SCORZA, Carlo
SCORZA, Carlo. – Nacque a Paola, in provincia di Cosenza, il 15 giugno 1897 da Ignazio e da Gennarina Jacovini.
A quindici anni si trasferì a Lucca per raggiungere suo fratello Giuseppe colà impiegato. Nella città toscana frequentò per alcuni anni un istituto tecnico commerciale e iniziò a farsi notare nelle manifestazioni antiaustriache; venne fermato il 1° maggio 1915 per avere disturbato la giornata della festa del lavoro con un comizio improvvisato a favore della guerra contro l’Austria. Volontario nella prima guerra mondiale, tenente dei bersaglieri nell’ottobre del 1917 e poi del corpo degli arditi, si distinse nella difesa del Piave, ottenendo tre medaglie di bronzo al valor militare. Congedato, si diplomò in ragioneria e, il 14 dicembre 1920, s’iscrisse al fascio di Lucca, iniziando a collaborare con il suo organo L’Intrepido. Il 23 dicembre venne chiamato a far parte del direttorio e, il 9 aprile 1921, venne eletto segretario.
Riorganizzò il fascio lucchese affidandosi soprattutto all’elemento squadristico e violento, con cui portò a termine una serie di azioni contro sedi di partiti, di leghe e di circoli ‘rossi’. In questo clima si rese protagonista di un episodio che, dieci anni dopo, avrebbe avuto conseguenze sulla sua carriera politica. Di ritorno dall’inaugurazione di una sezione fascista nella campagna lucchese, un camion di fascisti venne investito da massi fatti rotolare dall’alto. Morirono due squadristi e, molti anni dopo, il segretario del PNF (Partito Nazionale Fascista) Starace lo avrebbe accusato di essere stato l’ideatore del falso agguato dei ‘rossi’, per giustificare così la feroce rappresaglia che in effetti vi era stata, culminata con l’uccisione a sangue freddo di un casellante comunista.
Nel settembre del 1921 venne eletto segretario federale, carica che manterrà quasi ininterrottamente fino all’aprile del 1929, e un mese dopo venne confermato segretario politico del fascio di Lucca. Nel novembre del 1921 partecipò al congresso nazionale di Roma dell’Augusteo, appoggiando la tesi mussoliniana della trasformazione del movimento fascista in partito. Il 3 dicembre il nuovo comitato federale lucchese del neonato PNF lo elesse per acclamazione segretario federale e pochi giorni dopo venne confermato segretario della sezione di Lucca. Eletto segretario federale anche al terzo congresso provinciale, nel luglio del 1922, nel discorso d’investitura si espresse apertamente per una dittatura fascista nel Paese.
Prese parte alla marcia su Roma come comandante delle tre legioni di Lucca, della Versilia e della Valdinievole, che occuparono Civitavecchia. Fascista intransigente, ostile alle manovre parlamentari mussoliniane e al governo di coalizione, se a livello nazionale sembrò rispettare la linea politica ‘normalizzatrice’ che andava indicando il suo capo, a livello locale continuò a fare costante ricorso alla violenza, colpendo e abbattendo metodicamente tutte le amministrazioni locali in mano a socialcomunisti e popolari. Già nell’estate del 1923 ventidue consigli comunali, dei ventotto della provincia, risultavano integralmente fascisti, mentre gli altri sei risultavano a maggioranza fascista. Nelle elezioni politiche del 6 aprile 1924, ottenne una lusinghiera vittoria personale, con 14.184 voti di preferenza. Fece quindi il suo ingresso in Parlamento, dove rimase ininterrottamente fino al 1943. L’elezione a deputato e le lunghe permanenze a Roma lo costrinsero ad allentare la sua presa sulla provincia e perciò, consigliato anche dalle gerarchie nazionali, rassegnò le dimissioni dalla carica di segretario federale. Ma la crisi Matteotti lo spinse, dopo solo pochi mesi, a riappropriarsi della carica. Con il IV Congresso provinciale, tenuto il 21 dicembre 1924, venne di nuovo eletto segretario federale e nel suo discorso d’investitura non esitò a condannare le posizioni incerte assunte da Benito Mussolini durante la crisi Matteotti. Dopo il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925, fu protagonista assoluto in provincia di Lucca del processo d’instaurazione del regime totalitario. La notte tra il 20 e il 21 luglio 1925 squadre fasciste lucchesi aggredivano Giovanni Amendola, provocandogli lesioni che lo condussero di lì a nove mesi alla morte.
L’ascesa politica di Scorza, sostenuta dalla forza e dalla compattezza che aveva saputo dare all’organizzazione fascista della sua provincia, additata ad esempio anche da Mussolini, proseguì senza più incontrare ostacoli. Fu commissario straordinario della federazione di Forlì dal settembre del 1928 all’aprile del 1929 e il 1° ottobre 1929 venne chiamato a far parte del direttorio nazionale del partito, carica conservata fino al dicembre del 1931. Con l’allontanamento di Augusto Turati dalla segreteria nazionale del PNF, la posizione di Scorza si rafforzò notevolmente. Molto amico del nuovo segretario, Giovanni Giuriati, venne nominato responsabile nazionale dei Fasci giovanili di combattimento e direttore del loro settimanale illustrato Gioventù fascista. La sua ascesa politica venne interrotta a causa del conflitto che nel 1931 esplose tra il regime fascista e la Chiesa sulla questione dell’autonomia delle organizzazioni giovanili cattoliche. Mussolini aveva avviato un’offensiva politica e squadristica contro l’Azione cattolica e la Federazione universitaria cattolica italiana, per limitarne quell’autonomia che pure solo due anni prima aveva concesso loro con i Patti lateranensi. Dalle colonne di Gioventù fascista e del Popolo toscano, che dal gennaio del 1926 aveva sostituito L’Intrepido, Scorza fu tra i più violenti sostenitori della linea di Mussolini, tornando anche a riattizzare la violenza squadristica nella sua provincia. Quando però si giunse a un accordo tra Vaticano e regime, le vittime designate a pagarne il prezzo furono i due principali protagonisti della campagna, Scorza e Giuriati. Quest’ultimo fu sostituito da Starace, la cui prima misura fu l’allontanamento di Scorza dal direttorio nazionale: riesumando la ‘storia’ dell’agguato del 1921, e dando inoltre credito alle voci provenienti dalla provincia lucchese sui loschi affari della famiglia Scorza e dello stesso Scorza nell’esercizio del suo potere, Starace rimosse il ‘ras’ lucchese dagli incarichi di responsabile nazionale dei Fasci giovanili di combattimento e dei reparti universitari e lo costrinse a chiudere il suo foglio personale Il Popolo toscano. Scorza mantenne, con grande difficoltà, la sola carica di deputato, riuscendo a candidarsi per il plebiscito del marzo del 1934. Del tutto emarginato da cariche di partito, cercò di rifarsi una verginità politica partecipando volontario a tutte le guerre fasciste degli anni Trenta: in Etiopia, dove si guadagnò una medaglia di bronzo e una croce di guerra al valor militare, in Spagna, nelle ultime fasi della guerra civile, dove gli vennero conferite una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare, e tra fronte nordafricano e balcanico, nel corso delle prime fasi della guerra mondiale.
L’allontanamento del ‘nemico’ Starace dalla segreteria, segnò l’inizio di una nuova fase di ascesa di Scorza ai vertici del partito, che culminò, nel dicembre del 1942, con il reingresso nel direttorio nazionale e la nomina a vicesegretario nazionale. L’andamento disastroso della guerra, la sconfitta in Nord Africa e la disfatta sul fronte russo costrinsero Mussolini a un ampio rimpasto delle cariche di governo e di partito: nell’aprile del 1943 venne sostituito alla segreteria del PNF l’incolore Aldo Vidussoni e la scelta del suo sostituto cadde su Scorza perché questi, come ha scritto Renzo De Felice, sembrava a Mussolini «il più adatto a realizzare quella “terza ondata” alla quale per un momento egli pensò di ricorrere per rigalvanizzare il partito, epurarlo e riprendere in pugno la situazione interna che continuava a deteriorarsi vieppiù» (Introduzione a Grandi, 1983, p. 58).
Se Scorza da parte sua garantì il ritorno agli antichi valori del primigenio fascismo, la lotta agli speculatori e la persecuzione degli opportunisti, e sulle prime sembrò che riuscisse a suscitare qualche punta di entusiasmo attorno al partito, tuttavia non si tardò molto a capire come egli fosse del tutto inadeguato ad affrontare la situazione drammaticamente deteriorata del Paese. Giuseppe Bottai riportò nel suo diario, alla data del 19 maggio 1943, che di «Scorza già si dice che son meglio le parole che gli atti, che i fatti» (1982, p. 378). Anche De Felice fa notare che «l’effetto Scorza» durò assai poco e che, quando venne meno, «il partito finì per trovarsi, sia al suo interno sia rispetto al Paese, in una condizione peggiore di quella esistente al momento in cui Scorza ne aveva assunto la guida» (Mussolini l’alleato, I, 2, Crisi e agonia del regime, Torino 1996, p. 1066). Lo stesso Mussolini si mostrò presto deluso dei risultati del segretario. Per il capo del fascismo, le prime misure adottate da Scorza «disturbavano sensibilmente l’amministrazione statale» (p. 1033). Alludendo poi in particolare all’atteggiamento ambiguo tenuto da Scorza la notte del Gran Consiglio del fascismo, Mussolini in seguito rivelò di avere iniziato a nutrire abbastanza presto seri dubbi anche sulla sua fedeltà al regime e a lui stesso.
Anche se sembrò essere al centro della rete degli intrighi e accordi sottobanco che tra il 24 e il 25 luglio portò alla caduta del duce, in realtà il suo ruolo fu quello di un comprimario. Sebbene fosse contrario all’ordine del giorno di Dino Grandi, si mostrò ancora una volta inadeguato agli eventi storici che sovrastavano ormai il regime fascista. Fece credere a Grandi di essere d’accordo con lui e, nel contempo, consegnò il testo del documento a Mussolini, riferendogli dell’andamento degli incontri cui partecipava come segretario del partito e illudendosi di avere raggiunto con il capo del fascismo un accordo attorno a un progetto di riforma del partito, da questi, alla prova dei fatti, del tutto ignorato. Mostrando una totale assenza di intelligenza politica, incapace di comprendere nella sua complessità la tragedia che stava rapidamente abbattendosi sul Paese, Scorza pensava che si sarebbe riusciti a raddrizzare il corso degli eventi in senso favorevole all’Italia solo se si fosse varata una profonda riforma del partito. Il progetto che intendeva presentare al Gran Consiglio, e che aveva a tal uopo presentato a un Mussolini distratto e sospettoso, era del tutto irrealizzabile, poiché avrebbe richiesto, per essere attuato, tempi lunghissimi e una compattezza della classe dirigente fascista in realtà ormai alla deriva e in rivolta contro lo stesso Mussolini.
Scorza venne arrestato su ordine di Pietro Badoglio nei giorni successivi alla caduta del fascismo, ma riuscì a fuggire in un modo mai del tutto chiarito. A rendere ancora più oscuro l’episodio, vi è la lettera del 27 luglio che, dopo qualche giorno di latitanza, egli fece pervenire a Badoglio, con cui dichiarava di ritenere «esaurito il compito di persuasione e di disciplina tra i fascisti impostomi dalla mia coscienza come sacro dovere di soldato, in seguito al cambiamento di governo» e di restare «in attesa delle vostre decisioni circa il Partito» (Rastrelli, 2010, pp. 190 s.). Arrestato di nuovo il 23 agosto, il 12 settembre venne liberato dalle SS tedesche. Dopo avere tentato di essere ricevuto da Mussolini, nel dicembre del 1943 fu arrestato e rinchiuso nelle carceri di Padova con l’accusa di avere favorito la dissoluzione del PNF; il principale capo di accusa era rappresentato dalla lettera a Badoglio. Il 19 gennaio 1944 venne deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e trasferito nelle carceri di Parma. Il processo fu brevissimo e, nell’aprile del 1944, fu prosciolto dalle accuse. Durante gli ultimi mesi della Repubblica sociale italiana, si nascose nel collegio universitario di Padova dei gesuiti e, dopo la liberazione, in Calabria, in un convento francescano. Nel dicembre del 1946, infine, s’imbarcò, con passaporto falso, per l’Argentina. Nel marzo del 1947 venne condannato in contumacia a trent’anni di reclusione per l’assassinio di Amendola. Successivamente la Cassazione annullò la sentenza e un nuovo processo definì l’omicidio preterintenzionale e come tale estinto dall’amnistia Togliatti. Nel luglio del 1962 rientrò definitivamente in Italia.
Morì a Castagno d’Andrea di San Godenzo in provincia di Firenze, il 23 dicembre 1988.
Opere. Bagliori d’epopea, Lucca 1922; Tipi....tipi....tipi, Firenze 1942; La notte del Gran Consiglio, Milano 1968; Mussolini tradito. Dall’archivio segretissimo e inedito dell’ultimo segretario nazionale del PNF dal 14 aprile alla notte sul 25 luglio 1943, Roma 1982.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, bb. 49, 93; Carteggio ordinario, ff. 210.850, 509.768; Ministero dell’Interno, Pubblica sicurezza, cat. A1 1936, b. 44.
G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, ad ind.; D. Grandi, 25 luglio. Quarant’anni dopo, a cura di R. De Felice, Bologna 1983, ad ind.; C. Rastrelli, C. S. l’ultimo gerarca, Milano 2010.