RAVASIO, Carlo
RAVASIO, Carlo. – Nacque a Milano il 19 luglio 1897, figlio di Antonio, industriale, e di Giuseppina Borghi.
Allo scoppio della prima guerra mondiale partecipò alla mobilitazione interventista. Entrò in guerra come ufficiale di fanteria e venne ferito. Subito dopo la guerra, nel 1919, si laureò in lettere all’Università di Milano con una tesi su Giovanni Pascoli, avvalendosi delle facilitazioni offerte ai combattenti. In quegli anni si avvicinò allo squadrismo, iscrivendosi al Fascio di combattimento nel maggio del 1921 e partecipando alla marcia su Roma (28 ottobre 1922). Assunse presto incarichi di responsabilità nel fascismo milanese divenendo vicesegretario federale, una carica che mantenne fino al 1923, quando entrò in polemica con Carlo Gnocchi, suo rivale per la candidatura alle elezioni per il Consiglio provinciale. Contestualmente si dedicò al giornalismo nella stampa di partito. Dopo una breve esperienza di collaborazione con il settimanale La Patria, organo del Partito nazionale fascista (PNF) per l’Alto Milanese, pubblicato nel primo semestre del 1922 e poi sostituito dal Popolo di Lombardia, Ravasio divenne direttore del Nuovo Araldo, un settimanale del fascismo gallaratese fondato pochi giorni prima della marcia su Roma: Ravasio ne fu direttore dall’ottobre 1922 fino al febbraio 1923, quando fu espulso dal PNF a causa di un articolo contro Carlo Gnocchi, che lo sostituì. Il settimanale fu pubblicato fino al settembre del 1923.
Dopo l’espulsione per indisciplina, Ravasio fu riammesso nel PNF nel 1924. Svolse inoltre diversi ruoli a livello amministrativo nel fascismo milanese e lombardo, come membro del direttorio federale del PNF di Milano dal 1924 al 1934, come capo ufficio stampa della Federazione locale e partecipando alle attività dell’Istituto di cultura fascista di Milano, oltre che come consultore del Comune. Dal 1924 al 1933 assunse la direzione del Popolo di Lombardia (luglio 1922 - ottobre 1941), settimanale della Federazione provinciale milanese del PNF.
Contribuì a dare al periodico una fisionomia più definita, con una prima pagina politica dominata dal fondo del direttore, una seconda parte dedicata al fascismo milanese e una terza pagina letteraria seguita da notizie dalla provincia. In una fase di grandi conflitti politici nella Federazione milanese, che culminarono nell’isolamento e nelle dimissioni del segretario del fascismo Mario Giampaoli, Ravasio dimostrò di sapersi adattare al cambio di segreteria del Partito e accettare il nuovo corso.
Negli anni Venti scrisse anche su Il 1919, una rassegna mensile fondata da Mario Giampaoli, e sul Bollettino della federazione provinciale dei combattenti di Varese, pubblicato tra il 1927 e il 1929. Negli anni Trenta fu redattore del Popolo d’Italia, dove dal 1933 curò la terza pagina; successivamente fu capo redattore di Gerarchia dal 1934, anche se a detta di molti il suo ruolo fu di fatto quello di direttore della rivista, un periodico di grande rilevanza nel contesto politico e intellettuale del regime.
In quegli anni collaborò anche ad altre testate, quali L’Almanacco enciclopedico del popolo d’Italia (che dal 1932 divenne Almanacco fascista del popolo d’Italia); Famiglia fascista, «una rassegna per la famiglia italiana che si ispiri con serietà a criteri morali e pratici» (Esordio, aprile 1934), a sostegno dei progetti demografici e coloniali del regime, pubblicata dal 1934 al 1943; la Guida all’autarchia, rivolta soprattutto a industriali impegnati nelle produzioni autarchiche.
A questi ruoli importanti nel giornalismo lombardo e nazionale Ravasio affiancò diverse cariche che resero ancor più esplicita la sua collocazione come intellettuale organico al regime: fu presidente dell’Università popolare di Milano, consigliere della SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) e dal 1934 al 1942 segretario dei giornalisti lombardi e consigliere del Direttorio nazionale dei giornalisti fascisti.
La consapevolezza del ruolo del giornalismo in rapporto alla propaganda era esplicita in Ravasio, che ne parlò diffusamente in diversi scritti della fine degli anni Trenta e dell’inizio degli anni Quaranta. A un convegno dell’Unione internazionale dei giornalisti tenutosi a Venezia nel 1942 affermò: «[…] la stampa è fascista e deve sentirsi fiera di militare compatta sotto le insegne del Littorio. […] Ne consegue che, soprattutto e potrebbe dirsi esclusivamente in Italia, […] il giornalismo, più che professione o mestiere, diventa missione di un’importanza grande e delicata…» (La missione rivoluzionaria del giornalismo, 1942).
Per Ravasio quelli non furono, però, solo anni di incarichi professionali e politico-culturali, ma anche momenti importanti per lo sviluppo della sua attività poetica, svolta per lo più all’ombra del Fascio, malgrado non mancasse un impegno più intimista, che si rafforzò negli anni successivi al regime. Notevole fu soprattutto il ruolo di propagandista, attraverso la scrittura di inni e opere per celebrare le imprese più rilevanti del regime. Si va dalla raccolta di poesie intitolata Sangue di Roma. Poesie di guerra e di pace (1918-1925) e dedicata nel 1925 a Mussolini, definito «il nuovo Cesare di Roma» nella poesia XXVIII ottobre, all’inno Marcia su Roma pubblicato dal Nuovo Araldo nei giorni della marcia e ripubblicato nel 1926. Proseguì poi con l’inno Vittoria del grano pubblicato nel 1930 e con il libretto lirico Campane di guerra (1933).
Nel corso degli anni il ruolo di Ravasio in ambito nazionale si fece progressivamente più rilevante. Aveva scalato le vette del giornalismo italiano divenendo di fatto direttore della rivista più importante del regime, Gerarchia. Nel 1938-39 curò l’undicesimo e il dodicesimo volume degli scritti di Benito Mussolini (XI, Scritti e discorsi dal novembre 1936 al maggio 1938, XV-XVI E.F., Milano 1938; XII, Scritti e discorsi dal giugno 1936 al 18 novembre 1939, XVI-XVIII E.F., Milano 1939).
Dalla documentazione emersa dopo la caduta del fascismo e pubblicata da Gianfranco Bianchi nel 1970, risulta che Ravasio fu tra coloro che tentarono di dissuadere Mussolini dall’intervento in guerra.
Dalla fine di dicembre del 1941 fu infine nominato da Mussolini vicesegretario del PNF, per affiancarlo al giovane e inesperto neosegretario Aldo Vidussoni. Contestualmente a questa nomina, Ravasio entrò a far parte del Consiglio nazionale del fascismo e della Camera dei fasci e delle corporazioni. Nel dopoguerra riferì addirittura che Mussolini gli avesse chiesto di «fare il sovraintendente all’ortodossia politica e morale del partito» (Rapporto al duce, 1978, p. XXXIII), cosa che implicitamente sarebbe confermata anche da ciò che Galeazzo Ciano scriveva della segreteria Vidussoni nel suo diario in quei mesi (G. Ciano, Diario, II, Milano 1946, p. 122). Proprio questo ruolo fu alla base di un conflitto crescente con Vidussoni.
Il diario di Ravasio (Bianchi, 1970; Rapporto al duce, 1978), pubblicato nel dopoguerra, documenta una crescente fatica ad assumersi le responsabilità di altri nel suo ruolo di vicesegretario, e la richiesta di essere sostituito, già dalla fine di dicembre del 1942, per stanchezza e ragioni di salute nel ruolo politico assunto.
Fu in quei pochi mesi di segreteria di Vidussoni, in piena guerra, che Mussolini decise di chiedere ai segretari federali del PNF in tutta Italia di fargli rapporto sulla situazione del partito; i rapporti, conservati anche grazie a Ravasio, offrono una testimonianza particolarmente interessante delle tensioni e dei diversi atteggiamenti del regime di fronte a una guerra mal gestita e mal preparata.
Nel corso del 1942 inoltre Ravasio progettò insieme a Julius Evola la realizzazione di una rivista italo-tedesca, Sangue e spirito, che non fu mai realizzata. A suo dire alla fine di gennaio 1943 Mussolini decise di sostituire Vidussoni e gli propose la nomina, che però Ravasio rifiutò adducendo anche in questo caso ragioni di salute. Tuttavia i suoi ruoli politici non terminarono all’inizio del 1943, dal momento che egli rimase ufficialmente in carica fino al 25 aprile 1943, divenendo poi dal 5 maggio al 25 luglio di quell’anno ispettore del PNF (I nuovi ispettori del partito, in La Stampa, 5 maggio 1943), incarico di cui non parlò nell’intervista del dopoguerra a Giordano Bruno Guerri.
Dopo il 25 luglio 1943 fu arrestato; passò qualche settimana al Miogni, il carcere di Varese, e fu liberato con la costituzione della Repubblica di Salò e l’occupazione nazista (F. Giannantoni, Vittorini al carcere di Miogni, http://www.rmfonline.it; 14 giugno 2016).
Nel dopoguerra si ritirò a vita privata: visse tra Milano e la Val d’Ossola e continuò a scrivere poesie, come aveva sempre fatto; partecipò inoltre alla redazione di giornali locali.
Nell’intervista a Guerri ricordò in particolar modo i mesi della sua segreteria, enfatizzando il non aver mai avuto in precedenza ruoli politici nel partito, ma solo funzioni di carattere culturale – anche se la direzione di redazione in Gerarchia indica una ben diversa centralità della sua figura, allora ancora poco nota al pubblico – fino al ruolo di vicesegretario, e di avere appreso di quest’ultima nomina con stupore dalla radio. Nell’intervista sottolineò inoltre il malcontento con cui dovette assumere l’incarico e la sua consapevolezza dell’impreparazione bellica e politica del partito e dell’Italia.
Colto da un ictus a Ospedaletti, dove soggiornava nei mesi invernali, fu trasferito a Milano, dove morì l’11 maggio 1979.
Opere. La Marcia fascista nel Gallaratese, Varese s.d.; I paesi del cielo, Milano 1924; Focaccine. Cronache campagnole, Milano 1925; Le avventure di Zulì, Varese 1925; Sangue di Roma. Poesie di Guerra e di Pace 1918-1925, Milano 1925; La marcia su Roma, Milano 1926; Poesie d’amore, Milano 1927; La stampa e la propaganda per l’autarchia. Convegno nazionale per l’applicazione dell’alluminio, magnesio e loro leghe, Milano 1939; La missione rivoluzionaria del giornalismo, Venezia 1942; Poesie. Rivolta e rassegnazione, Milano 1966.
Fonti e Bibl.: Università degli studi di Milano, Archivio storico dell’Università, R. Accademia scientifico-letteraria di Milano, Fascicoli personali degli studenti, ad nomen.
G. Bianchi, Perché e come cadde il fascismo. 25 luglio crollo di un regime, Milano 1970 (con documenti ed estratti del diario di Ravasio del 1942); Rapporto al duce, a cura di G.B. Guerri, Milano 1978 (con il diario, fino ad allora inedito, di Ravasio dal 1° gennaio al 19 dicembre 1942); M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF: gran consiglio, direttorio nazionale, federazioni provinciali, quadri, biografie, Roma 1986; R. De Felice, Mussolini l’alleato, I, L’Italia in guerra 1940-43, 2, Crisi ed agonia del regime, Torino 1990; Bibliografia dei giornali fascisti lombardi 1919-1945, a cura di A. De Cristofaro - L. Ganapini, Milano 1995.