RUINI, Carlo
– Nacque a Reggio Emilia nel 1456 da Corradino e da Giovanna Cambiatori, appartenente a una famiglia di spicco i cui membri maschi da generazioni si erano dedicati alla professione giuridica. Carlo ne raccolse l’eredità intraprendendo i suoi studi di diritto. Anche dal lato paterno la tradizione familiare avrebbe collocato la progenie dei Ruini in un ambiente di uomini di cultura e di legge, ma per la vita sregolata di Corradino si erano declassati a tal punto che la moglie Giovanna era stata costretta a contribuire al ménage domestico dedicandosi alla tessitura, come una donna del popolo.
Rimasto orfano di padre nel 1478, grazie soprattutto all’aiuto dello zio Bernabò Ruini riuscì comunque a percorrere le tappe della sua formazione di giurista, iniziata a Ferrara, dove parallelamente agli studi e alla frequenza delle lezioni, per mantenersi svolgeva le funzioni di ripetitore per compagni meno dotati ma più facoltosi. Nel 1483 seguì a Pisa il maestro Bulgarino Bulgarini; a Ferrara infatti l’attività dello Studio era stata gravemente compromessa nell’anno accademico 1483-84 dalla guerra in corso fra gli Este e Venezia. Nel 1484 conseguì il titolo di dottore in utroque, cioè in diritto civile e canonico, a Pisa, dove iniziò subito anche la carriera di docente, ma già nel luglio del 1486 venne assunto dallo Studio di Ferrara. Dal 1494 al 1499 fu lettore a Pavia, poi di nuovo a Ferrara: tali frequenti spostamenti si spiegano con la sua insoddisfazione per gli onorari percepiti e con la capacità di contrattare emolumenti sempre maggiori che la sua fama crescente gli consentiva. Nel 1501, ormai giurista affermato, ottenne a Padova la ragguardevole cifra di 500 ducati d’argento annui, elevata a 800 nel 1506.
Nel 1505 gli era morta di peste la prima moglie, la ferrarese Orsina Pincari, anche lei figlia di un giurista, la quale, in seguito alla morte di un fratello, aveva costituito Carlo erede del suo patrimonio. Da Orsina, Ruini aveva avuto tre figli – Giulia, Isotta e Antonio, quest’ultimo nato poco prima della morte della madre, tra il 1504 e il 1505 e comunque non oltre il 30 gennaio 1505, data del contratto del suo baliatico.
Ruini ottenne la definitiva affermazione ricoprendo la prima cattedra di diritto civile nello Studio bolognese, dove fu chiamato dopo che erano state superate le resistenze del duca Alfonso I d’Este a privarsi dei suoi servizi presso lo Studio di Ferrara; qui era tornato nel 1509 per ricoprire la cattedra di diritto civile e per assumere delicatissimi incarichi diplomatici per conto del duca. Fu solo il 24 ottobre 1511 che gli venne assegnata la cattedra di maggior prestigio dello Studio di Bologna come lettore legista. In questo ruolo si mise in luce per la straordinaria dottrina e le sue lezioni ebbero un enorme successo fra gli scolari, mentre le autorità cittadine si valsero delle sue competenze come consiliator, cioè redattore di consilia, responsi legali su questioni controverse che nel suo caso riguardarono anche le questioni politiche più delicate del tempo. Il contratto con lo Studio bolognese venne ripetutamente rinnovato, con progressivi e rilevanti aumenti dell’onorario: il 22 dicembre 1518 il suo emolumento fu concordato a 1100 ducati d’oro annui, una somma che lo poneva nettamente al di sopra dei colleghi delle altre università italiane ed europee, insieme con Filippo Decio e Francesco Corti.
Il suo valore è testimoniato dalla folta schiera di famosi giuristi che ebbero l’occasione di frequentare le sue lezioni, fra i quali Andrea Alciato, Agostino Berò e Ugo Boncompagni, il futuro Gregorio XIII, anche se di allievi veri e propri ne ebbe solo due, entrambi reggiani, a causa del suo cattivo carattere e delle sue chiusure municipalistiche, che lo portavano a privilegiare gli scolari con i quali aveva origini comuni. Eppure l’8 marzo 1515 gli era stata conferita la cittadinanza bolognese in forma amplissima, che gli riconosceva la stessa dignità della nobiltà autoctona. Bolognese era anche la sua seconda moglie, Clemenza Perondelli – dalla quale non ebbe figli –, e nel 1525 si inserì nella cerchia delle famiglie senatorie con il matrimonio del figlio Antonio con Isabella di Ercole Felicini. Nello stesso anno fu riconosciuta ad Antonio l’idoneità a ricoprire cariche riservate alla nobiltà originaria.
La vita intensa e disordinata che aveva condotto per la maggior parte della sua età adulta minò la salute di Carlo, indebolendolo al punto che nell’anno accademico 1527-1528 fu costretto – lui sempre puntuale e scrupoloso come docente – a disertare le lezioni e nel marzo 1528 a chiedere di ritirarsi dall’insegnamento. Morì due anni dopo, il 3 aprile 1530, a Bologna.
La città lo onorò con i funerali pubblici e solenni riservati alle personalità eminenti, ma ci fu chi volle sottolineare con malanimo la spregiudicatezza e l’avidità come elementi costitutivi della sua personalità, piuttosto che i suoi altissimi meriti di studioso di diritto. Di certo lasciava una ricca eredità: 6000 ducati in contanti e beni mobili e immobili stimati 100.000 ducati, ricchezza accumulata, oltre che con i cospicui salari, con i lauti compensi che aveva ricavato dalla sua attività di consiliator. Le male lingue insinuavano anche che per denaro non si era fatto scrupolo di assistere con i suoi pareri nelle stesse cause sia gli attori sia i rei. Il livore contro di lui si spinse a interpretare un fenomeno naturale come effetto delle sue colpe: alla punizione divina per la sua cattiva coscienza fu attribuita infatti la caduta di un fulmine che, il giorno dopo la sua morte, si era abbattuto sul tetto della sua casa, distruggendo il letto sul quale aveva giaciuto durante la sua infermità.
In base alle sue ultime volontà, il suo ingente patrimonio si sarebbe dovuto trasmettere in linea maschile a un unico erede, secondo l’uso invalso fra i nobili. Né il figlio Antonio né i suoi successori avrebbero dovuto seguire le sue orme, impegnandosi negli studi, ma avrebbero dovuto adeguarsi al modello che si stava diffondendo tra l’aristocrazia – e soprattutto in quella di recente promozione –, impegnata nell’ostentazione della ricchezza e della possibilità di vivere di rendita.
Antonio, nei soli nove anni che intercorsero fra la morte del padre e la propria (venne assassinato il 31 ottobre 1539), dissipò buona parte del patrimonio ereditato. Suo figlio Carlo iuniore sposò Vittoria Pepoli, pronipote di Gregorio XIII, un matrimonio che gli avrebbe permesso di occupare per volontà dello stesso papa Boncompagni il seggio senatorio che era stato del nonno Ercole Felicini. Sembrava la realizzazione della volontà di ascesa e di radicamento a Bologna prefigurata da Carlo seniore, ma due generazioni dopo la sua discendenza si sarebbe estinta con la morte di Ottavio, il 5 giugno 1634.
Carlo seniore aveva distolto i suoi successori dal seguire la sua carriera pensando che l’affermazione del suo progetto richiedesse l’abbandono della cultura e dell’insegnamento per poter esibire un’eccellenza di status, un ‘vivere nobilmente’ che dalla seconda metà del XVI secolo aveva portato molti uomini di successo – giuristi, mercanti, professionisti – a tagliare i fili che li collegavano al passato. Anche i Ruini, lasciati alle spalle la prosaica consuetudine alla contrattazione degli emolumenti e lo sforzo di affermare il proprio valore anche attraverso la capacità di accumulare ricchezze, si dedicarono a questioni cavalleresche e si cimentarono in scontri faziosi. Che abbiano seguito le pratiche violente dell’aristocrazia bolognese che dalla seconda metà del XVI secolo fino a quasi tutto il XVII insanguinarono la città e il territorio è certo: Antonio, suo figlio Carlo e forse già lo stesso Carlo iuniore, rispettivamente loro padre e nonno, morirono di morte violenta.
Fonti e Bibl.: Alla figura di Ruini ha dedicato numerosi lavori Marco Cavina, confluiti nel volume C. R. Un’autorità del diritto comune fra Reggio Emilia e Bologna, fra XV e XVI secolo, Milano 1998. Sulla base di una vastissima ricognizione archivistica e della lettura dei testi giuridici di Ruini e dei suoi contemporanei, Cavina ha sciolto punti controversi e questioni di datazione e di ricostruzione delle tappe della sua attività, e ha tracciato un profilo intellettuale del personaggio che lo colloca fra i massimi esponenti della storia del diritto.