SARTI, Carlo
– Plasticatore bolognese, attivo dalla metà del quarto all’inizio dell’ottavo decennio del Settecento prevalentemente a Rimini ma anche in altre città della Romagna e delle Marche (Pasini, 1970).
Una traccia per meglio precisarne la biografia è contenuta nella dichiarazione che egli stesso rilasciò l’11 giugno 1768 allorché fu incaricato di periziare l’arca del beato Gregorio Celli da Verucchio. Nell’atto egli afferma di essere figlio di Benedetto «detto Rodelone, cittadino bolognese», e di avere «sessantotto anni in circa» (Donati, 2003, ma 2006, p. 60; Massari, in Tumidei, 2016, pp. 18, 46 nota 4). Data l’approssimazione con cui è resa l’età, non è escluso che lo si possa riconoscere nel Carlo Antonio figlio di Benedetto Sarti e di Margherita Vanini, dimoranti nei pressi della parrocchia dei Ss. Cosma e Damiano, la cui nascita il 13 aprile 1697 è documentata dai registri battesimali della cattedrale (Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registri battesimali della Cattedrale, vol. 150, c. 55r).
Del padre Benedetto, anch’egli di professione scultore, non rimane alcuna testimonianza: con tutta probabilità era fratello del più noto Sebastiano, plasticatore attivo in città tra Sei e Settecento (Mostra della scultura..., 1965, pp. 95-97), ricordato, appunto, come zio del nostro nelle Vite di Luigi Crespi (Pasini, 1970, pp. 456, 493), e anche lui soprannominato Rodelone, in quanto abile ‒ narra Marcello Oretti (Notizie de’ professori del disegno..., B.135, c. 23) ‒ nel gioco della ruzzola.
Non è inoltre inverosimile che Carlo fosse fratello di quell’Angelo Michele, figlio del quondam Benedetto da Bologna (Rudolph, 1996-1997, p. 240), attivo tra il 1718 e il 1741 soprattutto a Firenze e a Roma come medaglista, ceroplasta e modellatore di figure da presepe (P. Zani, Enciclopedia metodica..., 1823, p. 67; U. Schlegel, Die Bildwerke der Skulpturengalerie Berlin, I, Die italienischen Bildwerke des 17. und 18. Jahrhunderts in Stein, Holz, Ton, Wachs und Bronze mit Ausnahme der Plaketten und Medaillen, Berlin 1978, pp. 128 s., catalogo 35; Rudolph, 1996-1997; A. Negro, La collezione Rospigliosi. La quadreria e la committenza artistica di una famiglia patrizia a Roma nel Sei e Settecento, Roma 2007, p. 143).
Nella succitata dichiarazione, Carlo fornisce pure alcune nuove indicazioni sulla sua formazione: «ho perizia nell’arte di scultore, questo è il mestiere che faceva mio padre, e sotto di lui ho cominciato ancor io fin da ragazzo, e di venticinque o ventisei anni mi misi sotto la scuola del sig. Giuseppe Mazza, che aiutai ancora nella disposizione delle statue dell’Instituto di Bologna sotto la direzzione della ch. mem. del generale Marsigli» (Massari, in Tumidei, 2016, p. 46 nota 4). Poco altro sappiamo dei suoi anni bolognesi. Le scarse segnalazioni finora recuperate restituiscono il profilo di una figura dal temperamento tutt’altro che mite – finì in carcere per ben due volte (Rimini, Archivio storico diocesano, Processo per la canonizzazione...) ‒ e con un ruolo assai marginale nelle dinamiche artistiche e professionali cittadine: non fu mai aggregato all’Accademia Clementina e la sola occasione d’impiego a oggi nota fu l’altare della Reposizione allestito nel 1735 nella chiesa S. Maria della Carità (Fanti, 2001, pp. 377 s.). Non a caso, dunque, s’indirizzò presto altrove: trasferitosi a Rimini, dalla seconda metà del quinto decennio vi risiedette stabilmente e in breve guadagnò il monopolio delle commissioni scultoree locali, arrivando anche ad avere una propria bottega entro cui poté apprendere i rudimenti della tecnica Antonio Trentanove, che nell’ultimo trentennio del secolo avrebbe imposto un nuovo corso al fare scultoreo in Romagna (Tumidei, 2016).
Nella sua prova d’esordio in città, nella chiesa di S. Francesco Saverio, detta del Suffragio, Carlo fu impegnato ad arricchire di stucchi le nuove architetture dell’emiliano Alfonso Torreggiani, progettate, secondo la testimonianza di quest’ultimo, nel 1746 (A.M. Matteucci, Carlo Francesco Dotti e l’architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, p. 56; Tumidei, 1991, p. 136): completò l’altare di S. Ignazio con le statue raffiguranti la Fede, la Prudenza e Angeli, ed eseguì le sculture di Mosè, Davide e due Figure allegoriche a ornamento della cantoria (distrutta nel 1944).
Negli anni a seguire, le tappe professionali di Sarti corrispondono a quelle dell’architetto riminese Gianfrancesco Buonamici, che lo coinvolse nei tanti cantieri da lui diretti: un riscontro figurativo del sodalizio istituito tra i due artisti era offerto dal palazzo dell’architetto, i cui ambienti erano ornati da stucchi del bolognese, ora perduti. I due collaborarono per la prima volta in S. Salvatore, eremo di Monte Giove (Fano): nell’ambito dei lavori di ricostruzione della chiesa guidati da Buonamici, Sarti modellò le quattro statue che ornano l’interno, ottenendo nell’ottobre del 1748 un compenso di 30 scudi (Bortone, 1925, p. 12).
Successivamente, e fino alla metà del sesto decennio, la sua attività, tutta concentrata a Rimini, fu intensa e rappresenta il momento migliore della sua carriera, che, pur «quasi mai elevatasi al di sopra di una onesta routine» (Tumidei, 1991, p. 136), in alcuni casi si mostrò capace di trarre forme e modelli dalla scuola bolognese, attingendo dai grandi testi pittorici di Guido Reni e dalla plastica di Giuseppe Maria Mazza. Pressoché contemporaneo a quello fanese fu il suo intervento nella nuova chiesa riminese di S. Croce, dove eseguì l’ornato plastico della cappella maggiore e approntò le sculture di Davide, Mosè, Giosuè e Sansone nella navata. Nel santuario di S. Maria delle Grazie (Covignano) attese dapprima ai bassorilievi in terracotta policroma della Via Crucis , messi in opera sul finire del 1750 e da lui stesso integrati nel 1770 (parzialmente distrutti), e poi, nel 1751, licenziò una delle sue opere migliori: il monumento funebre di Giovanni Antonio Alvarado, in stucco, con il busto-ritratto del cavaliere spagnolo, segretario in Italia dell’imperatore Carlo VI, entro un panneggio sorretto da un puttino in volo. Prima del 1754, quando viene citato da Carlo Francesco Marcheselli, Sarti realizzò il S. Gaudenzo sulla facciata del vescovado (distrutto), mentre alla metà del secolo si datano le otto statue di santi e beati dell’Ordine di S. Agostino nella navata dell’omonima chiesa. A Pesaro, dove dal 1749 Buonamici aveva diretto la costruzione del nuovo porto, Sarti diede forma alle statue nella chiesa, oggi scomparsa, di S. Francesco da Paola. Collaborò con l’architetto romagnolo anche nel duomo di Cagli, eseguendo (1756 circa) la Fede e la Carità sull’altare nel transetto destro, e, rientrato a Rimini, lo affiancò nella sua ultima impresa: la ricostruzione (1757-59) della chiesa di S. Bernardino, dove plasmò i Ss. Ludovico e Bonaventura nella navata, gli Angeli che sorreggono lo stemma francescano ad altorilievo sull’organo e, all’esterno, i Ss. Giovanni della Marca, Bernardino da Siena e Francesco d’Assisi.
Negli anni Sessanta, oltre che a Rimini (ornati e statue nelle chiese del Buon Gesù e dei cappuccini, tutti distrutti), Sarti fu attivo a Savignano sul Rubicone (statue per la facciata della Ss. Trinità, 1766), a Faenza (Angeli sulla cimasa dell’altare di S. Domenico nell’omonima chiesa ricostruita tra il 1761 e il 1766; ibid.), a Sarna (decorazione plastica in S. Maria degli Angeli; Pasini, 1970, p. 491) e a Modigliana (statue entro nicchie nei pilastri della navata del duomo, 1769 circa). Sul finire della carriera, nella chiesa riminese dei carmelitani rinnovata tra il 1767 e il 1772, realizzò per la facciata il S. Giovanni Battista e il Profeta Elia in terracotta e, all’interno, la Madonna e S. Giovanni in stucco.
Della sua pur copiosa produzione di opere devozionali rimangono il S. Michele Arcangelo e il Pastore in terracotta policroma nei Musei comunali di Rimini (1750 circa), il S. Nicola da Tolentino in cartapesta nella chiesa del Suffragio di Rimini (1760 circa) e le due statue di S. Francesco da Paola, l’una in terracotta policroma nel Museo Davia Bargellini di Bologna (1755-60 circa), l’altra in cartapesta nella chiesa di S. Rocco a Faenza, riferita alla fase ultima della sua attività.
Oretti, sulla base delle notizie fornitegli dai suoi corrispondenti riminesi, lo dice morto «misero nell’ospedale di Rimino» (cit. in Pasini, 1970, p. 468) nel 1771, data, questa, che non può considerarsi certa: a lui sembrerebbe infatti indirizzato un pagamento del 25 aprile 1773 per una Madonna del Rosario, già nella parrocchiale di Sarna (p. 491).
Fonti e Bibl.: Rimini, Archivio storico diocesano, Processo per la canonizzazione del beato Gregorio Celli, vol. 76, cc. n.n.; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B.95 - f. 37-39: Memorie [...] di C. S. scultore, c. 244rv (in Pasini, 1970, pp. 494 s.); mss. B.133, B.135: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno..., cc. 23-25, 25-29 (in Pasini, 1970, pp. 495 s.); ms. 165 II: Id., Le pitture della città di Rimini (1777); G. Buonamici, Delle cose notabili d’Arimino (metà XVIII sec.), a cura di P. Alunni, Rimini 2015, ad ind.; C.F. Marcheselli, Pitture delle chiese di Rimino, Rimini 1754, p. 45; P. Flaminio da Parma, Memorie istoriche..., II, Parma 1760, p. 507; P. Zani, Enciclopedia metodica..., XVII, Parma 1823, p. 67; L. Tonini, Guida del forestiere..., Rimini 1864, ad indicem.
G. Bortone, L’eremo di Monte Giove, Fano 1925, p. 12; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXIX, Leipzig 1935, p. 472; Mostra della scultura bolognese del Settecento (catal.), a cura di E. Riccòmini, Bologna 1965, pp. 96 s.; P.G. Pasini, C. S. statuario (XVIII secolo), in Studi romagnoli, XXI (1970), pp. 455-496; Id., Guida per Rimini, Vicenza 1972, ad ind.; E. Bénézit, Dictionnaire critique..., IX, Parigi 1976, p. 300; E. Riccòmini, Vaghezza e furore. La scultura del Settecento in Emilia, Bologna 1977, pp. 26 s., 107; Arte e cultura nella Provincia di Pesaro e Urbino, a cura di F. Battistelli, Venezia 1986, ad ind.; S. Tumidei, in Presepi e terrecotte nei musei civici di Bologna (catal.), a cura di R. Grandi et al., Bologna 1991, pp. 135 s., n. 41; Monte Giove: un eremo camaldolese a Fano, a cura di M. Belogi, Fano 1996; S. Rudolph, Traccia per il Presepio eccezionale creato a Roma nel 1718-23 da uno scultore bolognese: iconologia, tecnologia, vicende giudiziarie, in Labyrinthos, XV-XVI (1996-1997), 29-32, pp. 239-260; P.G. Pasini, Arte e storia della chiesa riminese, Milano 1999, pp. 139, 141 s.; M. Fanti, Confraternite e città a Bologna nel Medioevo e nell’Età moderna, Roma 2001, pp. 377 s.; A. Donati, I Beati di Verucchio. Nuovi contributi, in Studi romagnoli, LIV (2003, ma 2006), pp. 51-74; S. Cortesi, La scultura faentina in cartapesta. I Ballanti Graziani, i Collina, Vitenè, i Dal Monte e... Giò Ponti (1750-1960), Faenza 2012, p. 15; A. Giovanardi, Chiesa, arti figurative dal tardo Rinascimento all’età neoclassica, in Storia della Chiesa riminese, III, Dal Concilio di Trento all’età napoleonica, a cura di S. Giombi, Rimini 2013, pp. 549-583; P.G. Pasini, Le chiese barocche, ibid., pp. 485-522; Id., Guida catalogo della Sezione medievale moderna, Rimini 2013, p. 45; A. Cicerchia, I fondi camaldolesi negli Archivi di Stato delle Marche e nell’archivio storico di Camaldoli. Analisi documentarie e percorsi di ricerca, in L’Ordine camaldolese dal Medioevo all’Età contemporanea nelle fonti degli Archivi di Stato italiani. Atti della giornata di studio... 2014, a cura di G.M. Croce, Roma 2016, p. 99; S. Tumidei, Antonio Trentanove e la scultura del Settecento in Romagna, a cura di A. Bacchi - S. Massari, Bologna 2016 (in partic. S. Massari, Ritornando a Trentanove tra Toscana, Umbria, Marche e Romagna, pp. 17-47).