NENCINI, Carlo
NENCINI, Carlo. – Nacque a Radicondoli (Siena) il 24 febbraio 1881 da Sante e da Sabatina Baldasseroni.
Crebbe nella vicina Colle Val d’Elsa, allora importante centro industriale e operaio e, nel 1897, primo Comune toscano a essere guidato da un sindaco socialista. Il movimento operaio vi si era sviluppato grazie al consistente insediamento della piccola industria e dell’artigianato, in particolare cartiere, vetrerie e ferriere, che richiamavano nella cittadina lavoratori provenienti dai paesi e dalle campagne circostanti.
A Colle frequentò le scuole elementari e fu messo a bottega a imparare l’arte vetraia. Si avvicinò presto al movimento anarchico, in corrispondenza della crisi politica e sociale di fine secolo (la prefettura di Siena aprì un fascicolo a suo nome nell’estate 1897). Del resto, quella dei Nencini era una famiglia di socialisti libertari: anarchici erano anche i fratelli Giovanni, nato nel 1872, operaio metallurgico nella ferriera di Colle, Gino e Ferruccio, nati rispettivamente nel 1884 e nel 1892, entrambi vetrai.
Il primo incarico affidato a Nencini fu la diffusione della stampa anarchica. Arrivavano allora a Colle L’Agitazione, il settimanale fondato ad Ancona da Errico Malatesta, e l’Avvenire sociale di Messina. L’affissione di un manifesto stampato clandestinamente in Sicilia e allegato all’Avvenire sociale gli costò una condanna a tre mesi di carcere. Ma ciò non servì a frenare il suo impegno, tanto che nell’aprile 1898 firmò una veemente protesta contro il processo a Malatesta, arrestato ad Ancona.
I primi guai con la giustizia contribuirono a rendere sempre più difficile la vita di Nencini nel piccolo Comune toscano. Come capitava spesso ai sovversivi, gli accadeva di essere guardato con sospetto ed evitato, soprattutto dai datori di lavoro, e probabilmente desiderava misurarsi con orizzonti più ampi. Così nel novembre 1900 si trasferì a Milano, dove trovò lavoro nella vetreria Boschi e si iscrisse alla lega dei vetrai presso la Camera del lavoro ambrosiana, allora la maggiore organizzazione operaia d’Italia.
Dopo l’affermazione riportata dai partiti dell’Estrema (radicali, repubblicani, socialisti) alle elezioni del giugno 1900 e il vittorioso sciopero generale di Genova, in dicembre, contro il decreto prefettizio di scioglimento della locale Camera del lavoro, l’anno 1901 segnò una notevole accelerazione nello sviluppo del movimento socialista. Le Camere del lavoro, 17 nel 1900, divennero 57 per salire a 76 l’anno successivo.
Negli anni successivi, gran parte dell’attività di Nencini, che vedeva nel sindacalismo una coerente applicazione delle teorie anarchiche al campo delle lotte operaie si svolse all’interno delle istituzioni sindacali. Nel 1904 entrò nel comitato direttivo della Federazione dei lavoratori del vetro. Nel 1905 si trasferì a Firenze, dove stabilì contatti sempre più solidi con la corrente del sindacalismo rivoluzionario, come rivelano i contenuti del comizio che tenne il 1° maggio 1907 presso la Camera del lavoro di Firenze e la sua collaborazione al settimanale L’azione diretta pubblicato nella città toscana. Nello stesso 1907, i sindacalisti rivoluzionari uscivano dal Partito socialista italiano (PSI) costituendosi in un gruppo autonomo aderente al sindacato confederale.
Nel giugno 1908, intervenne più volte (con comizi alla Camera del lavoro di Firenze e alla Società di mutuo soccorso di Rifredi) in difesa del lungo e durissimo sciopero generale proclamato dalla Camera del lavoro di Parma, roccaforte sindacalista guidata da Alceste De Ambris. In agosto si adoperò per creare presso la Camera del lavoro fiorentina un fascio operaio rivoluzionario composto di anarchici e sindacalisti. Sul finire del 1911, nei mesi di mobilitazione contro la guerra di Libia, fu uno dei più attivi agitatori durante lo sciopero alla vetreria Bormioli di Firenze. Ormai strettamente vigilato dalla polizia, decise di trasferirsi a Lione, dove ritrovò i fratelli Ferruccio e Gino, entrambi coinvolti nelle manifestazioni scoppiate in Valdelsa contro la partenza verso Tripoli dei richiamati alle armi, e per questo anch’essi ricercati dalle forze dell’ordine.
Tornato in patria, nel luglio 1912 si stabilì momentaneamente a Piombino come segretario della locale Camera del lavoro, ma presto lasciò la Toscana per raggiungere Torino, dove gli fu affidata la segreteria del sindacato autonomo dei metallurgici, organizzazione indipendente dalla Confederazione generale del lavoro (CGdL). Nel novembre 1912 fu tra i fondatori, al Congresso nazionale dell’Azione diretta di Modena, dell’Unione sindacale italiana (USI): la sigla unitaria dei sindacalisti rivoluzionari, che si ponevano in aperta rivalità con la politica riformista della CGdL. In dicembre, si trasferì a Bologna, uno dei centri più importanti del sindacalismo italiano, dove trovò lavoro presso la vetreria Ristori-Landi. Il 5 gennaio 1913 intervenne sul periodico anarchico bolognese L’Agitatore con un articolo, Le basi di un vero movimento operaio rivoluzionario, che gli costò una condanna a 15 giorni di detenzione. Nei mesi successivi cominciò a collaborare anche a Volontà di Ancona, diretto da Malatesta. Qui, nel numero del 20 dicembre 1913, pubblicò un altro articolo di aperta battaglia: Sciopero generale ed insurrezione.
La lotta per il controllo delle Camere del lavoro accesasi tra sindacalisti rivoluzionari e socialisti riformisti aveva portato, in alcuni casi, a scissioni all’interno degli istituti camerali. A Bologna nel 1912 era nata una Camera del lavoro riformista separata dalla vecchia Camera del lavoro controllata da sindacalisti e anarchici, di cui spesso Nencini presiedeva le riunioni.
Tra la primavera e l’estate del 1914, nel periodo culminante della Settimana rossa, fu nominato segretario della Camera del lavoro sindacalista di Mirandola e di quella di Modena. Nello stesso periodo entrò nel comitato esecutivo dell’USI. Intanto anche tra i sindacalisti rivoluzionari facevano breccia le posizioni interventiste (sostenute, in primo luogo, da Alceste De Ambris e Filippo Corridoni), ma Nencini, d’accordo con Armando Borghi, leader emergente dell’USI, si schierò decisamente contro l’ingresso dell’Italia in guerra. La maggioranza del consiglio generale fu dalla loro parte e il vecchio gruppo dirigente guidato da De Ambris uscì dall’organizzazione. Nel corso del 1915, l’attività propagandistica svolta da Nencini nel Bolognese e nel Modenese, a stretto contatto con Borghi, apparve sempre più pericolosa agli occhi delle autorità di pubblica sicurezza. In ottobre fu rimpatriato coattivamente a Colle Val d’Elsa, per poi essere autorizzato il mese successivo a tornare in Emilia, ma sotto perentoria diffida a fare qualsiasi propaganda antipatriottica. Richiamato sotto le armi nell’autunno 1916, disertò, riuscendo a raggiungere la Svizzera e stabilendosi a Zurigo, dove si inserì nel locale gruppo anarchico di lingua italiana.
Tornò a Colle Val d’Elsa, facilitato dall’amnistia del governo Nitti, solamente nell’autunno 1919, reduce dal carcere di Berlino, dove era rimasto per parecchi mesi per avere partecipato all’insurrezione della Lega spartachista di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Si fermò in Toscana poche settimane. Spinto come non mai dall’urgenza dell’azione e convinto che le sofferenze imposte alle popolazioni dalla guerra e il nuovo impulso fornito dalla Rivoluzione russa facessero rinascere le speranze di una trasformazione sociale, in Italia come in larga parte d’Europa, nel dicembre raggiunse Parma, dove l’Unione sindacale diretta da Borghi iniziava i lavori del suo terzo congresso.
Erano i mesi centrali del cosiddetto ‘biennio rosso’ e si aveva la sensazione negli ambienti sindacalisti che la rivoluzione proletaria fosse imminente, come sembrava testimoniare anche il movimento dei consigli di fabbrica torinesi. Agitazioni e scioperi si ripetevano senza sosta e l’USI, che nel 1913 contava circa 100.000 aderenti, alla fine del 1919 superava i 300.000. Permaneva un rapporto antagonistico con la CGdL, che informava la sua azione al concetto della gradualità e della evoluzione, mentre si cercava piuttosto una sponda nel PSI guidato dai massimalisti, oltre che naturalmente nell’Unione anarchica italiana (UAI), appena fondata da Malatesta.
Il 21 dicembre, intervenendo all’assise parmense, Nencini prefigurò un’Unione sindacale in grado di assumere anche funzioni schiettamente politiche, di lotta contro gli apparati statali e contro il sistema parlamentare. Sulla scorta di questa impostazione ideale, i lavori congressuali segnarono una presa di distanza dagli eventi russi. Nel regime bolscevico, infatti, la macchina dello Stato era rimasta intatta, con il corollario di prepotenze e atrocità, mentre per i sindacalisti la vera rivoluzione non poteva che condurre all’abolizione dello Stato e alla sua trasformazione in un organo avente funzioni puramente tecniche ed economiche.
Nella primavera 1920, Nencini era di nuovo alla guida della Camera del lavoro di Modena. A conferma della vicinanza umana e ideale che si stabilì allora tra una parte del sindacalismo rivoluzionario e il movimento anarchico, l’anno successivo collaborò al giornale Umanità nova, fondato e diretto da Malatesta. Nacque allora il Partito comunista d’Italia ed emerse il dissidio ideologico tra anarchici e comunisti. In quel contesto, nel luglio 1921 una delegazione dell’USI firmò a Mosca un documento di unità con i comunisti. Nencini, insieme al segretario Borghi, vi si oppose fermamente. Le polemiche in seno all’organizzazione sindacalista sfociarono in una nuova scissione, consumatasi nel 1922, l’anno della disfatta del movimento operaio italiano e dell’ascesa al potere del fascismo.
Si trasferì a Roma, dove viveva il fratello Ferruccio e dove trovò lavoro in una grande vetreria in via Ostiense, abbandonando la politica attiva. Nel febbraio 1927 lasciò quel posto per assumere un impiego presso la Confederazione dei sindacati fascisti, in piazza Colonna. Tuttavia, ancora nel giugno 1928 era vigilato dalla questura di Roma, che lo definiva senza esitazioni anarchico.
Non è difficile immaginare che avesse ottenuto il nuovo lavoro grazie alla conoscenza personale di alcuni funzionari fascisti con un passato nel sindacalismo rivoluzionario, ma non è dato sapere se si trattò di conformismo o della sincera speranza di poter fare qualcosa per il movimento operaio anche dentro i sindacati fascisti.
Morì a Roma pochi mesi dopo, il 18 giugno 1929.
Fonti e bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3516, ff. relativi a Nencini Carlo, Nencini Ferruccio, Nencini Gino e Nencini Giovanni. E. Santarelli, L’azione di Errico Malatesta e i moti del 1898 ad Ancona, in Movimento operaio, VI (1954), 2, pp. 248-274; G. Mori, La Valdelsa dal 1848 al 1900 (Sviluppo economico, movimenti sociali e lotta politica), Milano 1957; M. Caciagli, Nascita del partito socialista in Valdelsa, in Miscellanea storica della Valdelsa, LXVII (1961), 3, pp. 205-242; P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Torino 1972; A. Andreasi, N. C., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, pp. 662-664; T. Detti, Meoni Vittorio, ibid., pp. 427-429; L. Guerrini, Masini Giulio, ibid., pp. 347-350; A. Marianelli, Proletariato di fabbrica e organizzazione sindacale in Italia all’inizio del secolo: il caso dei lavoratori del vetro, Milano 1983; M. Antonioli, Azione diretta e organizzazione operaia. Sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell’Ottocento e il fascismo, Manduria 1990; G. Berti, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale. 1872-1932, Milano 2003; M. Antonioli, Gervasio Gaetano, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, I, Pisa 2003, pp. 690 s.; G. Landi, Borghi Armando, ibid., pp. 228-236; F. Bucci - S. Carolini - A. Tozzi, Copetti Attilio, ibid., pp. 442 s.; C. Silingardi, N. C., ibid., II, Pisa 2004, pp. 241 s.