaso (circa 1600). Accresciuta la fama di dotto giurista con la pubblicazione del Tractatus, che peraltro rafforzò anche importanti legami con il mondo ecclesiastico, e consolidata la propria posizione sociale con un matrimonio che lo mise in relazione con uno dei maggiori casati dell’aristocrazia spagnola in Italia, Tapia salì rapidamente i successivi gradini del cursus honorum: nel 1596 fu nominato giudice della Gran Corte della Vicarìa e dopo meno di un anno fu proposto a Filippo II per la nomina a membro del Sacro Regio Consiglio. Si trasferì quindi a Napoli e visse da allora con la famiglia nel palazzo che a metà del secolo suo padre aveva costruito nella centrale via Toledo.
Nel 1597, a soli 32 anni, Tapia entrava in uno dei massimi organi dell’amministrazione giudiziaria e finanziaria del Regno di Napoli, nel quale sarebbe rimasto per un quindicennio, occupandosi prevalentemente, ma non esclusivamente, di materia feudale e distinguendosi su questo tema per le posizioni rigidamente ostili alle istanze avanzate dal ceto baronale. Come membro del Sacro Regio Consiglio, fu inoltre ascoltato consigliere dei viceré, in particolare di Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos, che governò Napoli tra il 1610 e il 1616. Tra altri incarichi, Lemos affidò a Tapia la presidenza della deputazione della Pecunia della città di Napoli, organismo che assolveva il delicato compito di coordinare e controllare l’amministrazione delle finanze della capitale del Regno. Fu alla luce di questa ulteriore esperienza che nel 1610 il magistrato redasse un’articolata memoria per il viceré, Instrucción para el buen gobierno de Nápoles, dove venivano ripresi e ampliati molti dei temi già presenti nel documento di un quindicennio precedente, ma ponendo particolare enfasi sui problemi della finanza locale.
Oltre all’attività connessa con l’appartenenza al Sacro Regio Consiglio, Tapia fu impegnato in numerosissimi altri incarichi per i tribunali centrali dello Stato, per la città di Napoli, per varie comunità del Regno, per conservatori, ospedali, monasteri, congregazioni, ordini religiosi, nonché nell’amministrazione del patrimonio della madre in Abruzzo e di quello dei principi di Ascoli Satriano affidatogli dalla famiglia di sua moglie. La capacità di gestire una tale mole di impegni su fronti tanto diversi gli fruttò l’ammirazione di molti contemporanei, ma non mancarono anche giudizi assai severi nei suoi confronti. In particolare, i risentimenti suscitati dalla rapidità della sua carriera si saldarono con le accuse sulla correttezza del suo operato come magistrato formulate in occasione della visita generale del Regno condotta da Juan Beltrán de Guevara a partire dal 1607. Tuttavia, delle ben quarantasei imputazioni formulate contro di lui in questa circostanza, ne risultarono provate solo tre, riassumibili nell’aver accettato regalie da vari soggetti con i quali era venuto a contatto nell’esercizio delle sue funzioni; nel 1617, al termine dell’inchiesta, per le imputazioni delle quali era stato riconosciuto colpevole, gli fu comminata una mite ammenda. Per rispondere alle accuse che gli venivano mosse, Tapia, oltre alla memoria preparata per il visitatore generale, nella quale ricostruiva puntigliosamente la sua carriera di magistrato, pubblicò anche un appassionato libello di difesa: Descargos por el regente Carlos de Tapia (Napoles 1609). Il più importante impegno di scrittura durante il quindicennio di permanenza nel Sacro Regio Consiglio di Napoli fu però quello legato alla stesura dei primi tomi dello Ius Regni Neapolitani (Neapoli 1605-1643), che intendeva riordinare e presentare in forma organica e commentata il corpus di norme giuridiche accumulatesi nel Regno di Napoli, spesso in contraddizione le une con le altre, da Federico II in poi.
Grazie al determinante appoggio del conte di Lemos, nel 1612 Tapia fu chiamato a Madrid da Filippo III per ricoprire l’incarico di reggente nel Consejo de Italia. Anche nel suo nuovo incarico egli continuò a occuparsi prevalentemente di materia feudale, permanendo fermo nell’approccio che enfatizzava il ruolo dei magistrati nel contenere il potere sia del baronato sia del sovrano, come testimonia il contenuto delle Decisiones supremi Italiae Senatus (Neapoli 1626), opera nella quale, successivamente alla fine dell’incarico, egli compì un bilancio dell’attività all’interno del Consejo, ripercorrendo ventiquattro casi di cui si era occupato. Allo stesso tempo, in questi anni di prossimità alla corte di Madrid, Tapia non fu del tutto alieno dalle grandi vicende politiche che si dibattevano nel cuore della monarchia cattolica: egli scrisse sulla questione della successione al trono di Portogallo pubblicando un parere inedito di Francisco de Ribera al quale aggiunse una corposa addenda: Francisci Álvarez Riberae in Supremo Italiae Consilio regentis pro augustissimo Philippo II Responsum de succesione Regni Portugalliae cum additionibus Caroli Tapiae in eodem Consilio Regente (Matriti 1621).
Tuttavia, non arrivò mai a essere una figura di primo piano nella corte di Filippo III: giunto a Madrid grazie al sostegno del conte di Lemos, quando quest’ultimo nel 1618 cadde in disgrazia presso il sovrano, a seguito dell’allontanamento dal potere del valido Francisco Sandoval y Rojas, duca di Lerma, si ritrovò egli stesso senza una figura di riferimento e protezione e quindi costretto a muoversi in modo estremamente prudente; nel 1620, in un carteggio privato, egli esprimeva il desiderio di fare ritorno a Napoli, lamentando il poco potere dei consigli che attorniavano la Corona, nonché le difficoltà economiche che comportava la vita presso la corte. La successione di Filippo IV e l’ascesa di Gaspar de Guzmán, conte-duca di Olivares, contribuirono probabilmente ad accentuare questa sensazione di impotenza, sicché quando nel 1624 si rese disponibile un posto come reggente nel Consiglio collaterale di Napoli, Tapia chiese e ottenne di esservi nominato. Nello stesso anno, in riconoscimento dei servizi prestati alla Corona, gli fu concesso il titolo di marchese sul feudo di Castelnuovo ereditato dalla famiglia di sua moglie, successivamente commutato nel titolo di marchese Belmonte, cui si aggiunse nel 1635 quello di marchese di Villamagna.
Per il rientro a Napoli e l’ingresso nel Consiglio collaterale, massimo organismo politico della città partenopea che affiancava il viceré nel governo del Regno, fu certamente determinante il parere favorevole del viceré Antonio Álvarez de Toledo, duca d’Alba, che intendeva affidare all’esperto magistrato un vasto piano di riordino delle finanze municipali del Regno. Nella seconda metà degli anni Venti, in effetti, Tapia fu posto a capo di una giunta costituita ad hoc, indipendente da tutti gli altri tribunali amministrativi del Regno, con la finalità di realizzare un grande intervento di risanamento dei bilanci delle comunità napoletane. Questo intervento, noto come operazione degli ‘stati discussi’ (cioè dei bilanci municipali rivisti), prevedeva che per ogni comunità del Regno fosse elaborato un dettagliato piano di riordino delle partite in entrata e in uscita, di ammortamento dei pagamenti in arretrato con il regio fisco, di consolidamento dei debiti con i privati, eliminando sprechi e perseguendo malversazioni.
La gestione di questa complessa operazione di revisione delle finanze municipali e il ruolo di decano del Consiglio collaterale fecero di Tapia l’esponente più in vista del ceto dei togati napoletani. In questa veste egli capeggiò le fila dell’opposizione alla missione del visitatore generale Francisco Antonio Alarcón, che prese avvio nel 1628 con il fine di ricondurre le magistrature del Regno sotto il completo controllo della Corona, attraverso il consueto meccanismo dell’ispezione degli uffici dello Stato. Uno dei passaggi di questo scontro vide la pubblicazione da parte di Tapia del De praestantia Regalis Cancellariae Neapolitanae (Neapoli 1632), in cui non solo si ribadiva vigorosamente la tesi della centralità del ruolo dei ministri togati nel mediare le diverse istanze presenti all’interno della compagine dello Stato, ma, più in particolare, venivano riaffermate con forza le antiche origini, le prerogative, i poteri del Consiglio collaterale. Il ceto dei togati vinse nello scontro con Alarcón, che lasciò il Regno senza che i margini di autonomia di cui godevano gli organi amministrativi napoletani fossero sostanzialmente intaccati. Ma una volta ritornato presso il sovrano, il visitatore generale riuscì a colpire Tapia nel suo più importante progetto, la revisione completa delle finanze municipali del Regno, che peraltro aveva generato un diffuso malcontento sia presso le élites locali che traevano profitto proprio dall’indebitamento delle comunità, sia presso i tribunali napoletani per le modalità con cui l’operazione era stata condotta, cioè attraverso la costituzione di una giunta autonoma che rispondeva soltanto al reggente del Collaterale e al viceré: nel 1634 il Consejo de Estado dispose da Madrid l’interruzione dei lavori.
Già nel 1635, tuttavia, Tapia veniva chiamato a ricoprire un altro importante incarico quale prefetto dell’Annona napoletana; nelle more di quest’ultimo impegno vide la luce il Trattato dell’abondanza (Napoli 1638).
Diviso in cinque parti, il Trattato affronta prima la descrizione delle cause, naturali o indotte dall’uomo, che provocano crisi nell’approvvigionamento alimentare e in particolare situazioni di scarsità di grano, e quindi presenta i possibili rimedi per ovviare a esse. Assai innovativo è l’impianto della parte relativa ai rimedi, innanzitutto per il rifiuto di due misure largamente praticate all’epoca, cioè l’invio di commissari straordinari nelle campagne per fare incetta di grani e l’esproprio forzato degli stessi. A questi rimedi straordinari, che provocavano effetti disastrosi sull’ordine pubblico e squilibri nelle relazioni commerciali tra campagne e città, Tapia oppose un insieme di misure ordinarie, dettate dal buon senso e da un’attenta opera di prevenzione, nell’intento di fornire precise modalità d’azione agli amministratori delle comunità del Regno in un momento in cui, con la brusca interruzione dell’operazione degli ‘stati discussi’, falliva il progetto di un riassetto generale dei bilanci municipali, all’interno dei quali tanta parte avevano appunto i problemi finanziari connessi con le emergenze alimentari.
Morì il 17 gennaio 1644 a Napoli e il suo corpo fu tumulato nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli. Poiché il figlio Francesco Tommaso gli era premorto senza eredi maschi, pur avendo sposato la nobildonna spagnola Francisca de Vargas Manrique, il titolo di marchese di Belmonte passò al nipote per parte di madre Carlo Calà, presidente della Camera della Sommaria.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, b. 4108; Napoli, Biblioteca nazionale, Brancacciano, II-E-5, cc. 151r-159r, Expedientes para relevar las universidades del Reyno; Simancas, Archivo general, Visitas de Italia, Nápoles, Visita de D. Beltrán de Guevara, b. 86, c. 10, Descargos por el regente Carlos de Tapia; b. 89, c. 1, Relación de lo que tiene al Consejero Carlos de Tapia; b. 108, c. 3, Juan Beltrán de Guevara al Condestable de Castilla; b. 378, c. 1, Contra el consejero Carlos de Tapia (cfr. Inventario Visitas de Italia, siglos XVI y XVII, a cura di A. de la Plaza Bores - A. de la Plaza Santiago, Valladolid 1982, pp. 83 s., 94, 245 s.); Secretarias Provinciales, Nápoles, b. 235, Relación de las sentencias pronunciadas contra ministros y officiales del reyno de Nápoles por los juezes de la visita general que hizo el arçobispo de Santiago por orden de su Mag.d.
Per i giudizi dei contemporanei e per una sintesi delle notizie biografiche su Tapia da essi riportate v. L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 203 s.; G. Intorcia, Magistrature del regno di Napoli. Analisi prosopografica, secoli XVI-XVII, Napoli 1987, p. 385; M.N. Miletti, Salario dei magistrati e jus sententiae nel Regno di Napoli, in Archivio storico per le province napoletane, CVII (1989), pp. 183-246; F. D’Andrea, Avvertimenti ai nipoti, a cura di I. Ascione, Napoli 1990, pp. 164 s.; P.L. Rovito, La giustizia possibile. Regole di buon governo di C. T. per il conte di Lemos, in Archivio storico del Sannio, I (1990), 1-2, pp. 9-131; I. Del Bagno, Legum doctores. La formazione del ceto giuridico a Napoli tra Cinque e Seicento, Napoli 1993, pp. 151-164; G. Sabatini, Il controllo fiscale sul territorio nel Mezzogiorno spagnolo e il caso delle province abruzzesi, Napoli 1997, pp. 58 s., 81-83, 91-93; Id., C. T. La vita, le opere, il “Trattato dell’abondanza”, in C. Tapia, Trattato dell’abondanza, a cura di G. Sabatini, Lanciano 1998, pp. 1-26; J. Dubouloz - G. Sabatini, ‘Tutto ciò confermando con autorità di leggi, dottrine et esempij’. Teoria, prassi e riferimenti alla tradizione classica dell’approvvigionamento granario nel “Trattato dell’abondanza” di C. T., in Nourrir les cités de Méditerranée, a cura di B. Marin - C. Virlouvet, Aix-en-Provence 2003, pp. 539-572; A. Bulgarelli Lukas, La finanza locale sotto tutela. Regia corte e comunità nel Regno di Napoli (secolo XVII), Padova 2012, pp. 199-252; G. Sabatini, El “Trattato dell’abondanza” de C. T. Virtudes del buen gobierno y lucha contra el hambre en el Nápoles español, in El gobierno de la virtud. Política y moral en la monarquía hispánica (siglos XVI-XVIII), a cura di J.F. Pardo Molero, Madrid 2017, pp. 301-324; C. Tapia, A treatise on abundance (1638) and early modern views on poverty and famine, a cura di T. Astarita - G. Sabatini, London-New York 2019.