ROSA, Carlo
– Nacque a Bitonto il 7 luglio 1613, secondogenito di Massenzio, oriundo aquilano e cittadino di Bitonto, e di Giustina de Angelis, preceduto dal fratello Onofrio. Battezzato con il nome di Carlo Antonio, ricevé il sacramento nella chiesa di S. Felice a Giovinazzo. Gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima formazione artistica del pittore restano ancora oscuri a causa della totale assenza di riferimenti documentari.
Nel 1643 Rosa sposò Caterina Falco, originaria di Campi Salentina, dalla quale ebbe quattro figli: Fabrizio, Felice Giustina (1648), Orsola Agnese (1651) e Gaetano Filippo (1654). Dalla seconda metà degli anni Quaranta dimorò stabilmente a Bitonto, nella sua casa in via Robustina, come si evince dagli atti di battesimo dei figli, dalla visita di Alessandro Crescenzi vescovo di Bitonto alla chiesa di S. Chirico e dai numerosi atti notarili con i quali acquisì abitazioni e terreni e trattò censi.
Non disponiamo di dati certi relativi al tirocinio e agli esordi del pittore. Le prime notizie documentate del 1641, relative al pagamento del Cristo che fa i miracoli in S. Maria della Sapienza a Napoli, ci restituiscono un artista ventottenne ormai maturo e autonomo. Tuttavia, attraverso l’analisi della sua produzione possiamo ipotizzare non solo che la sua formazione avvenisse a Napoli, ma che il rapporto con la città fosse poi caratterizzato da frequenti e successivi soggiorni. Le sue prime opere note nella capitale del Regno, il Cristo che fa i miracoli già citato, il S. Gregorio Taumaturgo ai Ss. Apostoli e Il Beato Bernardo Tolomei che riceve la regola in S. Anna dei Lombardi, sembrerebbero confermare, infatti, la scelta di Bernardo De Dominici di annoverare Rosa tra gli allievi di Massimo Stanzione (cfr. il Transito di s. Giuseppe in S. Diego all’Ospedaletto, S. Gregorio Taumaturgo in S. Paolo Maggiore, S. Bruno consegna ai suoi compagni la regola dell’ordine nella Certosa di S. Martino, tutti a Napoli). Tuttavia in queste date avanzate le influenze stanzionesche potrebbero ritenersi mediate dalla semplice conoscenza delle opere del maestro o di quelle di altri artisti appartenenti alla sua cerchia.
Ai costanti rapporti con Napoli si alternarono periodi più o meno lunghi trascorsi da Rosa in Puglia, confermati dal pagamento per il trasporto da Bitonto del S. Carlo Borromeo orante per la cessazione della peste nella chiesa napoletana dei Ss. Apostoli, dall’origine pugliese di Diego Moles committente del S. Ivo dei Bretoni per la medesima chiesa, dalla data certa del matrimonio con Caterina Falco (1643), dalle date di concepimento dei figli (ante 1648-1654) e dalla stesura di alcuni atti di donazione, vendita e acquisto (1648-71). Negli anni Quaranta del Seicento Rosa aveva già raggiunto la notorietà, decretata da una carriera extraregionale (oltre ai dipinti sin qui menzionati, sempre a Napoli eseguì la Crocefissione nella Sapienza e i Ss. Giuseppe, Gioacchino e Anna che ammirano il quadro della Purità ai Ss. Apostoli) e dal significativo incremento delle commissioni in Puglia tra il 1642 ed il 1646 (la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Evangelista e Bartolomeo e la Trinità e santi entrambe nel Museo Aurelio Marena a Bitonto, e la Battaglia di Clavijo nella Cattedrale di Monopoli). Soprattutto le opere pugliesi qualificano una fase del percorso artistico di Rosa di più chiara e matura adesione allo stile di Paolo Finoglio, assimilato e rielaborato autonomamente, proprio in concomitanza con la scomparsa del maestro più anziano. In tale direzione andrebbero letti anche i tre successivi dipinti con S. Gaetano da Thiene a Matera, Giovinazzo e Aversa. Non altrettanto chiara è invece la genesi del rapporto diretto con Finoglio: forse l’incontro tra i due artisti avvenne in Puglia nei cantieri conversanesi del castello, dei Ss. Medici e di S. Benedetto. Problematico è isolare il contributo di Rosa negli affreschi della camera degli sposi nel castello accettandone la datazione al 1622, mentre più agevole è il tentativo di individuarne la mano in tre scene – Flagellazione, Decapitazione, Liberazione dei santi – affrescate nei Ss. Cosma e Damiano, e preludio ad alcune opere certe (il Cristo flagellato nel Crocifisso di Bitonto, Ruth nel campo di Booz e Rebecca ed Eliezer in S. Maria del Suffragio a Modugno, Trinità e santi a Bitonto e Battaglia di Clavijo a Monopoli). In S. Benedetto il pittore eseguì, oltre all’autografo Battesimo di Cristo con le sei piccole tele agiografiche del Battista, gli affreschi con le quattro Virtù cardinali nei pennacchi della cupola centrale.
La produzione campana e pugliese sin qui segnalata mostra anche l’aggiornamento di Rosa sugli esiti della pittura napoletana precedente e successiva alla svolta pittoricistica, nei riferimenti a Jusepe de Ribera, Francesco e Cesare Fracanzano, Domenico Fiasella, Pieter Paul Rubens, Antoon Van Dyck (Crocefissione con i ss. Giovanni Battista e Girolamo in S. Bernardino a Molfetta) e negli echi da Mattia Preti, Pietro Novelli, Domenico Gargiulo e Viviano Codazzi (come nella Strage degli innocenti, nel Ratto delle Sabine, nella Maddalena morente in collezione Sylos-Labini a Bitonto, e in David che danza davanti all’Arca e nella Visione di Baldassarre, Salerno, Pinacoteca Provinciale). Alcuni recuperi da Guido Reni, Nicolas Poussin, Battistello Caracciolo, Van Dyck presenti nel Sansone e i Filistei dei Musei Civici di Pesaro e nell’Adorazione dei pastori della chiesa di S. Andrea a Barletta andrebbero letti in sintonia con le correnti classiciste rinvigorite a Napoli dalla presenza degli emiliani e in relazione al presunto soggiorno romano di Rosa avanzato da De Dominici. In tale clima s’inseriscono alcuni dipinti di collezione privata, ovvero il Mosè salvato dalle acque (Napoli, Museo Capodimonte, depositi) e la Fusione del vitello d’oro (Napoli, collezione Ruggi d’Aragona), nei quali gli esiti da Stanzione, Cesare Fracanzano, Francesco Guarini, Pacecco De Rosa, Agostino Beltrano e Gargiulo si mescolano a Reni e a precise citazioni dal Corteo di Bacco e dal Trionfo di Galatea dei Carracci in palazzo Farnese a Roma. In questo programmatico recupero del classicismo di marca bolognese-romana si colloca il Sansone che fa crollare il tempio (Lecce, collezione privata), confermando i rapporti stilistici anche con la produzione di Pacecco, già introdotti nel Beato Bernardo Tolomei riceve la regola in S. Anna dei Lombardi a Napoli, nella Visione di Baldassarre della Pinacoteca di Salerno e soprattutto nel Salomone incensa gli idoli sul mercato antiquario (Finarte casa d’aste. Arte e dipinti, asta 858, maggio 1993, p. 138, fig. 146). Con tali dipinti siamo alla soglia degli anni Cinquanta del Seicento, quando, accanto ad alcuni riferimenti documentari per opere perdute nella cattedrale bitontina (affreschi del coro, tela dell’Assunta con i ss. Gennaro e Valentino), interviene un dato certo nell’autografo S. Gaetano della cattedrale di Matera datato 1652, replicato con varianti e qualche debolezza di disegno nel dipinto nel Carmine di Giovinazzo, e di cui affine e probabilmente coevo è il S. Gaetano in S. Biagio ad Aversa.
Nel biennio 1654-55 Rosa eseguì per Alessandro Pietrobelli di Bergamo, sposato a Bitonto, due dipinti, cioè l’Assunzione della Vergine e l’Eterno Padre, per la chiesa di S. Pietro a Bari, opere disperse in seguito alla distruzione dell’edificio. La qualità ancora sostenuta della Madonna col Bambino e i ss. Francesco d’Assisi e Chiara nella chiesa delle clarisse ad Acquaviva delle Fonti, collocata al 1656 sulla scorta dell’Assunta di quell’anno nella matrice di Grumo Appula, venne progressivamente meno nelle coeve Assunta con i ss. Pietro e Paolo e il committente nella cattedrale di Bitetto e Bitonto sovrastata dalle gerarchie celesti nel Museo diocesano Aurelio Marena, e nelle due versioni di un S. Oronzo ad Acquaviva delle Fonti e a Campi Salentina, la seconda delle quali datata 1657. Dalla fine degli anni Cinquanta, infatti, il pittore trasferì probabilmente parte della produzione alla bottega, per soddisfare le accresciute richieste della committenza. Reiterazione di modelli e di composizioni e incertezze nel disegno si comprendono dunque attraverso il più frequente ricorso agli allievi. Ne sono un esempio le numerose tele nella chiesa di S. Maria del Suffragio a Modugno, in cui esiti più alti di sicura mano del Rosa (Predica di s. Francesco Saverio), e in una fase di avvicinamento allo stile di Pacecco (Rebecca ed Eliezer, Ruth nel campo di Booz, Lazzaro e il ricco epulone), convivono con dipinti di collaborazione e di bottega raffiguranti episodi biblici, allegorie e storie di santi, le cui soluzioni preannunciano i raggiungimenti formali del soffitto in S. Nicola a Bari.
Sono queste le date in cui si delineò in maniera più precisa l’attività di artista-imprenditore del Rosa, chiamato a realizzare grandi imprese decorative coadiuvato da diverse maestranze e professionalità organizzate. Nell’ambito di tali prestigiose commissioni il pittore realizzò forse dapprima i dipinti nel soffitto e lungo le pareti della chiesa di S. Gaetano a Bitonto. Lo suggerirebbero la diffusa presenza in essi di riferimenti alla produzione di Aniello Falcone e Giovanni Lanfranco e il recupero di alcune soluzioni adottate dal Rosa negli anni Quaranta a Napoli nei Ss. Apostoli e alla Sapienza. Quando, a distanza di anni, il pittore eseguì, sempre in città, la decorazione nella chiesa del Crocifisso (gli affreschi nel tamburo, gli angeli nei pennacchi della cupola, le lunette con scene della Passione), ne ripropose la gamma cromatica fresca giocata su una tavolozza più chiara, ma anche la concezione squisitamente barocca delle figure entro spazi aperti, memori delle soluzioni napoletane adottate da Battistello Caracciolo nella Certosa di S. Martino. Tale timbro più arioso è riscontrabile anche nelle scene mariane e angeli dipinti dal Rosa per il soffitto del coro nel duomo di Lecce, presumibilmente negli anni Settanta. La decorazione, siglata con le iniziali del pittore nella tela centrale dell’Assunta, si caratterizza per la scelta di composizioni dinamiche, conseguenza di un bagaglio di conoscenze romane, e per l’utilizzo del colore sfrangiato di probabile ascendenza giordanesca. Sempre nel duomo leccese Rosa eseguì L’ultima Cena nel soffitto del transetto. Probabilmente entro la prima metà degli anni Sessanta dipinse il soffitto e le grandi tele alle pareti della chiesa del Carmine a Bitonto. Il precario stato di conservazione delle opere non ne consente un’analisi puntuale; meritano tuttavia attenzione S. Ambrogio, S. Luigi di Francia, Morte di una santa carmelitana, Morte di un santo carmelitano. Nelle tele per la basilica di S. Nicola a Bari, eseguite tra il 1661-62 e il 1673 in parte su commissione del viceré di Napoli Gaspar de Bracamonte y Guzmán, si segnala l’uso di un inedito registro stilistico, dominato da prospettive ardite e fisionomie caricate e grottesche, che caratterizza questo prestigioso cantiere per un intero decennio senza significativi mutamenti formali.
Il compimento dell’impresa barese coincise in parte con la conclusione dell’attività del pittore. Dal 1673 le assegnazioni e donazioni inter vivos di Rosa a favore dei figli Fabrizio e Gaetano Filippo e l’affidamento quasi esclusivo delle ultime commissioni alla bottega (decorazione dell’abside nella cattedrale di Giovinazzo, Assunta a Gravina, perdute tele nella chiesa del Crocifisso a Bitonto) porterebbero a ipotizzare una sua precaria condizione di salute.
Il 6 agosto 1678 Rosa dettò il testamento al notaio Francesco Antonio Siccoda e il 12 settembre morì a Bitonto. Fu qui sepolto, secondo le sue ultime volontà, nella chiesa del Crocifisso, nella cappella di S. Filippo Neri eretta e decorata a sue spese.
Non si hanno notizie delle opere del Rosa un tempo presenti in diverse collezioni private e note attraverso documenti o testimonianze dirette. Una perdita significativa si deve ritenere quella della collezione del Duca d’Ascoli, per la presenza di opere del pittore ritenute sul finire del Settecento di qualità superiore ai dipinti licenziati nelle chiese napoletane. Dei dipinti posseduti da Teodoro Sylos, da Pietro Antonio Gallo, da Francesco Barone, da Giuseppe Planelli e dal vescovo Carlo de Ferrariis, per i quali non è stato possibile seguire le sorti dei lasciti testamentari, restano soltanto gli elenchi, che riportano soggetti prevalentemente biblici. All’attività di pittore e decoratore di vasti cicli Rosa affiancò quella di architetto. Gli sono stati attribuiti i disegni per le chiese del Crocifisso a Bitonto e della Madonna delle Grazie a Ruvo e anche del fastoso altare barocco in quest’ultima.
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