PISACANE, Carlo
Martire dell'indipendenza italiana, nato a Napoli il 22 agosto 1818, morto a Sanza il 2 luglio 1857. Di nobile famiglia (il padre era cadetto dei duchi di San Giovanni), fece gli studî militari alla Nunziatella, dove entrô tredicenne; nominato alfiere nel corpo del genio militare di stanza a Napoli, fu addetto alla costruzione della strada ferrata per Capua. Trasferito in Abruzzo, tornò poi a Napoli nel 1843 ed ebbe la promozione a primo tenente. Tre anni dopo, rincasando nella notte dal 12 al 13 ottobre, fu brutalmente aggredito e ferito con pugnalate al ventre e al petto. Dichiarò egli allora che l'aggressione era avvenuta a scopo di furto; però, il 17 febbraio dell'anno successivo egli lasciava nascostamente Napoli, diretto a Livorno, insieme con Enrichetta Di Lorenzo, che aveva conosciuta ed amata ancor prima che, appena ventenne, contro il volere di lei, andasse sposa a Dionisio Lazzari, assai maggiore di età, uomo ricco ma volgare che l'aveva resa madre di tre figli. Scampati alle indagini della polizia, i due amanti si rifugiarono a Marsiglia poi a Londra, infine a Parigi (aprile 1847), sempre perseguitati dalla polizia per mezzo dei residenti borbonici all'estero. A Parigi il P. si arruolò nella Legione straniera, e lasciata la sua compagna andò a combattere in Algeria (5 dicembre); ma non appena ebbe notizia della rivoluzione delle Cinque Giornate, tornò a Marsiglia, e riunitosi con la Di Lorenzo giunse a Milano il 14 aprile 1848. Aggregato a una colonna lombarda inviata a Salò, combatté in Val Sabbia, fortificò e rese inespugnabile Tremosine, a picco sul Garda, e a Bestana fu ferito a un braccio (25 giugno). Condotto a Salò, vi fu raggiunto dalla sua compagna; e avvenuti i rovesci di Lombardia il P. si rifugiò a Lugano, dove s'accostò al Mazzini che preparava colà una disperata ripresa della guerra contro l'Austria. Nel dicembre andò in Piemonte, arruolandosi, col grado di capitano, nella divisione lombarda; ma nel febbraio si dimise per accorrere a Roma, dove (9 febbraio 1849) era stata proclamata la repubblica. Colà si presentò al Mazzini (10 marzo) e bastò "un'ora di colloquio perché l'anime" loro "s'affratellassero". Nominato membro d'una commissione di cinque, proposta dal Mazzini all'assemblea costituente, incaricata della riorganizzazione dell'esercito repubblicano, trasformata poco dopo in commissione di guerra, il P. ne fu l'anima e la mente direttiva; e quando convenne apprestare i mezzi di difesa contro la spedizione francese, egli rivelò ottime qualità di comandante. Nominato capo di Stato maggiore durante la difesa della città, si trovò talvolta in contrasto con Garibaldi; e anzi, cessata la resistenza e andato in esilio a Marsiglia, poi a Losanna, dove fu attivo collaboratore dell'Italia del Popolo, fondata dal Mazzini, il P. vi pubblicò notevoli saggi sulla guerra combattuta in Italia negli anni 1848 e 1849, mostrandosi severo giudice di quanti, compreso Garibaldi, ne erano stati i principali attori; e quei giudizî ribadì ancor più nel volume intitolato: Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, che pubblicò nel 1851 a Genova, dove si era rifugiato dopo aver dimorato per sette mesi a Londra.
Nel frattempo le sue idee politiche si erano gradatamente trasformate. Il contatto a Lugano con Carlo Cattaneo, l'altro, sia pure indiretto, a Londra con i rappresentanti del socialismo francese, avevano indirizzata la sua mente verso orizzonti politici e sociali che non erano quelli di prima, ed egli li andò sempre più approfondendo, non curando di mettersi in aperto contrasto col Mazzini e con le dottrine di lui. A Genova giunse ai primi di ottobre del 1850 e si riunì con la sua compagna. Colà visse sempre fino al 1857, sostentandosi col provento di lezioni private, in un severo raccoglimento, assorto negli studî storici, sociali e d'arte militare, frutto dei quali fu quel poderoso libro intitolato: Saggi storici-politici-militari sull'Italia, dato a luce, dopo la morte dell'autore, a Genova (1858) e a Milano (1860) in quattro volumi. Verso il 1855 il P. si riaccostò al Mazzini, poiché lo vide riprendere con più tenacia l'azione rivoluzionaria, e con lui fu avverso alla spedizione d'un corpo d'esercito piemontese in Crimea, contro la quale pubblicò nell'Italia del Popolo di Genova alcuni articoli tra il febbraio e l'aprile del 1855; e con l'antico maestro fu pure concorde a combattere il murattismo, convinto già da allora che il Mezzogiorno d'Italia era terreno adatto per svolgere un'azione rivoluzionaria. A Genova rivide il Mazzini nel giugno del 1856 e si strinse ancor più a lui, tenendosi in relazione col comitato napoletano, presieduto da Giuseppe Fanelli, che preparava i mezzi per un'azione insurrezionale, assicurando che essa si sarebbe verificata quando dall'Italia settentrionale fosse discesa nel regno una spedizione in armi. L'11 maggio 1857 il Mazzini tornò a Genova e per più giorni discusse col P. sui preparativi di quella fatale impresa. Il piano fissato era che a un segnale convenuto con Napoli il P., dopo essersi impadronito del Cagliari, vapore della Società Rubattino, sul quale avrebbe preso imbarco con alcuni dei suoi, e fornitosi in mare delle armi che una goletta, guidata da R. Pilo, gli avrebbe recato, si sarebbe indirizzato sulle coste napoletane. Sennonché la goletta carica d'armi, dopo essere rimasta per tre giorni immobile in mare, a causa di una persistente bonaccia, fu il 9 giugno investita da forte bufera, e R. Pilo fu costretto a tornare a terra, dopo aver gettato in mare il carico d'armi. Convenne rimandare l'impresa e il P. si offerse di recarsi a Napoli per avvertire quel comitato del fatale contrattempo. Tornò a Genova il 19 giugno, dopo dieci giorni d'assenza, e nonostante i discordi pareri del comitato di Napoli si dimostrò ottimista e pronto a ogni modo all'azione. Il 25 giugno partì sul Cagliari insieme con ventiquattro compagni, fra i quali erano il Nicotera e G.B. Falcone, d'intesa che R. Pilo lo avrebbe preceduto d'un giorno, recandogli con una flottiglia di barche un modesto carico d'armi; ma, a causa d'una fitta nebbia, l'incontro non avvenne. Il P., che s'era già impadronito a forza del vapore, continuò allora nella rotta; a Ponza, dove scese con i suoi, s'impossessò del castello in cui erano detenuti buon numero di condannati anche da tribunali militari, e più di trecento di essi lo seguirono nell'impresa e nello sbarco di Sapri. Il P., appena sceso sulla spiaggia (28 giugno), provò un primo disinganno, poiché il luogo era deserto; e quando s'inoltrò verso il paese nessuno gli venne incontro, né vide alcun segno che il comitato di Napoli avesse predisposto un tentativo insurrezionale. Invece, il governo borbonico, informato già dell'episodio di Ponza, ebbe presto notizia dall'intendente di Salerno che uno sbarco di rivoltosi era avvenuto a Sapri, e ch'egli si disponeva a fronteggiarle. E quando la colonna degl'insorti, postasi in marcia la mattina del 29 giugno, s'inoltrò su Torraca, Casalnuovo (30 giugno), Padula, ebbe a scontrarsi con le soldatesche del colonnello Ghio, le quali, coadiuvate da guardie urbane, ne fecero strage. Il P., il Nicotera, il Falcone e un centinaio dei migliori, riuscirono a farsi un varco e a rifugiarsi verso Buonabitacolo, e di là, all'alba del 2 luglio, verso Sanza, dove furono accolti a colpi di fucile da una squadra di undici urbani; e mentre i rivoltosi di Ponza si sbandavano, quelli di Genova tentarono un'ultima disperata resistenza. Il P. fu ferito al fianco e impugnata una pistola si uccise; l'imitò subito dopo il Falcone; il Nicotera, gravemente ferito, fu lasciato per morto, poi fu fatto prigioniero.
Il giorno prima d'imbarcarsi sul Cagliari il P. aveva affidato a J.W. Mario (v.) il suo testamento, che è notevolissimo documento sia della fede nel socialismo di chi lo vergò, sia della sua fede incrollabile che solamente con una serie di rivoluzioni l'Italia avrebbe potuto riscattare la sua indipendenza; e là dove si afferma che "con tali principî avrebbe potuto mancare a un sacro dovere se vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un tempo opportunissimo, non avesse impiegato tutta l'opera sua per mandarlo ad effetto", sta la documentazione che nessuno avrebbe potuto rimuoverlo dall'affrontare il martirio.
Bibl.: N. Rosselli, C. P. nel Risorgimento italiano, Torino 1932 (ivi una completa nota bibliografica). V. inoltre: A. Romano, Nuove ricerche sulla vita sentimentale di C. P., in Rass. stor. d. Risorgimento, 1933; L.A. Pagano, La spedizione di Sapri e la prigionia di G. Nicotera nelle carte della polizia borbonica di Sicilia, ibid., 1934; A. Romano, C. P. e la Repubblica Romana, ibid., 1934; id., Per una biografia di C. P., Documenti e reliquie, Napoli 1934.