SILVESTRI, Carlo
– Nacque a Milano l’8 luglio 1893, da Luigi e da Giulia Caspani.
Il padre, contabile in una ditta di ferramenta, era un simpatizzante del Partito socialista dei lavoratori italiani (dal 1895 Partito socialista italiano, PSI) e in particolare della sua ala riformista, capeggiata da Filippo Turati.
In famiglia era il nonno materno, Piero Caspani, a godere agli occhi del giovane Carlo di un prestigio enorme per il suo passato di garibaldino e di volontario nelle guerre di indipendenza; il lascito ideale del nonno al nipote fu una particolare sensibilità per i valori patriottici.
Dopo le scuole elementari e il ginnasio, Carlo s’iscrisse al liceo Giuseppe Parini, ma a causa della crisi economica del 1907 il padre perse il posto e Carlo fu quindi costretto a interrompere gli studi e a cercare un lavoro. Nel 1910 entrò al Corriere della sera come collaboratore per le cronache sportive, ma presto venne spostato alla cronaca politica. Durante l’XI Congresso nazionale del PSI (Milano, ottobre del 1910) incontrò per la prima volta Benito Mussolini (allora segretario della federazione socialista di Forlì); l’impressione che questi ebbe di Silvestri fu molto positiva, tanto che in seguito, quando divenne direttore del quotidiano nazionale del PSI Avanti! (ottobre del 1912), lo convinse a collaborarvi.
Sivestri per diversi anni si collocò all’interno della variegata ‘famiglia’ socialista, ma solo come ‘esterno’ e simpatizzante: raramente, infatti, si schierò in maniera decisa e aperta per l’una o per l’altra fazione, e non si iscrisse mai a nessuno dei partiti di quell’area politica.
Il rapporto con l’Avanti!, in ogni caso, contribuì per un certo tempo a indirizzare l’interesse di Silvestri sia verso i sindacalisti rivoluzionari (usciti dal PSI nel 1907) sia verso i massimalisti del PSI, di cui Mussolini era allora il leader indiscusso. Lo scontro svoltosi nel corso del 1913 tra Mussolini e Turati sull’atteggiamento da tenere nei confronti dello strumento dello sciopero generale – cui facevano frequente ricorso i sindacalisti rivoluzionari – disorientò Silvestri, che tentò di mantenere una posizione mediana, ma invano, perché, pur stimando Turati e non appoggiando le posizioni massimaliste, riteneva comunque l’azione politica di Mussolini necessaria al rinnovamento del PSI.
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale (luglio del 1914), Silvestri si appassionò alla battaglia politica tra ‘interventisti’ e ‘neutralisti’ (cioè tra chi sosteneva e chi avversava la partecipazione dell’Italia al conflitto) e si schierò sulle posizioni dei primi, come d’altronde l’intero Corriere. Si entusiasmò quindi per l’ingresso nel fronte interventista (seconda metà di agosto) di una frazione dei sindacalisti rivoluzionari, guidata da Alceste De Ambris; seguì inoltre con partecipazione il dibattito che agitava il PSI e – come cronista politico del Corriere – fu testimone della drammatica seduta della sezione milanese del partito (24 novembre) che vide l’espulsione di Mussolini.
Dopo l’ingresso in guerra dell’Italia (maggio del 1915), Silvestri, benché interventista convinto, non poté partire volontario perché riformato in una precedente visita di leva. Il 5 novembre 1917 – nella fase finale della battaglia di Caporetto, che vide la drammatica ritirata delle truppe italiane – partì infine per il fronte, dove tuttavia rimase per pochi mesi e solo con compiti amministrativi; quando poi terminò il corso allievi ufficiali (con il grado di sottotenente) la guerra era ormai alla fine.
Nel dopoguerra, furono la radicalizzazione del movimento socialista e l’attrazione che la rivoluzione russa esercitava sulle masse operaie ad avvicinare Silvestri all’ala riformista del PSI (ancora guidata da Turati). Egli manifestò una particolare avversione per i socialisti di estrema sinistra che a Torino si erano riuniti intorno al settimanale L’ordine nuovo, fondato e diretto da Antonio Gramsci; in particolare, scrisse sul Corriere articoli così duri contro lo ‘sciopero delle lancette’ (aprile del 1920) da procurargli l’amicizia del senatore Giovanni Agnelli, divenuto presidente della FIAT. In occasione del congresso di Livorno (gennaio del 1921), dove si consumò la crisi del PSI, Silvestri bollò sul Corriere con parole di fuoco gli scissionisti – la corrente dei ‘comunisti puri’, guidata da Amadeo Bordiga, che diede vita al Partito comunista d’Italia – e, nel contempo, mosse forti critiche alla maggioranza massimalista, unica responsabile, a suo avviso, del clima di violenza che andava imponendosi nel Paese. In quel frangente Silvestri si schierò dalla parte di Turati, anche se apprezzò l’atteggiamento di Giacinto Menotti Serrati – leader dei ‘comunisti unitari’ –, che aveva rifiutato la richiesta, avanzata dal Partito comunista sovietico e dalla III Internazionale, di prendere parte alla scissione.
Le lotte contadine in Emilia (1919-20) lo trovarono schierato apertamente contro il massimalismo sindacale della Confederazione generale del lavoro (CGdL) e del PSI, mentre maggiore comprensione manifestò per la Federazione italiana dei lavoratori agricoli (FILA) presieduta da Guido Miglioli – la principale tra le ‘leghe bianche’, le associazoni contadine di matrice cattolica –, le cui parole d’ordine Silvestri condensò nell’espressione «la terra a chi lavora», che riteneva rispettosa dei «principi della scuola sociale cristiana» (Gli estremisti battuti nel voto sulla questione operaia, in Corriere della sera, 11 aprile 1920).
La forte avversione per i caratteri violenti del massimalismo lo indusse persino a giustificare le prime azioni dello squadrismo fascista, da lui considerate come una legittima reazione alle prepotenze dell’estrema sinistra. Ma cambiò opinione quando le violenze dello squadrismo agrario si volsero anche contro il socialismo riformista e umanitario. Allora la sua condanna fu così radicale da suscitare le perplessità dello stesso direttore del Corriere, Luigi Albertini.
Sulle violenze fasciste Silvestri avviò anche un’indagine personale, i cui risultati furono utilizzati nel 1921 dai dirigenti socialriformisti per la pubblicazione del pamphlet Fascismo: primi elementi di un’inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, che irritò molto vari capi locali del Partito nazionale fascista (PNF), al punto che il 28 luglio a Grosseto Silvestri fu vittima di un’aggressione squadristica (Nota di servizio di Carlo Silvestri alla direzione del Corriere della sera, in Archivio del Corriere della sera, f. Carlo Silvestri; cfr. inoltre Gabrielli, 1992, p. 69).
Egli tuttavia aveva continuato a intrattenere buoni rapporti personali con Mussolini, che considerava un argine contro le violenze dell’ala più estremista del PNF. Mussolini riteneva a sua volta Silvestri utile per mantenere in qualche modo aperto un dialogo, seppure indiretto, con alcuni settori del liberalismo e del socialismo riformista. Silvestri si trovava a Napoli il 23 e 24 ottobre 1922, durante il raduno di 40.000 ‘camicie nere’; avrebbe raccontato in seguito (in Matteotti, Mussolini e il dramma italiano, Roma 1947, p. 31) che Mussolini la sera del 24 – dopo il suo discorso a piazza del Plebiscito – lo informò dell’imminente marcia su Roma (avvenuta poi il 28); Silvestri telegrafò la notizia al Corriere, ma Albertini non gli credette.
All’indomani della marcia su Roma, Silvestri incontrò di nuovo Mussolini, il quale, impegnato a formare il suo governo, lo usò di nuovo, affidandogli la trasmissione di alcuni ballons d’essai, come la possibile offerta di cariche ministeriali ai dirigenti del Partito socialista unitario (PSU) – creato il 2 ottobre da alcuni esponenti riformisti usciti dal PSI, Turati, Giacomo Matteotti, Giuseppe Emanuele Modigliani e Claudio Treves – o l’imminente nomina di Albertini ad ambasciatore a Washington.
Nel ‘biennio legalitario’ del governo Mussolini (1922-24), Silvestri si rivelò anche un instancabile mediatore tra il capo del fascismo e l’ambiente del socialismo moderato. Nell’estate del 1923 favorì – convinto così di contribuire alla ‘normalizzazione’ del clima politico – i contatti del capo del governo con alcuni alti dirigenti della CGdL: a un primo incontro ‘esplorativo’ (18 luglio) con Giuseppe Emilio Colombino, ne seguì un altro (24 luglio) con un’ampia e rappresentativa delegazione della CGdL (Colombino, Bruno Buozzi, Ludovico D’Aragona, Carlo Felice Azimonti, Angiolo Cabrini), che gettò le basi per un’intesa tra il governo e quel sindacato (Gabrielli, 1992, p. 86). Ma il fallimento delle complesse trattative rappresentò per Silvestri una delusione cocente, e gli fece capire che Mussolini intendeva per ‘normalizzazione’ il mero inglobamento di alcune forze nel suo progetto di allargamento del consenso al governo. Silvestri fu inoltre testimone oculare, il 12 marzo 1924 alla stazione centrale di Milano, della feroce aggressione a Cesare Forni – un fascista dissidente che era stato capo degli squadristi della Lomellina – da parte di alcuni fascisti guidati da Amerigo Dumini e Albino Volpi (tra coloro che pochi mesi dopo avrebbero ucciso Matteotti), e si convinse definitivamente della ‘doppiezza’ morale del capo del fascismo.
L’assassinio di Matteotti (10 giugno 1924) rappresentò un colpo assai duro per Silvestri. Egli era molto amico del deputato del PSU, e la conoscenza diretta che aveva del carattere violento dello squadrismo milanese – in particolare del gruppo composto da Dumini, Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Amleto Poveromo e Aldo Putato, cioè quella che sarebbe stata chiamata la ‘Ceka fascista’ (una squadra del ministero degli Interni cui erano affidate operazioni ‘extralegali’ contro gli oppositori del fascismo) – lo convinse immediatamente che si era di fronte a un delitto politico, i cui mandanti non esitò a individuare in Mussolini e in Cesare Rossi (allora vice segretario del PNF). Il capo del governo ancora una volta cercò di utilizzare strumentalmente Silvestri, invitandolo a un incontro affinché si facesse tramite di contatti riservati tra lui e i maggiori esponenti del socialismo riformista. Considerato il totale isolamento politico di Mussolini in quel momento, quei contatti sarebbero stati per lui preziosissimi. Ma questa volta Silvestri rifiutò; anzi, decise di iniziare a combattere apertamente Mussolini. Pochi giorni dopo il delitto Matteotti passò ‘ufficialmente’ dal Corriere al Popolo, organo del Partito popolare, diretto da Giuseppe Donati; in realtà si trattava di una precauzione per non coinvolgere il giornale milanese e il suo direttore nella campagna antimussoliniana che si accingeva a intraprendere.
Tutta la campagna contro Mussolini, condotta coraggiosamente dal Popolo durante i sei mesi della prima istruttoria sul delitto Matteotti, fu opera di Donati e di Silvestri, il quale fu anche un importante teste dell’accusa. Infatti, fece pervenire alla stampa di opposizione le confidenze che gli aveva fatto Aldo Finzi (sottosegretario agli Interni fino al 17 giugno) nei giorni successivi alle sue forzate dimissioni, e consegnò agli inquirenti la lettera-testamento che questi gli aveva affidato: si trattava di pesanti atti di accusa nei confronti di Mussolini. Infine, le sue deposizioni del 29 e 30 settembre davanti alla Sezione d’accusa indicavano di fatto Mussolini come il mandante del delitto.
Anche la svolta autoritaria che Mussolini impresse al suo regime il 3 gennaio 1925 (nel discorso in Parlamento in cui si assunse la responsabilità ‘morale’ e non materiale del delitto Matteotti) non sembrò preoccupare Silvestri. Il 23 gennaio andò a rinnovare il suo atto d’accusa contro Mussolini davanti all’Alta Corte di giustizia, che aveva avocato a sé gli atti istruttori per giudicare le responsabilità nel delitto Matteotti del gerarca fascista Emilio De Bono (capo della polizia fino al 18 giugno 1924).
Entrato ormai stabilmente nel mirino del regime fascista, Silvestri cominciò a prendere in considerazione l’ipotesi dell’espatrio. Anche se inizialmente esitò a decidersi, tuttavia l’aggressione di cui fu vittima il 31 ottobre 1926 alla stazione centrale di Milano, che gli procurò una commozione cerebrale, lo convinse dell’opportunità di lasciare l’Italia. Ma il 28 novembre fu arrestato – insieme a Carlo Rosselli, Riccardo Bauer e Giovanni Ansaldo – proprio mentre si accingeva a varcare la frontiera svizzera. Assegnato a cinque anni di confino politico, venne tradotto a Ustica, per essere poi, nel giugno del 1928, trasferito a Lipari e, nell’agosto del 1930, a Ponza. A Ustica e poi a Lipari strinse ancora di più i suoi rapporti con Carlo Rosselli e con il fratello Nello, anch’egli confinato dal regime fascista (Il carteggio di Carlo e Nello Rosselli con Carlo Silvestri, 1991; G. Delfini, Nello Rosselli a Ustica, in Lettera del Centro studi e documentazione isola di Ustica, IX, 2007, 25-26, pp. 34, 39 n. 13, 43 nota 10).
Tuttavia, già nell’ultimo periodo del suo soggiorno a Lipari, Silvestri, tornando sulle vicende del delitto Matteotti, aveva iniziato a manifestare ai suoi compagni di confino perplessità e dubbi circa le responsabilità di Mussolini. A rendere più decisa la sua ‘conversione’ contribuirono i contatti epistolari che da Ponza riprese con i suoi vecchi amici socialriformisti Giovan Battista Maglione e Rinaldo Rigola – ex dirigenti della CGdL ormai convinti sostenitori del regime – sicché quando, nell’aprile del 1932, scontata la pena, tornò a Milano, si mostrò del tutto conquistato alle utopie corporativistiche del regime.
Partecipò anche, insieme ad alcuni vecchi ma non dimenticati leader del movimento operaio, al tentativo condotto tra il 1933 e il 1934 dall’ex sindaco socialista di Milano, Emilio Caldara, di giungere a una forma di fiancheggiamento del regime. Il suo progressivo ‘mussolinismo’ lo spinse, durante la guerra di Etiopia, a scrivere una ‘lettera aperta’ ai ministri degli Esteri britannico e francese, in cui è evidente la sua conversione a zelante propagandista di regime, a «soldato che ubbidisce», come egli stesso giunse a definirsi in un appello indirizzato a Mussolini nel giugno 1938 per perorare la propria ‘riabilitazione’ (Archivio centrale dello Stato, ACS, Casellario politico centrale, b. 4809, f. Silvestri Carlo). Nel marzo del 1940 tentò ancora una volta, e unilateralmente, una riappacificazione con il regime fascista, chiedendo la tessera d’iscrizione al PNF, che gli venne di nuovo negata. Evidentemente il regime diffidava ancora di lui, tanto che quando l’Italia entrò in guerra (10 giugno 1940) venne anche internato. Fu rilasciato nel gennaio del 1941, ma solo grazie all’intervento di Luigi Veratti – ex socialriformista e medico personale di Mussolini –, il quale sollecitò il capo del governo a riconsiderare le posizioni politiche di Silvestri, che «obiettivamente si possono definire mussoliniane» (ACS, A5G, Seconda guerra mondiale, Internati, b. 308).
Silvestri accolse con entusiasmo, nel settembre del 1943, la costituzione della Repubblica sociale italiana (RSI), poiché in essa vide l’autentica realizzazione del regime corporativo così a lungo perseguito dal fascismo. Il suo antisovietismo lo spinse all’esaltazione della Germania nazista, un sentimento che venne appena scalfito dallo spiacevole episodio del suo arresto da parte delle SS (Gabrielli, 1992, pp. 248 s.); in quell’occasione corse anche il rischio della deportazione in Germania. In quel periodo avvenne la completa simbiosi di Silvestri con il capo del fascismo, che raggiunse punte di idolatria.
A partire dal 6 dicembre 1943 e per un anno e mezzo, il giornalista s’incontrò per ben cinquanta volte con Mussolini. Già nel secondo incontro (7 dicembre) Mussolini portò il discorso sul delitto Matteotti, ma fu nel quinto incontro (10 dicembre) che fornì la propria versione del delitto, compiuto, a suo avviso, allo scopo di sbarrare la strada all’iniziativa da lui avviata nel 1923 per far entrare i socialisti riformisti nel governo. Tale iniziativa avrebbe allarmato un ambiente «di finanza equivoca, di capitalismo corrotto e corruttore, privo di ogni scrupolo, di torbido affarismo», in cui sarebbe maturata la decisione di uccidere Matteotti, decisione che sarebbe stata rafforzata dalle voci, che avevano preso a circolare, di un imminente discorso parlamentare del deputato del PSU, nel corso del quale questi «avrebbe prodotto tali documenti da portare alla rovina certi uomini che erano pervenuti a infiltrarsi profondamente tra le gerarchie fasciste» (ACS, Carte Susmel, b. 8, f. Silvestri Carlo, dattiloscritto di Silvestri). Nel corso dei molti colloqui, i due strinsero un rapporto sempre più complice, al punto che, durante le ultime giornate di vita della RSI (aprile 1945), Silvestri venne incaricato di trasmettere a esponenti del PSI alcune proposte di Mussolini dirette a scongiurare che, nelle fasi convulse del trapasso dei poteri, i comunisti potessero assumere un ruolo egemone nella vita politica.
Silvestri tornò clamorosamente alla ribalta nel corso del secondo processo sul delitto Matteotti, istruito nel 1947. Depose come testimone, introducendo nel dibattimento, al solo scopo di scagionare Mussolini, la tesi ‘affaristica’ come movente del delitto. Fedele assertore della versione mussoliniana, indicò in Giovanni Marinelli – che nel 1924 era il segretario amministrativo del PNF, ed era stato fucilato nel febbraio 1944 a Verona, per la sua opposizione a Mussolini nel luglio 1943 – l’unico mandante del delitto e il trait d’union tra i fantomatici ‘ambienti affaristici’ e gli organizzatori ed esecutori materiali del crimine. Su tutta la vicenda Silvestri ha lasciato un libro, il citato Matteotti, Mussolini e il dramma italiano (ristampato nel 1981), che rappresenta tuttora il principale punto di riferimento di tutta la storiografia ‘innocentista’ nei confronti di Mussolini.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita svolgendo iniziative a favore degli ex fascisti, che cercò di sottrarre alla giustizia. Morì a Milano il 4 febbraio 1955.
Altre opere. Turati l’ha detto: socialisti e Democrazia cristiana, Milano-Roma 1946; Contro la vendetta, Milano 1948; Mussolini, Graziani e l’antifascismo: 1943-’45, Milano 1949.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato (ACS), Casellario politico centrale, b. 4809, f. Silvestri Carlo; Polizia politica, Fascicoli personali, b. 92A, f. Silvestri Carlo; Carte Susmel, b. 8, f. Silvestri Carlo; A5G, Seconda guerra mondiale, Internati, b. 308, f. Silvestri Carlo; Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, Repubblica sociale italiana, b. 7, f. Silvestri Carlo; Archivio del Corriere della sera, f. Carlo Silvestri.
L’unica biografia di Silvestri è G. Gabrielli, C. S.: socialista, antifascista, mussoliniano, Milano 1992. Si vedano inoltre: C. S. secondo la stampa, a cura di P. Mazzolari, Milano 1955; Il carteggio di Carlo e Nello Rosselli con Carlo Silvestri, 1928-1934, a cura di G. Gabrielli, in Storia contemporanea, 1991, 22, 5, pp. 875-916; M. Canali, Il delitto Matteotti, Bologna, 1997, ad ind.; M. Fioravanzo, Mussolini e Hitler: la Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma 2009, pp. 31-49.