PREDA, Carlo
PREDA, Carlo. – Figlio di Andrea e di Bianca Bianchi, nacque tra il 1651 e il 1652 a Milano, città nella quale risiedette per tutta la vita. La madre era sorella del pittore Federico Bianchi, secondo le fonti (si veda Milano, Biblioteca Trivulziana, Note di alcuni pittori, scultori ed architetti) maestro dell’artista, come rivela anche la sua prima prova nota, la rigida Immacolata e santi in S. Giorgio al Palazzo a Milano (1680 circa).
Se una stesura poco più sciolta si ritrova nella tela nella sagrestia del Carmine di Pavia (1682), un momento decisivo nella carriera di Preda è rappresentato dall’attività per il territorio di Casale Monferrato, da legare, forse, a quella svolta nella stessa città, negli anni Ottanta del Seicento, dallo zio (Alessandria e Asti nel Seicento, 2014). Un evidente alleggerimento compositivo e il ricorso a una tavolozza schiarita si riscontrano, infatti, già nell’Assunta e santi a Terruggia, del 1688. Nello stesso anno Preda figura tra i membri dell’Accademia di S. Luca di Milano. Sebbene toni bruni e modi enfatici, debitori della maniera di Filippo Abbiati, prevalgano ancora nella Comunione di un prelato cappuccino del 1690 (Casale Monferrato, Museo civico) e nel S. Carlo brucia la lettera (entro il 1691), parte dei quadroni tardi della vita del santo per il Duomo di Milano, una pittura più sfumata si legge nelle tele in S. Maria delle Grazie a Bellinzona, dei primi anni Novanta.
Al 1694 risalgono le Storie di s. Caterina alla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano e la Vergine con il Bambino e s. Paolo già in S. Vincenzo a Cremona (Piacenza, collezione privata), prove che sanciscono in maniera definitiva il nuovo corso intrapreso da Preda: avvicinatosi, con ogni probabilità grazie all’attività nel Monferrato, terra di confine tra Liguria e domini sabaudi, alla temperie del tardo barocco genovese di Domenico Piola, Bartolomeo Guidobono e Gregorio De Ferrari, l’artista approda a un fare addolcito e seducente di matrice neocorreggesca, a tinte luminose e raffinati accostamenti cromatici, da questo momento in poi tutte cifre caratteristiche del suo stile.
Questi aspetti rendono Preda una delle voci più originali del contesto milanese del suo tempo e uno degli antesignani della stagione del barocchetto lombardo.
Che il deciso mutamento di rotta fosse apprezzato anche dalla committenza è rivelato dai numerosi incarichi ricevuti dal maestro tra lo scadere del secolo e l’inizio del Settecento, tra i quali le tele con la Maddalena comunicata da s. Massimino (ante 1700) e il Miracolo del fanciullo caduto nella fornace per il ciclo del Ss. Sacramento del Duomo di Milano (ora al Museo diocesano), alle quali vanno avvicinate due storie di s. Giovanni Battista parte dei teleri sulla vita del Precursore nella chiesa eponima di Busto Arsizio (Frangi, 1993) e la Crocifissione di s. Pietro a Broni, nel Pavese (Stoppa, 1999). La fama raggiunta dal pittore nel capoluogo lombardo è confermata anche dall’elezione a principe della locale Accademia di S. Luca, nel 1702.
Alle prove di ambito chiesastico Preda affianca una notevole produzione di opere da stanza di tema sia sacro sia profano, tra le quali Giacobbe al pozzo (collezione privata), Ruth e Booz (già Verona, Galleria Morgante), Allegoria della scultura (Merate, ospedale Leopoldo Mandic), Tre stagioni (asta Della Rocca, Torino, 22 aprile 2010, lotto 644) e due tele, una Scena di corteggiamento ed Ester e Assuero (Varese, ospedale Filippo Del Ponte), segnalatemi da Marco Bona Castellotti.
Suoi dipinti sono attestati in molte raccolte lombarde settecentesche (Carrara, Clerici, D’Adda, Pertusati, Secco Borella).
L’unica prova sopravvissuta dell’opera di Preda nel campo dell’affresco è il Rapimento di s. Paolo al terzo cielo nella sagrestia di S. Barnaba a Milano, del 1708. Tra quest’ultimo anno e il 1710 l’artista eseguì probabilmente due teleri per il ciclo del Sacro Chiodo del Duomo milanese (Coppa, 1999; D’Albo, in corso di stampa), dei quali si conserva l’Eraclio impedito di portare la croce, secondo Stoppa (1999) da datare, invece, agli anni Venti del Settecento.
Allo stesso periodo risalgono anche la pala per il santuario di Caravaggio (1708), alla quale segue quella nella chiesa locale dei Ss. Fermo e Rustico, e il quadrone con la Predica del Battista parte delle storie del santo a Melegnano. A partire da queste opere, le figure graziose del decennio precedente assumono tratti fisionomici più marcati, quasi caricaturali, i panneggi risultano più rigidi e incisi: questi aspetti tendono a divenire una costante della sua produzione matura.
Attivo anche come perito d’arte, nel 1715 il pittore stilò l’inventario della collezione di Giovan Pietro Orrigoni.
Dopo aver eseguito il tondo con il Cristo giudice della collegiata di Pallanza (1716 circa), in anni non lontani dal 1718 Preda dipinse il S. Antonio e santi, ora in S. Stefano a Milano, mentre al 1724 risale l’ultima sua prova documentata, la pala già in palazzo Leonardi a Trecate (ora nel locale monastero delle suore della Carità).
Le fonti ricordano sue opere perdute a Cremona (Panni, 1762) in S. Domenico, a Milano (Latuada, 1737-1738) nella chiesa della Croce di S. Salvatore, in S. Marta, in S. Vittore alla Crocetta, in S. Marco e in S. Erasmo; a Bergamo nelle chiese della Trinità (Tassi, 1793, 1969) e di S. Bartolomeo (Magrini, ante 1764, 1994). A Novara sue prove erano attestate in S. Francesco (Cotta, ante 1764, 1994); a Monza lavorò nei monasteri di S. Paolo (Campini, 1773, 2011) e di S. Maria delle Grazie (Stoppa, 1999).
Lo scarno corpus grafico del maestro si limita alle Storie di s. Caterina (Milano, Biblioteca Ambrosiana) e all’Adorazione dei pastori (Bergamo, Pinacoteca Carrara). Preda figura inoltre come disegnatore di tre incisioni: una Madonna del Rosario (in Confraternite, 2011); Minerva consegna la briglia d’oro a Bellerofonte, incisa da Gaetano Bianchi (Monza, Serrone di Villa Reale, Civica Raccolta di incisioni); Fortuna e due figure allegoriche, incisa da Giovanni Antonio Agnelli (Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi).
Morì a Milano il 27 gennaio 1729.
Secondo le fonti, anche il fratello minore di Preda, Giuseppe (documentato a Milano, 1677-post 1731), esercitò l’arte della pittura. Si ha notizia di sue opere perdute, a Milano, in S. Maria del Carmine (G.M. Fornari, Cronica del Carmine di Milano, Milano 1685, pp. 383, 410) e nella quadreria di Giorgio Clerici; nel 1730 dipinse un’arme pontificia da porre sulla facciata del Duomo (Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, Mandati, 14 agosto 1730).
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Trivulziana, Miscellanea Storica, cod. n. 1131, XXVIII, Note di alcuni pittori, scultori ed architetti, c. 7; G. Biffi, Pitture, scolture et ordini d’architettura (1705), a cura di M. Bona Castellotti - S. Colombo, Firenze 1990, ad ind.; L.A. Cotta, Museo novarese. IV Stanza e giunte manoscritte (post 1716), a cura di M. Dell’Omo, Novara 1994, p. 114; S. Latuada, Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue che si trovano in questa metropoli, Milano 1737-1738, I, p. 170, II, pp. 125, 241, III, p. 236, IV, pp. 66, 290, V, pp. 225, 247, 250, 320; A.M. Panni, Distinto rapporto delle dipinture che trovansi nelle chiese della città e sobborghi di Cremona, Cremona 1762, pp. 73-76, 137 s.; M. Magrini, Giunte all’Abecedario pittorico di Pellegrino Antonio Orlandi compilate dal Conte Giacomo Carrara (ante 1764), in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1994, n. 19, p. 292; G.M. Campini, Chiese di Monza, del suo territorio e della sua corte (1773), a cura di R. Cara, Milano 2011, p. 250; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture che ornano le chiese e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia, Venezia 1776-1777, I, pp. 139, 146, 158, 224, II, pp. 3, 10, 58, 113, 139, 141, 171; F.M. Tassi, Indice delle chiese della città e borghi (1793), a cura di F. Mazzini, Milano 1969, p. 26.
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