SFORZA, Carlo
SFORZA, Carlo (Carlo Gabriele; in religione Gabriele). – Stando al funzionario sforzesco Nicodemo Tranchedini da Pontremoli (Parodi, 1920, p. 337) nacque il 15 giugno 1423 a San Giorgio La Molara (Benevento), figlio di Muzio Attendolo (v. Attendolo, Muzio, detto lo Sforza in questo Dizionario); probabilmente frutto di una relazione extraconiugale di Sforza, allora sposato con Maria Marzani d’Aragona.
Secondo Paolo Giovio (Vitae Sfortiae clarissimi ducis, 1539, cc. 34v-35r), il nome Carlo fu imposto al piccolo al fonte battesimale per compiacere la (o su diretto suggerimento della) regina Giovanna II di Napoli, in memoria del padre Carlo III d’Angiò-Durazzo. Gabriele fu il nome assunto in religione.
Quasi nulla è certo in relazione alla sua formazione, che dovette comunque risentire del variegato e colto ambiente creatosi attorno alla militaresca ma dotta corte itinerante degli Sforza. Gracile e melanconico, stando a Giovio, e quindi inadatto al mestiere delle armi, Sforza entrò in monastero nel 1442, presso l’importante centro agostiniano di Lecceto (Siena), luogo celebre dal quale si irradiò una delle più importanti riforme dell’Ordine. Lì, assistito dal frate e beato Girolamo Bonsignori, prese gli ordini come frate Gabriele il 23 ottobre 1443.
Sembra che nel 1447 Sforza fosse nominato maestro dei novizi; nel 1449 fu probabilmente aggregato al costituendo convento milanese di S. Maria Incoronata di Milano da frate Giorgio da Cremona, anche se la sua presenza in città sembra assai più plausibile dopo l’ingresso di Francesco Sforza nell’aprile del 1450. Evidentemente sostenuto dal fratello divenuto duca di Milano, Sforza divenne rapidamente (settembre 1450) commendatario dell’importante abbazia milanese di S. Celso, beneficio prestigioso per il quale era dovuto al Sacro Collegio un servizio comune di ben 500 fiorini.
Con il decesso dell’arcivescovo Niccolò Amidani (21 marzo 1454), il nome del fratello del duca entrò nelle discussioni concistoriali romane per la successione alla cattedra milanese. Papa Niccolò V sembrò preferire a Sforza il canonico lateranense veronese Niccolò Maffei, ma nel complesso movimento di benefici creato dalla contemporanea vacanza del vescovado pavese, Francesco Sforza cedette sulla nomina a Pavia (ove in luogo del favorito ducale ghibellino Giacomo Filippo Crivelli venne scelto il guelfo Giovanni Castiglioni, liberando per il potente cardinale d’Estouteville il seggio di Coutancés, in Normandia, ceduto a un familiare del porporato francese) in favore di un deciso sostegno del fratello. Dopo la ‘rinuncia’ di Maffei, Sforza fu nominato arcivescovo di Milano il 20 giugno 1454, ma la bolla di nomina, che obbligava il prelato ad assommare al nome di Gabriele (preso in religione) quello al secolo di Carlo, fu data a Roma il giorno 11 luglio del medesimo anno.
In assenza di una sede arcivescovile fissa a Milano, il neopresule alternò per la propria residenza una casa in S. Babila, la domus degli umiliati di Brera e l’abbazia di S. Celso. Ma proprio poco dopo l’elezione del fratello, il duca sembrò interessarsi direttamente della costruzione di un nuovo arcivescovato sollecitando in merito i deputati della Veneranda Fabbrica del duomo.
Sforza intraprese già nell’autunno del 1454 un’intensa attività volta alla verifica dei benefici ecclesiastici ambrosiani, accompagnata dall’esecuzione di puntuali visite pastorali, eseguite personalmente o attraverso vicari, in quasi tutta la diocesi. Oltre a una revisione dal sapore politico dei benefici milanesi, le indicazioni dell’arcivescovo furono indirizzate anche al decoro degli edifici religiosi del contado e alla riduzione all’osservanza di cenobi maschili e femminili. In questo contesto si impegnò particolarmente nella riforma del monastero agostiniano di S. Agnese, già noto come domus umiliata de Arcagnago.
La politica del prelato non sempre viaggiò in parallelo con quella del fratello duca. Sembra infatti che Sforza prese le distanze dalle disposizioni di Francesco Sforza in favore degli ebrei e accolse con maggiore entusiasmo del fratello le iniziative di Callisto III per l’indizione di una crociata contro i turchi.
Il suo nome è comunque legato alla fondazione dell’ospedale Maggiore di Milano. Toccò infatti a Sforza il compito di portare a compimento un processo avviato almeno dal 1448, volto a fondare un’unica istituzione assistenziale ospedaliera che, a modello di quanto avveniva a Brescia e a Siena, accentrasse i molti enti milanesi. Già nell’agosto del 1454 (a un mese dalla nomina) avviò una visita pastorale all’ospedale dei Poveri di Milano, seguita poi da una simile iniziativa anche verso il più periferico ospedale di S. Erasmo di Legnano. La prima pietra del nuovo edificio dell’ospedale Maggiore milanese, atto più simbolico che reale, fu posata alla presenza dell’arcivescovo il 12 aprile 1456.
Da quest’anno (16 giugno 1456) compare un suo suffraganeo, il colto agostiniano Paolo da San Genesio, al quale l’arcivescovo destinò il beneficio della cappellania viscontea di S. Giovanni Evangelista. Nell’aprile del 1457 Sforza compì un pellegrinaggio a Loreto, pare accompagnato da un evento miracoloso.
Ammalatosi sulla via del ritorno, morì la notte tra domenica 11 e lunedì 12 settembre 1457, nel suo appartamento presso la domus umiliata di S. Maria di Brera, come riferì dettagliatamente nella sua corrispondenza Agnese del Maino alla figlia Bianca Maria Visconti.
Poco si conosce dello spessore culturale e del mecenatismo di Sforza. Stando a Filippo Argelati fu autore di vari testi di grammatica, retorica, logica e storia, forse propedeutici all’insegnamento dei novizi agostiniani, ma anche di trattati di morale e perfino di una storia di Milano. Più verosimilmente scrisse un commento ai Vangeli e uno alle Sentenze di Pietro Lombardo; entrambe opere apparentemente perdute.
Preziosi indizi dei suoi interessi sono le richieste di restituzione di libri e oggetti da parte della corte ducale e del capitolo del duomo avvenute dopo la sua morte. Alla biblioteca della cattedrale milanese, nello specifico della sagrestia meridionale, furono restituiti (19 settembre) un De architectura di Vitruvio, segno probabilmente degli interessi artistici del presule, e le Consolationes di Cassiano (Milano, Biblioteca Ambrosiana, C.248 inf.), il De gubernatione Dei di Salviano (ibid., D.35 inf.), un volume miscellaneo che principiava con il De re publica Lacedaemoniorum dello pseudo Licurgo, nonché alcuni oggetti preziosi (stole, mitrie, pissidi di avorio), ma anche una Madonna di marmo e dei pezzi lavorati di alabastro, diaspro, serpentino e porfido conservati nelle sue stanze di Brera. La duchessa Bianca Maria richiese invece alla chiesa di S. Maria Incoronata a Milano, attraverso il suo tesoriere Giovanni Giapano, un numero imprecisato di libri e «lo horologio», che i frati agostiniani erano restii a rendere (21 settembre).
Non vi è nulla di sicuro circa un intervento di Sforza nell’edificazione di tale chiesa, per la quale è stato anche ipotizzato un rapporto con il Filarete; ma è certo che i frati dell’Incoronata beneficiarono del testamento dell’arcivescovo, che ivi volle essere sepolto in un monumento funebre attribuito agli scultori Cristoforo, Policleto e Samuele Luvoni. L’eredità del presule passata agli agostiniani osservanti milanesi – detratti i legati non ingenti e i salari dovuti alla propria familia, nonché i debiti contratti con il conte Franchino Rusca e altri personaggi minori – ammontò alla non cospicua somma di 500 fiorini, il che sembra confermare la volontà del religioso di mantenere uno stato di povertà nonostante l’importante carica ricoperta negli ultimi anni di vita e la gestione della ricca mensa arcivescovile milanese.
Sebbene un processo di beatificazione avviato dagli Sforza Cesarini attorno al settimo decennio del XVIII secolo non portasse a una formale proclamazione, l’arcivescovo è in alcune circostanze indicato come beato a sottolineare il suo stile di vita aderente all’osservanza delle regole agostiniane.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Autografi, 18; Fondo di Religione, 1452; Registri ducali, 97; Sforzesco, 40; P. Giovio, Vitae Sfortiae clarissimi ducis, Roma 1539, cc. 34v-35r; G. Ripamonti, Historiarum Ecclesiae Mediolanensis, III, Mediolani 1617, p. 83; G.F. Besozzi, Historia pontificale di Milano nella quale si descrivono le vite degli arcivescovi dal primo suo fondatore S. Barnaba fino al presente sig. card. Borromeo, Milano 1623, p. 193; G.G. Vagliano, Sommario delle vite ed azioni degli arcivescovi di Milano da s. Barnaba fino al governo presente, Milano 1715, p. 320; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, Milano 1745, coll. 1376-1378; G.B. Alegiani, Compendio della vita del b. G. S. dell’ordine Eremitano di S. Agostino arcivescovo di Milano. Aggiuntevi le memorie della vita del cardinal Giuliano Cesarini dedicate a sua eccellenza il signor d. Filippo duca Sforza Cesarini, Roma 1768; N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 39-43; K. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, II, Monasterii 1914, p. 188; P. Parodi, Nicodemo Tranchedini da Pontremoli genealogista degli Sforza, in Archivio storico lombardo, XLVII (1920), pp. 334-340 (in partic. p. 337); L. Fumi, Chiesa e Stato nel dominio di Francesco Sforza, ibid., LI (1924), pp. 1-74 (in partic. pp. 5 s.); C. Marcora, Frate G. S., arcivescovo di Milano (1454-1457), in Memorie storiche della Diocesi di Milano, I (1954), pp. 236-331; C. Marcora, Il testamento di fra G. S., arcivescovo di Milano, ibid., II (1955), pp. 334-338; F. Fossati, Per i rapporti tra Francesco I Sforza e il fratello arcivescovo, ibid., IV (1957), pp. 282-287; Lexicon für Theologie und Kirche, IX, Freiburg im Breisgau, 1964, pp. 711-713; M.L. Gatti Perer, Umanesimo a Milano: l’osservanza agostiniana all’Incoronata, in Arte lombarda, 1980, n. 53-54, pp. 30, 45, 95-102; A. Rovetta, Cultura e codici vitruviani nel primo umanesimo milanese, ibid., 1981, n. 60, pp. 9-14 (in partic. p. 12); E. Cattaneo, Cataloghi e biografie dei vescovi di Milano dalle origini al secolo XVI, Milano 1982, p. 130; G. Colombo, La visita pastorale dell’arcivescovo G. S. alla pieve di Appiano, in Aplanum, I (1982), pp. 11-27; M.L. Gatti Perer, Evoluzione della scultura funeraria a Milano fra Quattro e Cinquecento, in La scultura decorativa del primo Rinascimento, Atti del I Convegno internazionale..., Pavia... 1980, Roma 1983, pp. 129 s.; M. Ferrari, Fra i latini scriptores di Pier Candido Decembrio e biblioteche umanistiche milanesi: codici di Vitruvio e Quintiliano, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani et al., I, Roma 1984, pp. 247-296 (in partic. pp. 262 s.); M. Ansani, La provvista dei benefici (1450-1466). Strumenti e limiti dell’intervento ducale, in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel ducato di Milano (1450-1535), Napoli 1989, pp. 1-113 (in partic. pp. 11 s., 100); M. Ferrari, Il Quattrocento. Dai Visconti agli Sforza, in Diocesi di Milano. I, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1990, pp. 333-349 (in partic. pp. 339 s.); G. Colombo, La visita pastorale di C. Gabriele Sforza a Cannobio (1455), in Verbanus, XIV (1993), pp. 111-123; N. Raponi, S. G. (1423-1457), in Dizionario della Chiesa ambrosiana, VI, Milano 1993, pp. 3432-3435; M. Pedralli, Novo, grande, coverto e ferrato. Gli inventari di biblioteca e la cultura a Milano nel Quattrocento, Milano 2002, pp. 342 s. e ad ind.; E. Bianchi, Una famiglia di scultori nella Milano del Quattrocento: Cristoforo, Policleto e Samuele Luvoni, in Prospettiva, 2003, n. 112, pp. 18-43; I notai della curia arcivescovile di Milano (secoli XIV-XV), a cura di C. Belloni - M. Lunari, Roma 2004, pp. 124 s.; M.L. Mangini, Atti di ultima volontà degli arcivescovi di Milano, in E viene il tempo della pietà. Sentimento e poesia nei testamenti, a cura di A. Osimo, Milano 2009, pp. 15-29 (in partic. 28 s.); C. Belloni, Visite pastorali milanesi nella seconda metà del XV secolo, in Medioevo dei poteri. Studi di storia per Giorgio Chittolini, a cura di M.N. Covini et al., Roma 2012, pp. 301-336.