ROBERTI VITTORI (Roberti de' Vittorii, Roberti de' Vittorj, Ruberti Vittori, Ruperti Vittori), Carlo
ROBERTI VITTORI (Roberti de’ Vittorii, Roberti de’ Vittorj, Ruberti Vittori, Ruperti Vittori), Carlo. – Nacque a Roma nel 1605.
Si laureò nel 1632 al Collegio romano, dove fu allievo di Alessandro Gottifredi.
Durante il pontificato di Urbano VIII fu designato governatore di Todi (1639-40), poi di Terni (1641). Tra il 1642 e il 1643 fu in Romagna al seguito del cardinale Antonio Barberini, in qualità di vicelegato. Nel novembre dell’anno successivo tornò a ricoprire la carica di governatore, a Camerino, fino al gennaio del 1645.
Negli anni del papato di Alessandro VII, oltre alla nomina a commissario di sanità per prevenire il contagio della peste nello Stato pontificio (Biblioteca apostolica Vaticana, Borghesiano latino, 119, cc. 57r-61r), intraprese la carriera ecclesiastica prendendo gli ordini minori tra il 1657 e il 1658 e ottenendo la nomina a referendario di ambo le segnature. Nello stesso periodo si addottorò in utroque iure a Pisa e già il 2 dicembre 1658 venne nominato arcivescovo di Tarso. Il 25 dello stesso mese fu destinato nunzio in Savoia, dove si insediò il 17 febbraio 1659, mantenendo l’incarico fino ai primi giorni di maggio del 1664 (Casa Savoia e Curia romana dal Cinquecento al Risorgimento, a cura di J.-F. Chauvard - A. Merlotti - M. A. Visceglia, Roma 2015). Contestualmente fu nominato dal pontefice soprintendente generale del principato di Masserano (10 gennaio 1659).
All’atto del suo insediamento ricevette dal tesoriere della nunziatura le istruzioni che elencavano gli interessi economici legati alla collettoria torinese. Le questioni economiche si rivelarono effettivamente di primo piano durante il suo mandato, tanto che sin dal primo mese si occupò della liberazione dell’enclave pontificia di Tigliole dalla soldatesca francese che l’aveva occupata. Obiettivo che il nunzio riuscì a soddisfare nel giugno dello stesso 1659 (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Savoia, 230, c. 117). Parallelamente dovette confrontarsi con il problema della diffusione protestante in un’area tradizionalmente esposta al contagio ereticale: il mandato di Roberti Vittori iniziò, infatti, pochi anni dopo le tensioni seguite alla recrudescenza antivaldese, culminata nelle cosiddette Pasque piemontesi del 1655 (Archivio della congregazione per la Dottrina della fede, Stanza Storica, M 4 a: carteggio tra il nunzio e il S. Uffizio in Roma).
La costanza con la quale trasmise alla Segreteria di Stato pontificia le notizie provenienti dalla Francia fu una risorsa preziosa negli ultimi anni della sua nunziatura in Savoia, giacché le relazioni diplomatiche tra Roma e Parigi si interruppero nel 1662, a seguito dell’incidente della guardia corsa. La pratica nelle relazioni franco-pontificie rese la nunziatura torinese di Roberti Vittori anticamera di quella, ben più ambita, di Parigi. In quello stesso periodo Roberti Vittori intrattenne un intenso scambio epistolare con il cardinale Sforza Pallavicino a proposito di aristotelismo, teologia e ‘nuova scienza’ che sembrerebbe alludere a una vicinanza di Roberti Vittori alle idee di Galileo Galilei (Favino, 2000, pp. 308-310).
Nel 1664 l’arcivescovo di Tarso fu inviato in Francia, in qualità di nunzio straordinario, mentre sul finire di luglio il cardinal nipote Flavio Chigi fu incaricato di raggiungere Luigi XIV al fine di porgere scuse formali per l’incidente della guardia corsa così come stabilito dal Trattato di Pisa del 12 febbraio 1664. L’occasione dell’ambasceria straordinaria di Roberti Vittori fu la consegna delle fasce benedette al Delfino di Francia, Luigi, nonostante quest’ultimo, venuto alla luce ormai tre anni prima, come ebbe a dire lo stesso Roberti Vittori al re, «haverebbe forse hora più desiderato una spada» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, 129 A, c. 19r). Pratica tradizionale quella della consegna delle fasce benedette che, in una situazione di tensione tra le due corti, appariva come ulteriore gesto di distensione e che, tuttavia, non si rivelò sufficiente a consentire alla nunziatura straordinaria di essere tramutata in ordinaria, finché Luigi XIV, sul finire di dicembre, non ottenne il diritto di nomina sui vescovati di Metz, Toul e Verdun (ibid., c. 47r).
Prima ancora che la nunziatura divenisse ordinaria, tuttavia, gran parte degli sforzi di Roberti Vittori fu assorbita dal tentativo di porre fine alla querelle tra i teologi romani e quelli della Sorbona sulla dottrina giansenista, problema del quale si erano dovuti occupare ampiamente già i suoi predecessori Celio Piccolomini e Niccolò Guidi di Bagno senza riuscire a risolverlo.
Nel febbraio del 1665 – periodo in cui Roberti Vittori si prodigò anche per agevolare il grand tour di Gian Lorenzo Bernini in Francia (Bellini, 2009) – la polemica aperta dall’Augustinus venne oltretutto rinfocolata dal gesuita spagnolo Mateo de Moya che, attraverso un opuscolo pubblicato sotto lo pseudonimo di Amadaeus Guimenius (Adversus quorundam expostulationes..., s.n.t.), aveva riacceso il dibattito sull’infallibilità del papa. Avendo scavalcato la condanna di Alessandro VII, quella dei teologi della Sorbona fu a sua volta colpita dalla bolla Cum ad Aures del 25 giugno 1665. Questa fece da premessa a un’ulteriore condanna di iniziativa pontificia sull’opera di Moya, che giunse il 10 aprile 1666.
Nel frattempo l’attenzione del nunzio si era spostata su una questione parallela, divenuta centrale sin dal decennio precedente, durante il pontificato di Innocenzo X, e che avrebbe trovato esito solo in quello successivo, sotto Clemente IX, con la cosiddetta Pace clementina del febbraio 1669. Era il caso dei quattro vescovi di Alet, Angers, Beauvais e Pamiers, che disattendevano la pubblicazione delle bolle e del formulario papale.
Nonostante gli sforzi, neppure Roberti Vittori riuscì a conciliare le posizioni romane con quella della Chiesa gallicana disubbidiente e quella del re. Ad allungare irrimediabilmente i tempi, oltre alla rigidità delle posizioni contrapposte, furono le pretese del rispetto di procedure che richiedevano l’istituzione di commissioni teologiche ad hoc, i tempi nella circolazione delle informazioni e l’inevitabile insorgere di eventi imprevisti; come quando, il 22 gennaio 1666, Roberti Vittori dovette mettere da parte le dispute teologiche per informare la Curia del grave lutto che aveva appena colpito la corona francese con la morte della regina madre, Anna d’Austria. La disputa trovò parziale esito solo agli inizi di maggio del 1667, quando giunsero al nunzio due brevi con i quali il papa designava una commissione di nove vescovi e arcivescovi, cui venne conferito il potere di imporre la sottoscrizione e, in caso contrario, di infliggere la sospensione del mandato episcopale e l’interdizione dalle loro chiese.
Contemporaneamente, nei primi mesi del 1667, Roberti Vittori entrò indirettamente in conflitto con il ministro Jean-Baptiste Colbert.
Il nunzio era stato informato che il re, su iniziativa del ministro, stava preparando due editti: con il primo avrebbe impedito ai giovani sotto i venticinque anni e alle giovani sotto i venti di prendere i voti; con il secondo avrebbe iniziato a far pressioni sull’arcivescovo di Parigi affinché fosse soppressa una serie di festività religiose che, obbligando al riposo, gravavano sulla bilancia commerciale del Regno. Tali iniziative furono infine abbandonate per la ferma opposizione del nunzio, del clero, ma soprattutto di una parte del Parlamento di Parigi.
Alla metà del marzo 1667 Roberti Vittori ricevette la notizia di essere stato elevato alla porpora con il titolo di cardinale di S. Maria in Aracoeli, sebbene il pontefice avesse invero già nominato Roberti Vittori cardinale in pectore sin dal concistoro segreto del 15 febbraio 1666 (Biblioteca apostolica Vaticana, Vaticano latino, 8328, cc. 218-221). Si trattava degli ultimi provvedimenti del pontificato chigiano, giacché una settimana più tardi giunse al nunzio la notizia delle gravi condizioni di salute del papa, che lo obbligarono a un immediato rientro a Roma.
Morto Alessandro VII il 22 maggio 1667, Roberti Vittori prese parte al conclave che nel giugno elesse Clemente IX. Al pari del suo predecessore a Parigi, il nunzio Piccolomini, a seguito dell’esperienza francese Roberti Vittori fu destinato dal neoeletto papa legato pontificio in Romagna, il 22 agosto 1667. L’incarico prese avvio effettivo il 19 dicembre e durò sino alla fine di ottobre del 1669. Tra il dicembre 1669 e l’aprile 1670 Roberti Vittori prese parte al conclave che elesse papa Clemente X. Trascorse gli ultimi anni in Curia, dove fu consulente di diverse congregazioni.
Morì a Roma il 14 febbraio 1673 e fu sepolto nella chiesa di S. Andrea della Valle.
Esauritosi il suo ramo familiare, il cardinale dispose che l’eredità fosse destinata a Diego Roberti, del ramo di Sora, padre della religiosa Maria Florida Roberti.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Savoia, 81-87; Archivio della congregazione per la Dottrina della fede, Stanza Storica, M 4 a; Archivio di Stato di Roma, Miscellanea famiglie, f. 348/16; Biblioteca apostolica Vaticana, Borghesiano latino, 119, cc. 57r-61r; Capponi, 165, pt. 1, cc. 12v-18r; Vaticano latino, 8328, cc. 218r-221v.
A. Gottifredi, Effata peripati Christiani defensa a Carolo Roberto…, Roma 1632; G. Fabri, Effemeride sagra e istorica di Ravenna antica, Ravenna 1675, pp. 359-360; A. Ciaconius - A. Oldoinus, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum, IV, Roma 1677, coll. 762 s.; G. Galli Pavarelli, Lettere dettate dal Card. Sforza Pallavicino […], Venezia 1678, pp. 107-125, 482-499; M. Battaglini, Annali del sacerdozio e dell’imperio, III, Venezia 1709, p. 576; A. Tuzii, Memorie istoriche, massimamente sacre della città di Sora, Roma 1727, p. 243; L. Cardella, Memorie storiche de’ Cardinali della Santa Romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 177 s.; P. Sforza Pallavicino, Della vita di Alessandro VII libri cinque, Prato 1839, p. 94; P. Fréart de Chantelou, Journal du voyage du cavalier Bernin en France, Paris 1885, passim; C. Gerin, Louis XIV et le Saint-Siège, I-II, Parigi 1894, passim; Sussidi per la consultazione dell’Archivio Vaticano, Referendari Utriusque Signaturae, II, a cura di B. Katterbach, Città del Vaticano 1931, pp. 299, 315; P. Gauchat, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, IV, Monasterii 1935, pp. 35, 45, 328; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del medio evo, XIV, Roma 1943, pp. 393-395; B. Neveu, Juge suprême et docteur infallibile, le pontificat romain de la bulle “In eminenti” à la bulle “Auctorem fidei”, in Id., Érudition et religion aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris 1994, pp. 385-450; C. Weber, Legati e governatori dello Stato della Chiesa, Roma 1994, p. 890; T. Montanari, Gian Lorenzo Bernini e Sforza Pallavicino, in Prospettiva, 1997, n. 87-88, pp. 42-68; F. Favino, Sforza Pallavicino editore e «galileista ad un modo», in Giornale critico della filosofia italiana, 2000, vol. 20, n. 2-3, pp. 281-315; P. Blet, Les nonces du Pape à la Cour de Louis XIV, Paris 2002, pp. 30-56; La Legazione di Romagna e i suoi archivi secc. XVI-XVIII, a cura di A. Turchini, Cesena 2006, ad ind.; B. Barbiche, Bulla, legatus, nuntius, Paris 2007, pp. 339 s.; E. Bellini, Stili di pensiero nel Seicento italiano, Pisa 2009, pp. 189 s.; P.P. Piergentili, «Christi Nomine Invocato», La Cancelleria della Nunziatura di Savoia e il suo archivio, Città del Vaticano 2014, p. 176.