SANTUCCI, Carlo
– Nacque a Velletri (Roma) il 9 febbraio 1849, da Luigi e da Maria dei Conti Calcagni, quartogenito di una prole numerosa.
Appartenente a una famiglia nobiliare, cattolica, ma di sentimenti moderatamente liberali, il padre fu avvocato e membro della Consulta di Stato istituita da Pio IX nel 1847. Carlo ricevette un’istruzione religiosa presso i gesuiti del Collegio romano e si laureò in giurisprudenza a La Sapienza nel 1870. Sposato con la nobildonna Camilla Fontanelli nel 1885, da cui ebbe due figli, Maria e Francesco, affiancò agli studi giuridici e alla professione forense l’impegno nel movimento cattolico. Nel 1869, prese parte al Circolo di S. Pietro e quindi alla Società della gioventù cattolica italiana. La profonda pietà religiosa lo portò a divenire terziario francescano nel 1893.
Convinto che la presa di Porta Pia potesse dare avvio a una nuova fase nella storia della Chiesa italiana, prese parte nel 1879 alle riunioni di casa Campello in qualità di segretario, condividendo il progetto di costituire un partito conservatore nazionale che inserisse i cattolici nella vita politica dello Stato unitario. Fallito però tale disegno a causa delle perplessità vaticane, nel 1881 Santucci partecipò alla fondazione e fu vicepresidente del Circolo romano di studi sociali, d’ispirazione moderatamente conciliativa, e contribuì alla nascita della rivista Rassegna Italiana, voce dei conservatori nazionali nella capitale.
In ossequio al non expedit, pur restando convinto dell’utilità di un impegno dei cattolici su scala nazionale, limitò la sua azione politica all’ambito civico, divenendo dal 1877 al 1885 consigliere provinciale di Roma per i mandamenti di Velletri e Roma, membro della deputazione provinciale e quindi, dal 1886 al 1907, consigliere comunale della capitale. Oltre agli uffici legati alle cariche istituzionali, collaborò nelle redazioni di numerosi giornali e riviste cattoliche romane.
Nel 1888, in qualità di vicepresidente dell’Unione romana per le elezioni amministrative, redasse un significativo memoriale per Leone XIII in cui perorava caldamente la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche. Assurto nel 1897 alla presidenza dell’Unione, Santucci impedì la candidatura al consiglio comunale di Roma di Romolo Murri, dal quale, pur condividendone l’ansia alla partecipazione politica, lo allontanavano i sentimenti democratici e sociali che animavano il sacerdote marchigiano. Tornò a patrocinare il pieno esercizio dei diritti politici dei cattolici italiani in un altro memoriale indirizzato il 6 novembre 1903 al neoeletto papa Pio X. L’indisponibilità papale e il successivo scioglimento dell’Opera dei congressi, lo indussero tuttavia a lasciare, nel 1904, la presidenza dell’Unione romana. Malgrado ciò nel 1907 e ancora nel 1909 tornò a sostenere l’urgenza di una partecipazione elettorale cattolica, secondo uno schema di segno clerico-moderato e antisocialista.
Nel 1906 partecipò alla fondazione del Corriere d’Italia, il principale organo del trust giornalistico cattolico fondato da Giovanni Grosoli: nel consiglio d’amministrazione dell’Unione editoriale italiana, che dal 1916 controllò la testata, Santucci sedette fino al suo scioglimento. Sotto il nuovo pontificato di papa Della Chiesa (Benedetto XV), Santucci tornò ai vertici del movimento cattolico, succedendo nel gennaio del 1916 a Ottorino Gentiloni alla presidenza dell’Unione elettorale cattolica, carica da cui si dimise poco dopo, accettando, il 28 dicembre 1916, la presidenza del Banco di Roma. Negli anni della prima guerra mondiale si distinse per il suo schietto patriottismo e per un incarico diplomatico-caritativo svolto nel 1915 presso il governo svizzero per conto della S. Sede.
All’indomani della guerra, Santucci presiedette a Roma le due adunanze della Piccola costituente che il 16 e il 17 dicembre 1918 prepararono la fondazione del PPI (Partito Popolare Italiano), entrando poi a far parte della sua commissione provvisoria, firmando l’Appello ai liberi e forti del 18 gennaio 1919 e divenendo membro del consiglio nazionale del PPI. Santucci agì per aggregare la corrente cattolico-nazionale del partito, che egli concepì come continuazione del progetto conservatore dell’Ottocento, modulato in funzione antisocialista. Per il suo cattolicesimo conservatore e il suo temperato patriottismo, fu il primo cattolico organico a essere nominato senatore del Regno il 6 ottobre 1919. Nel suo primo discorso in Senato, il 28 dicembre 1919, espose le ragioni per le quali il patriottismo dei cattolici non era in contraddizione con i principi religiosi, limitando la portata del programma del PPI a quella di un partito d’ordine ispirato ai principi Dio, patria e famiglia.
L’incomprensione dei contenuti democratici e sociali dell’azione del PPI lo portarono a sottoscrivere, il 18 settembre 1922, una lettera pubblica di otto senatori popolari a don Luigi Sturzo in cui si stigmatizzava la «piega verso sinistra del partito». Iniziò così un distacco dal PPI che giunse a maturazione il 1° agosto 1923, allorché Santucci, disapprovando l’opposizione alla legge Acerbo e al fascismo, si dimise dal PPI. Nei mesi che seguirono, appoggiò la lista nazionale fascista alle elezioni del 1924 e nel salotto della sua casa romana si tennero gli incontri che prepararono la nascita dell’associazione clerico-fascista Centro nazionale italiano, di cui Santucci fu membro del comitato centrale.
La sua adesione condizionata al fascismo e subordinata a una più aperta fedeltà alla Chiesa portò tuttavia alla sua rimozione dalla presidenza del Banco di Roma, che egli lasciò il 9 febbraio 1923 al clerico-nazionalista Francesco Boncompagni Ludovisi. Fin dal 1925, peraltro, manifestò agli amici la sua perplessità per la stretta totalitaria del fascismo, mentre anche la sua partecipazione al Centro nazionale si faceva più tiepida e disincantata.
Instancabile fu, invece, il suo impegno per un’intesa fra Stato e S. Sede. Già propiziatore nel 1919 dei colloqui Orlando-Ceretti, nel gennaio del 1923 mise a disposizione la sua abitazione romana per un segreto abboccamento fra Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri. Allo stesso segretario di Stato e al guardasigilli Alfredo Rocco presentò poi, nel 1925, uno studio analitico per una revisione della legge delle Guarentigie. Il progetto di Santucci venne tuttavia superato dalla prospettiva concordataria assunta dalle trattative bilaterali fra Stato e S. Sede, di cui egli fu tenuto all’oscuro, e che condussero alla ratifica dei Patti lateranensi.
La notizia della conciliazione fu così appresa da Santucci con gioia e amarezza, sembrandogli essere stato messo da parte dopo una vita di fedele servizio alla Chiesa. Nei suoi ultimi anni, venne insignito da Pio XI della nomina ad avvocato concistoriale emerito, mentre il 16 maggio 1929 entrò a far parte della Commissione parlamentare per l’esame dei Patti lateranensi. Nella sessione parlamentare di ratifica dei patti, espresse il suo plauso per la storica riconciliazione fra Chiesa e nazione resa possibile dal nuovo assetto fascista dello Stato.
Morì il 29 luglio 1932 a Roma, ormai ultraottantenne, per un incidente automobilistico.
Opere. L’Editto di Milano nei riguardi del diritto, Roma 1913; L’ora presente e il Partito Popolare Italiano. Discorso del Senatore Carlo Santucci pronunziato nella tornata del 28 dicembre 1919, Roma 1920; Consigli ai terziari francescani: conferenze tenute ai terziari novizi nell’oratorio di S. Maria in Aracoeli in Roma, Torino-Roma 1926; Manuale completo del Terz’Ordine francescano, Firenze 1933.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Carlo Santucci, costituito da quattro buste, è conservato a Roma presso l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI (ISACEM).
Fra i repertori biobibliografici si vedano O. Confessore Pellegrino, S., C., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980, a cura di G. Campanini - F. Traniello, II, Casale Monferrato 1982, pp. 576-579; I senatori d’Italia. Repertorio biografico dei senatori dell’Italia Fascista, a cura di E. Gentile - E. Campochiaro, Roma 2003, pp. 2161 s.
L’unico studio organico risulta G. De Rosa, I conservatori nazionali. Biografia di C. S., Brescia 1962. Fra le opere di carattere generale si vedano: P. Campello della Spina, Ricordi di più che cinquant’anni, dal 1840 al 1890, Roma 1910; G. De Rosa, Il Partito popolare italiano, Roma-Bari 1958, pp. 43 s., 279, 335 s., 405; A. De Stefani, Baraonda bancaria, Milano 1960; F. Margiotta Broglio, Dalle «guarentigie» alla conciliazione. Il progetto Santucci di riforma della legge 13 maggio 1871, in Nuova Antologia, XCVIII (1963), 1953-1954, pp. 1-40; G. De Rossi, Il Partito popolare italiano nella XXVI Legislatura, Napoli 1967, pp. 361-366; Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969, pp. 37, 98, 648; P. Giovannini, Cattolici nazionali e impresa giornalistica. Il trust della stampa cattolica (1907-1918), Milano 2001, pp. 29 s., 214, 243-245, 254-257; M. Baragli, Il “Centro Nazionale Italiano” e la Santa Sede: profili e progetti del clerico-fascismo in Italia (1922-1929), in Italia contemporanea, LXVII (2011), 263, pp. 239-254.