Carlo Roberto (Caroberto) d'Angiò, re di Ungheria
Nato a Napoli nel 1288 da Carlo Martello e da Clemenza, figlia di Rodolfo d'Asburgo, morì nel 1342. Alla morte dei genitori (agosto 1295) ereditava la corona di Ungheria e il diritto alla successione nel regno di Sicilia.
Nel 1301, alla morte di Andrea III (v.), fu incoronato re a Esztzegom, ma la sua autorità, dopo molte lotte, fu riconosciuta solo nel 1308. Dotato di profondo intuito politico, di tatto diplomatico e di indubbie qualità di realizzatore, riuscì, con intelligenti riforme in campo politico e giudiziario, a trasformare un paese in preda all'anarchia in una grande potenza. Con questa intensa e provvida attività di governo, spiegata per altro da C. costantemente in aderenza alla realtà politica e nel rispetto delle tradizioni nazionali, non solo diede al suo regno una salda struttura statale, ma pose altresì le premesse per uno dei periodi più splendidi della storia ungherese che fu l'epoca del secondo angioino, suo figlio, Luigi il Grande.
Il nome di C. non è mai fatto da D., ma almeno tre luoghi del Paradiso direttamente o indirettamente lo riguardano. Due allusioni abbastanza evidenti, anche se incidentali, si trovano nell'incontro di D. con Carlo Martello. Il poeta non solo giudica severamente per bocca del principe amico la politica di Roberto d'Angiò, ma condanna la sua successione al trono del regno di Sicilia come una frode, compiuta ai danni di C.: Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, / m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni che ricever dovea la sua semenza (Pd IX 1-3). Ma già all'inizio del colloquio, Carlo Martello, elencando i suoi titoli nella presentazione che di sé fa a D., allude al diritto del figlio alla successione al trono di Sicilia: E la bella Trinacria... / attesi avrebbe li suoi regi ancora, / nati per me di Carlo e di Ridolfo [e precisamente C. e la sua discendenza] / se mala segnoria, che sempre accora / li popoli suggelli, non avesse mosso Palermo a gridar: " Mora, mora! " (VIII 67-75). In codesti versi sarà forse da vedere, insieme con la condanna del malgoverno di Carlo I, anche un'allusione al motivo - certo non condiviso - dell'esclusione di C. dalla successione al regno di Sicilia. Cioè Carlo Martello vuol dire che, se non fosse stata in atto la lunga guerra del Vespro, alla sua morte non si sarebbe messo in discussione il diritto del figlio, perché ancora fanciullo, in favore del più anziano Roberto. Un terzo luogo in cui si allude indirettamente a C. è in Pd XIX 142-143, nelle parole che l'aguglia del cielo di Giove pronuncia alla fine dell'invettiva contro i malvagi reggitori cristiani d'Europa: O beata Ungheria, se non si lascia / più malmenare! Alcuni commentatori, per es. il Sapegno, collegando codesto riferimento all'Ungheria con quello immediatamente seguente al regno di Navarra (e beata Navarra, / se s'armasse del monte che la fascia!, vv. 143-144), hanno ritenuto che D., nelle parole dell'aquila, avesse voluto. condannare il regno di C., perché discendente dalla stirpe reale di Francia. Ma se si considera che dalla morte di Bela IV (1270) l'Ungheria aveva veramente attraversato un tragico periodo di malgoverno, di corruzione e di anarchia in ogni campo della vita civile e morale, ‛ malmenata ' dal barbaro re Ladislao IV il Cumano e dagli oligarchi delle provincie, nonché dalle contese dei vari prétendenti al trono (Andrea III il Veneziano, Carlo Martello, C., Venceslao-Ladislao, Ottone di Baviera) e che solo C., una volta incoronato re (1310), riuscì a risollevare la situazione, è da pensare che l'espressione dantesca sia piuttosto un augurio diventato certezza quando il poeta scriveva, e per questo espresso con il verbo all'indicativo: se non si lascia / più malmenare. Alla quale certezza si contrappone invece, con il verbo al congiuntivo, l'irrealtà della protasi dell'augurio al regno di Navarra: se s'armasse del monte che la fascia. Non va poi dimenticato che D. aveva riconosciuto per bocca di Carlo Martello la legittimità della successione angioina al regno di Ungheria (Pd VIII 64-66).
Bibl. - L. Óváry, Negoziati tra il re d'Ungheria e il re di Francia per la successione di Giovanna I d'Angiò, in " Arch. Stor. Prov. Napoletane " II (1877) 103-157; C. Minieri Riccio, La genealogia di Carlo II d'Angiò, ibid. VII (1882) 33-39; M. Schipa, Carlo Martello, ibid. XIV (1889) 17-33, 204-264, 432-458; XV (1890) 5-19; ID., Un principe napoletano amico di D., Carlo Martello, Napoli 1926; E. G. Léonard, Histoire de Jeanne I reine de Naples comtesse de Provence (1343-1382), I, Monaco-Parigi 1932, 111-124; S. Pellegrini, Il " Pianto " anonimo per Roberto d'Angiò, Torino 1934, 78-83; G. M. Monti, Da Carlo I a Roberto d'Angiò, Trani 1936, 133-144, già pubblicato a puntate in " Arch. Stor. Prov. Napoletane " LVI-LX (1931-1935); B. Hòman, Gli Angioini di Napoli in Ungheria 1290-1403 (trad. ital.), Roma 1938, 80-283; E. G. Léonard, Les Angevins de Naples, Parigi 1954, 196-199, 298-314.