SIGONIO, Carlo
– Nacque a Modena tra il 1520 e il 1523; il padre era il mercante di panni Nicolò Maria Sigone, la madre Ursolina Favalotti. Ebbe due fratelli (non ha riscontro la notizia di Panini, 1978, p. 72, che lo vuole discendente di un lignaggio di conti).
Nel 1536 cominciò a frequentare i corsi di greco del cretese Francesco Porto ed ebbe come istruttore Ludovico Del Monte, allora assistito dal lucchese Antonio Bendinelli (1568, pp. 148 s.). Negli anni in cui si costituì il gruppo eterodosso modenese dell’Accademia, ebbe modo di conoscere i fisici Gabriele Falloppia e Giovanni Grillenzoni, quest’ultimo uno dei promotori della dissidenza religiosa, nonché di ascoltare le lezioni dell’umanista Ludovico Castelvetro (secondo la vita di quest’ultimo scritta dal nipote Ludovico di Giammaria; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, 1781-1786, VI, p. 64). L’attitudine critica degli eterodossi con i quali fu in contatto da giovane avrebbe lasciato il segno, forse, sulla personalità dello storico; tuttavia Sigonio fu assai cauto nel prendere posizione in materia di religione e restò sostanzialmente fedele a Roma. Come avrebbe suggerito a Onofrio Panvinio in una lettera del 26 novembre 1558, occorreva sapere vivere senza stuzzicare troppo i «vespai» (Opera omnia..., 1732-1737, VI, p. 1002); e quando Annibale Caro, sotto il pontificato di Paolo IV, avrebbe attaccato violentemente Castelvetro, Sigonio avrebbe cercato di ingraziarsi il primo tramite i suoi amici romani senza fare nulla per difendere il maestro dalle accuse d’eresia (McCuaig, 1989, p. 34 e nota).
Nel 1538 passò a Bologna per studiarvi la filosofia e la medicina, e in quell’ambiente seguì le lezioni di Romolo Amaseo. Più tardi, intorno al 1541, si trasferì a Pavia per ascoltarvi i corsi dell’umanista Andrea Camuzzi. Nel 1545, quando tornò nella sua città – dopo gli anni che avevano visto il vescovo Giovanni Morone alle prese con il tentativo di riassorbire senza clamori il dissenso degli ‘accademici’, i primi interventi dell’Inquisizione romana e un editto ducale (24 maggio 1545) che proibiva il possesso di libri eretici e ogni discussione in materia di fede – Sigonio trovò impiego come segretario del cardinale Marino Grimani, patriarca di Aquileia, e nel 1547 tenne le prime lezioni di greco. Nel 1548 divenne il precettore di Fulvio, figlio di Claudio Rangoni e di Lucrezia Pico, rimpiazzando così il dissidente Girolamo Teggia: un dato che testimonia la fama di ortodossia di cui godeva Sigonio, nonostante i contatti con Castelvetro a cui tra il 1549 e il 1552 avrebbe dedicato un poema latino in cui lodava i cardinali ‘spirituali’ Morone e Reginald Pole (G. Tiraboschi, cit., V, pp. 114 s.). In quegli anni Sigonio pubblicò anonima la sua prima opera: una traduzione dei discorsi di Demostene, oggi perduta, che gli costò un attacco dell’ex maestro Bendinelli, a cui rispose usando il nome dell’amico Saulo Ronchi. Un terreno di scontro tra i due docenti, che ne scrissero una ciascuno, fu la priorità da accordare alla stampa di due vite di Scipione Emiliano (quella di Sigonio sarebbe apparsa a Bologna per G. Rossi nel 1569). L’ebbe vinta Bendinelli, che nel 1568 ne avrebbe denunciato i presunti errori meritandosi una replica (Modena, A. Gadaldino, 1570).
Nello stesso arco di tempo la pubblicazione dei cosiddetti Fasti capitolini da parte di Bartolomeo Marliani (Consulum, dictatorum, censorumque series quae marmoribus scalpta in foro reperta est, Venetiis 1549) spinse Sigonio a intraprendere il progetto di catalogare tutti i magistrati di Roma, maggiori (re, consoli, censori, dittatori) e minori (edili, pretori, tribuni della plebe), confrontando le informazioni delle epigrafi e quelle degli storici greci e latini dell’antichità, in vista della compilazione di una storia di Roma. Tuttavia, nel 1550, per i tipi dell’eterodosso modenese Antonio Gadaldino, ultimò e pubblicò solo la parte dedicata ai maggiori (Regum, consulum, dictatorum ac censorum Romanorum Fasti), includendovi il trattato De praenominum Romanorum causis et usu, che criticava il De nominibus Romanorum di Francesco Robortello (Firenze 1548). Una seconda edizione corretta e aggiornata dei Fasti sarebbe stata pubblicata nel 1555, per i tipi veneziani di Paolo Manuzio; una terza, con un complessivo commento, nel 1556 (Fasti consulares ac triumphi acti, stampati anche da G. Ziletti); una quarta, con il commento rivisto, nel 1559 (a Basilea, per N. Episcopius). Nel 1555, ancora per Manuzio, Sigonio ultimò un’edizione con commento delle Storie di Tito Livio (Historiarum ab Urbe condita libri), che incluse gli Scholia in Livium e una Chronologia stampati come testo autonomo nel 1556 (altre edizioni in vita delle Storie liviane nel 1566 e nel 1572, con la revisione del testo degli Scholia). Infine nel 1560, per Ziletti, apparvero i due libri De antiquo iure civium Romanorum e i tre De antiquo iure Italiae. Sigonio si impose così sulla scena culturale di metà Cinquecento come un profondo conoscitore delle istituzioni e della storiografia di Roma.
Il lavoro su Livio, nonostante i suoi errori, avrebbe conosciuto una fortuna tale che se ne contano diverse edizioni a partire da quella aldina del 1592, mentre il Livio di Elsevier curato da Johan Friedrich e da Jakob Gronovius (Amsterdam, 1678-1679), come i successivi di Thurnisius (Basilea 1740) e di Drakenborc (Leida-Amsterdam 1738-1746), avrebbero integrato, insieme con altre, le chiose di commento del modenese.
Nel 1552, quando Robortello si trasferì a Padova, Sigonio, che in quell’anno si recò in Veneto insieme con Castelvetro (vedi la lettera del 15 marzo 1552 in M. Valdrighi, Alcune lettere..., 1827, pp. 13 s.), prese il suo posto come lettore di latino nella Scuola di S. Marco di Venezia, dove insegnò fino al 1560, entrando in rapporto con Panvinio, Manuzio, Agostino Valier e Ludovico Beccadelli, e con Bernardino Loredan e Girolamo Ragazzoni, che allora lavoravano sui testi di Cicerone. Sempre in quegli anni corrispose, tra gli altri, con Pietro Vettori, Gian Vincenzo Pinelli, Fulvio Orsini, Antonio Agustín e Ottavio Pantagato, e saltuariamente prestò servizio come lettore di libri per il rilascio dell’imprimatur, finendo per incrociare l’inquisitore fra Felice Peretti (poi Sisto V). Le sue prolusioni per gli uditori furono stampate da Manuzio nel 1555 (Orationes, in numero di quattro) e nel 1560 (in numero di sette, pubblicate di nuovo nel 1573 a Parigi e poi diverse volte insieme con quelle di Marc-Antoine Muret). Esse testimoniano che Sigonio lesse per alcuni anni le opere di Aristotele (Retorica e Poetica), per poi passare alla storia romana (1557-58). Il corso del 1553-54, inoltre, si può ricostruire grazie a una trascrizione conservata a Bergamo (Biblioteca civica, Mss., gamma 16.18, cc. 1-166) che attesta come, attraverso il commento ai testi di Aristotele, Sigonio parlasse di istituzioni politiche del passato per il ceto dirigente veneziano del tempo (per alcuni patrizi tenne pure lezioni private).
Nel frattempo, la stampa del Livio offese un precedente commentatore, Henrichus L. Glareanus, e suscitò la reazione di Robortello, che a Padova fece stampare un De convenientia supputationis livianae annorum cum marmoribus Romanis quae in Capitolio sunt, che includeva una disputazione De arte sive ratione corrigendi e due libri di Emendationes (1557), a cui Sigonio rispose con altri due libri di Emendationes in difesa dei propri Fasti e degli Scholia (1557). Robortello tuttavia non fu l’unico critico dell’edizione liviana di Sigonio: Gabriele Faerno scrisse una lettera a Paolo Manuzio per segnalargli alcuni errori (Epistola qua continetur censura emendationum livianarum Caroli Sigonii, Milano, 1557) che fu ripubblicata nelle sue Ephemerides Patavinae (Padova 1562) da Robortello. A quella data quest’ultimo era passato a Bologna, liberando così un posto nello Studio patavino toccato a Sigonio dopo la pubblicazione dei suoi Fragmenta Ciceronis (Venezia, G. Ziletti, 1559, edizione rivista 1560) e del De antiquo iure civium, la cui dedica a Pio IV, con sconcerto dell’autore, fu letta come critica implicita al pontificato del defunto Carafa. Suoi protettori a Roma, a quel tempo, divennero Faerno e Carlo Gualteruzzi, che avevano tentato di ottenergli un insegnamento nell’Urbe.
Una prolusione (Oratio in gymnasio patavino habita VIII idus novembris anno MDLX) aprì le lezioni di Sigonio a Padova, dove rimase tre anni avendo come studenti Torquato Tasso e Jan Zamoyski e rispondendo agli attacchi di Robortello con i due libri delle Disputationes Patavinae (Padova, G. Percacino, 1562). Tra il 1562 e il 1563, dopo che Robortello era tornato a Padova lasciando Bologna, la convivenza tra i due umanisti fu assai conflittuale, al punto che uno studente della fazione avversa ferì al volto Sigonio, mentre questi, forse per prevenire accuse di quel genere a proprio danno, nelle Disputationes insinuò che, prima di denunciarlo e costringerlo alla fuga, Robortello, a Lucca, era stato in stretti rapporti con l’eretico Celio Secondo Curione (II, c. 47v). In ogni modo, a Padova Sigonio si dedicò all’insegnamento (su Cicerone e sulla Poetica di Aristotele) e pubblicò un De dialogo (Venezia, G. Ziletti, 1562), con una dedica al riabilitato cardinale Morone.
Il passaggio di Sigonio a Bologna, dove approdò nell’ottobre 1563, pronunciandovi un’Oratio, per occupare la cattedra vespertina di umanità tenuta in passato da eterodossi come Achille Bocchi, fu una sorta di fuga da Padova, favorita dall’appoggio di Ulisse Aldrovandi e Girolamo Seripando e del vescovo di Modena Egidio Foscarari. Sappiamo poco dei corsi che impartì, ma abbiamo testimonianza di incontri importanti avvenuti durante quell’arco di tempo (come quello con Jacques-Auguste De Thou, nel 1573, che lo avrebbe ricordato nei Commentarii de vita sua) e del contributo di Sigonio alla nascita di una Società tipografica cittadina. In ogni modo il primo lavoro che pubblicò sotto le due torri furono i tre libri De republica Atheniensium (Bologna, G. Rossi, 1564; Venezia, V. Valdrighi, 1565), accompagnati da una cronologia (De Atheniensium Lacedaemoniorumque temporibus, Venezia, D. e G.B. Guerra, 1564). A questi si aggiunsero una traduzione latina della Rethorica di Aristotele (Bologna, A. Benacci, 1565; Venezia, G. Ziletti, 1566); un De binis comitiis et lege curiata, in cui discusse l’interpretazione di Nicolas de Grouchy di quegli istituti romani (Bologna, A. Benacci, 1566; ripensato nel De lege curiata, Venezia, G. Ziletti, 1569); i due libri De antiquo iure provinciarum (sempre per Ziletti, 1567, poi uniti ai libri De antiquo iure civium e De antiquo iure Italiae in un volume del 1574 preceduto da un’opera sui processi, il De iudiciis). Un viaggio a Roma (1566) non gli ottenne le ricompense sperate, sicché per mere ragioni di guadagno Sigonio stilò in latino una vita di Andrea Doria commissionatagli da un erede, pubblicata postuma (Genova, G. Bartoli, 1586) e volgarizzata da Pompeo Arnolfini (1598). In ogni modo negli anni bolognesi, quando strinse forti legami con le autorità civiche e con il cardinale vescovo Gabriele Paleotti, concentrò l’attenzione sulla storia tardoantica e medievale, incappando però in diversi incidenti censori.
Il Senato della città, del resto, gli aveva commissionato la stesura di una Historia Bononiensis a cui Sigonio attese tra il 1568 e il 1571, narrando in sei libri, sulla scorta di molte fonti e delle pagine di Leandro Alberti, gli eventi della città dall’età etrusca al 1257, per poi continuare l’opera fino al 1280 in una redazione rimasta inedita e stilata nel 1579 circa (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1362-1363; Roma, Biblioteca Corsiniana, Mss., 350 [35.F.16]). Un’appendice a quel testo furono i cinque libri De episcopis Bononiensibus, terminati nel 1582 ma pubblicati postumi dopo il vaglio censorio (Bologna, A. Benacci, 1586). La revisione dell’Historia, la cui stampa fu subito bloccata da Pio V (ma circolò senza titolo e con la data del 1578), fu affidata all’allora cardinale bolognese Ugo Boncompagni (poi Gregorio XIII), a Giovanni Battista Amalteo e a Guglielmo Sirleto (le censure manoscritte in Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 6207, poi stampate in Opera omnia..., cit., III, pp. 333-350). Nelle risposte Sigonio obiettò che avrebbe rinunciato all’incarico piuttosto che scrivere il falso, ma i censori gli avevano opposto, tra l’altro, il rifiuto di citare il falso privilegio di Teodosio II ottenuto da s. Petronio per lo Studio di Bologna e l’insinuazione che il costituto di Costantino e l’attribuzione all’evangelista Luca dell’immagine di Maria custodita dai bolognesi non fossero vere. Iniziò allora un prolungato scontro tra Sigonio e i membri della neonata congregazione dell’Indice che gli avrebbero contestato la libertà di storico attento alle fonti. Per evitare travagli con la Curia, i De regno Italiae ab anno 570 usque ad 1200 libri 15..., pubblicati parzialmente a Bologna nel 1571, videro la luce nel 1574 grazie all’impresa veneziana di Ziletti, con poche correzioni che sedarono le autorità della Serenissima inizialmente ostili alla loro stampa (per le censure ecclesiastiche, in cui si evocava persino l’empio Niccolò Machiavelli, e per la difesa da parte di Valier vedi Opera omnia..., 1732-1737, VI, pp. 1111-1138 e McCuaig, 1989, pp. 257-259). Altre edizioni furono quelle di Francoforte e Basilea rispettivamente per i tipi degli ‘eretici’ Andreas Wechel e Pietro Perna. Il De regno Italiae inoltre ebbe una traduzione tedesca (1584) e un’edizione ampliata fino al 1286 che apparve postuma nel 1591 a Venezia e a Francoforte. Nel 1583 l’Index dell’opera (Bologna, G. Rossi, 1576) fu però inserito tra i testi da espurgare nel catalogo dei libri proibiti emanato dall’Inquisizione spagnola (Index des livres interdits, 1984-2002, VI, p. 386).
Sigonio si dedicò poi alla storia tardoantica (284-565) compilando i venti libri De occidentali imperio, anch’essi incappati nel vaglio di Sirleto e del maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili, a cui l’autore fu costretto a replicare cedendo però sul punto della donazione di Costantino (vedi i documenti in Opera omnia..., cit., VI, pp. 1077-1110). Il testo alla fine vide la luce (Bologna, Società tipografica, 1578; Basilea, Guarinus, 1579) dopo che Sigonio ebbe deciso di compiere un viaggio a Roma per ingraziarsi il pontefice. Il bolognese Gregorio XIII, allora, gli affidò il compito di stilare una storia della Chiesa negli anni in cui Cesare Baronio attese al medesimo lavoro per replicare ai centuriatori luterani di Magdeburgo. Come parte della sua ricerca, a cui Sigonio si dedicò con solerzia, deve intendersi l’edizione commentata dell’Historia sacra di Sulpicio Severo, voluta da Paleotti, che apparve nell’arco di tempo in cui vide la luce la Vita Laurentii Campegii cardinalis (entrambe Bologna, Società tipografica, 1581; rimase invece inedita una vita di Niccolò Albergati pubblicata postuma a Colonia nel 1618). Come rivelano i documenti pubblicati nel XVIII secolo (Opera omnia..., cit., VI, pp. 1139-1176), il Sulpicio fu vagliato dall’Indice, così come accadde ai sette libri De republica Hebraeorum (Bologna, G. Rossi, 1582), propedeutici alla storia ecclesiastica. I censori, che comunque non proibirono il testo (ebbe un’enorme fortuna in tutta Europa, a partire dall’edizione A. Wechel del 1583), accusarono Sigonio di mettere la falce in una messe aliena, di preferire la Bibbia greca alla Vulgata, di seguire il Talmud e le interpretazioni dei rabbini (l’autore aveva attinto ovviamente a Filone e a Flavio Giuseppe). Sigonio replicò alle obiezioni (Opera omnia..., cit., VI, pp. 1177-1238: l’edizione settecentesca dei documenti vaticani è stata integrata da McCuaig e da altri: Bartolucci, 2007, p. 71 nota), ma fu amareggiato dal fallimento della Società tipografica che aveva contribuito a fondare, meditando di ritirarsi in una villa a Ponte Basso, a due miglia da Modena, e testando in favore del nipote Alessandro Carlo.
A contribuire alle sue difficoltà fu l’edizione veneziana della presunta Consolatio di Cicerone (1583) sulla base dei frammenti pubblicati da Sigonio e da Andreas Patricius. Da Padova Andrea Riccoboni dichiarò che si trattava di un falso fabbricato dal modenese; Sigonio fece pubblicare due Orationes (Bologna, Rossi, 1583) in cui cercò di discolparsi e ne difese, errando, l’autenticità. Rimase invece inedita la Historia ecclesiastica, che non piacque ai censori per la sua assenza di spirito controversistico e per i passi nei quali Sigonio non intese corroborare con la sua ricerca il potere temporale dei papi. Essa avrebbe visto la luce un secolo e mezzo più tardi, quando Filippo Argelati, con la collaborazione di Lodovico Antonio Muratori, attese a pubblicare (ma senza poterli dedicare al papa) gli Opera omnia dell’umanista (1732-1737), inserendovi non solo l’Historia (nel volume IV) ma anche le censure ai testi del modenese. I suoi manoscritti, infatti, si sono conservati seguendo tuttavia una vicenda travagliata (Pirri, 1969). Sigonio, in sostanza, non ebbe vita facile in Italia, ma divenne noto Oltralpe grazie anche all’edizione postuma di una raccolta delle sue opere (Francoforte, A. Wechel, 1604).
Morì nella villa di Ponte Basso il 27 agosto 1584 e fu sepolto nella chiesa di S. Agostino a Modena, dove lo ricordano un sepolcro e un busto assai più tardo. Traiano Boccalini, significativamente, lo avrebbe inserito tra i personaggi dei suoi Ragguagli (I, 33).
Edizioni. Opera omnia edita et inedita [...] et ejusdem vita a cl. v. Lud. Antonio Muratorio [...] conscripta, Philippus Argelatus Bononiensis, I-VI, Mediolani 1732-1737 (in I, pp. I-XX, la vita scritta da L.A. Muratori); Fasti consulares ac triumphi acti, a Romulo rege usque ad Ti. Caesarem. Eiusdem in fastos et triumphos, id est in universam Romanam historiam commentarius, Oxonii 1801; C. Sigonio, Del dialogo, a cura di F. Pignatti, Roma 1993.
Fonti e Bibl.: Bergamo, Biblioteca civica, Mss., gamma 16.18, cc. 1-166 (Annotationes in primum Aristotelis librum De arte rethorica ex Carlo Sigonio); Città del Vaticano, Biblioteca apostolica, Boncompagni, F.9, cc. 68r-375v (censure delle opere); Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Autografoteca Campori, b. Carlo Sigonio; A. Bendinelli, Errata Sigonii, in Id., Vita P. Cornelii Scipionis Aemiliani Africani Minori, Lucae 1568, pp. 117-154; A. Possevino, Bibliotheca selecta, Venezia 1603, p. 222; G. Fantuzzi, Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi, medico e filosofo bolognese, Bologna 1774, p. 202; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1781-1786, V, pp. 76-119; VI, 64, 192 s.; M. Valdrighi, Alcune lettere d’illustri italiani, Modena 1827, pp. 13 s., 83-85; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i Professori della Università e dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna 1847, p. 290; Notizia di 254 lettere autografe inedite di un illustre bolognese della Compagnia di Gesù erede degli scritti di C. S. non che di manoscritti coevi del secolo XVI posseduti ed illustrati dal conte Gio. Francesco Ferrari Moreni, Modena 1857; A. Ceruti, Lettere inedite di dotti italiani del secolo XVI tratte dagli autografi della Biblioteca Ambrosiana, Milano 1867, pp. 75, 91, 100-112; U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, Bologna 1889, II, pp. 159, 162, 165, 168, 171, 174, 177, 180, 183, 185, 188, 190, 193, 198, 201, 204, 207, 209, 212, 215; P. de Nolhac, Piero Vettori et C. S. Correspondance avec Fulvio Orsini, in Studi e documenti di storia e diritto, X (1889), pp. 91-152; E. Costa, La prima cattedra di umanità nello Studio bolognese durante il secolo XVI, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, 1907, vol. 1, pp. 25-63; L. Simeoni, Documenti sulla vita e la biblioteca di Carlo Sigonio, ibid., 1933, vol. 11, pp. 183-262 (pubblica l’inventario dei beni, 11 ottobre 1584, che descrive la biblioteca privata di Sigonio, ed elenca 181 sue lettere, con alcuni inediti); L.A. Muratori, Carteggio con Filippo Argelati, a cura di C. Vianello, Firenze 1976, p. 448; F. Panini, Cronica della città di Modona, a cura di R. Bussi - R. Montagnani, Modena 1978, pp. 72, 169 s.; R. Palmer, The Studio of Venice and its graduates in the sixteenth century, Padova 1983, p. 49; Index des livres interdits, a cura di J.M. De Bujanda, VI, Sherbrooke-Montreal-Genève 1984-2002, p. 386; G.V. Pinelli - C. Dupuy, Correspondance, a cura di A.M. Raugei, Firenze 2001, p. 108 e ad indicem.
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