MUNICCHI, Carlo.
– Nacque a Firenze il 27 luglio 1831, da Pietro, ingegnere agrimensore a cui il granduca Leopoldo II concesse nel 1838 il titolo di nobile di San Miniato, e da Virginia Ulivieri.
Si laureò in giurisprudenza nel 1853 e nel 1857 venne ammesso all’esercizio dell’avvocatura. Si sposò nel 1869 con la contessa Teresa Lombardi, da cui ebbe quattro figli. Legato ai moderati toscani, fu nel consiglio direttivo, e poi vicepresidente, della società Patria, Re, Libertà, Progresso, importante associazione monarchica fiorentina. Intrapresa la carriera amministrativa, ad aprile 1861 entrò come segretario nel Ministero di Grazia, giustizia e culti e nel 1864 fu promosso capo della sezione competente in materia di personale. Il 17 dicembre 1865 fu ammesso in magistratura come giudice inquirente e mantenne la stessa funzione per tutta la sua carriera: all’inizio, nominato sostituto procuratore generale di Corte d’Appello a Firenze, rimase nel Ministero, essendo membro della commissione incaricata di rivedere la legge sulla proprietà letteraria e artistica, presieduta da Alessandro Manzoni; nel 1869 venne trasferito a Genova, poi a Roma dal 1870, dal 1876 presso la Corte di Cassazione; nel 1879 fu promosso procuratore generale di Corte d’Appello a Catanzaro, di lì passò a Genova nel 1880 e a Milano nel 1883, dove contribuì allo scioglimento di molti circoli operai e alla soppressione del periodico Il Fascio operaio.
Nella sua attività di magistrato si fece costantemente apprezzare per l’onestà e il rigore, come avvenne per esempio nel processo, in cui fu pubblico ministero, contro Giuseppe Luciani, accusato dell’omicidio di Raffaele Sonzogno, direttore e proprietario del giornale La Capitale. In uno scritto sulla difesa penale in Italia, Municchi fu citato come ottimo esempio di pubblico ministero capace di esercitare nella maniera più piena e corretta la sua funzione, con riferimento al convincimento espresso in una sua requisitoria: «La mia bandiera, quella che mi fu affidata quando ascesi questo posto di rappresentante della legge, è quella di accusare il delitto, di difendere la innocenza. Io non debbo ad ogni costo accusare, ma soltanto quando la mia coscienza sia così tranquilla che essendo al vostro posto, signori giurati, potessi pronunciare un verdetto di colpabilità» (Campani, 1880, II, p. 271).
Il 16 novembre 1887 Francesco Crispi, apprezzando forse l’atteggiamento deciso con cui aveva contrastato il movimento operaio, lo chiamò a reggere la prefettura di Genova, città nella quale rimase fino al 16 febbraio 1893. La sua gestione, difesa dal giornale L’Opinione, venne aspramente criticata da Il Secolo XIX, che lo accusava di «maneggi e intrighi elettorali» per distruggere l’unione delle forze liberali, lo dipingeva come «moderato quasi clericale fino da quando era procuratore generale», alleato e protettore dell’aristocrazia genovese e concludeva che «il Municchi è il meno abile in politica e il più incapace in amministrazione fra i prefetti che abbia avuto Genova» (Il Secolo XIX, 13 maggio 1889). In realtà in quella città Municchi si impegnò in un’opera moderatrice e di coordinamento per garantire l’andamento regolare dei servizi del porto, e soprattutto favorì la costruzione di grandiosi magazzini generali sul Molo Vecchio.
La sua destinazione successiva fu Torino, dove rimase da marzo a settembre 1893 e di nuovo dal 15 maggio 1896 ad aprile 1898. La successiva sede dal settembre 1893 fu Napoli, dove arrivò subito dopo i tumulti seguiti all’eccidio di Aigues Mortes, che il suo predecessore Carmine Senise non era riuscito a evitare; venne accolto, sulle colonne del quotidiano Il Mattino, da un articolo del direttore Edoardo Scarfoglio che evidenziava la situazione particolare della città e gli consigliava di farsi mediatore fra il popolo e l’autorità, sperando di trovare in Municchi un alleato per scalzare il potere di Giovanni Nicotera.
Lasciata Napoli per i suoi dissensi – come scrisse Domenico Farini – con il commissario regio Ottavio Serena, e dopo il secondo incarico come prefetto di Torino, Municchi resse per pochi mesi la prefettura di Palermo (1° aprile -1° settembre 1898). Al suo arrivo, si rivolse alla popolazione con un manifesto in cui esponeva il suo programma: «Dal canto mio, antico magistrato, terrò a mio vessillo e guida la Legge. Con essa amministrerò, con essa vigilerò che tutti i doveri si adempiano e tutti i diritti si esercitino; con essa compirò la più importante funzione di governo, tutelando la sicurezza e l’ordine pubblico» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Dir. gen. AA. GG. Personale, Div. personale, serie II, b. 235, f. 660).
Il manifesto si concludeva con il suo motto, «Sub lege libertas», lo stesso ripetuto nel manifesto con cui si presentò alla popolazione milanese, annunciando la fine dello stato d’assedio, quando venne nominato prefetto della città da Luigi Pelloux, subito dopo la reggenza del gen. Fiorenzo Bava Beccaris, in un momento assai difficile: la prima accoglienza fu assai prudente sia da parte dei più diffusi giornali milanesi (Corriere della Sera, La Sera eLa Perseveranza), sia da parte dei radicali (Il Secolo definì Municchi «uomo di molto ingegno, di seria cultura, di cortesissimi modi, d’aspetto distinto» e il suo manifesto «calmo e sobrio di promesse»), ma, con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative, i democratici mostrarono aperta ostilità verso Municchi, accusato apertamente di essere il continuatore di Bava Beccaris, di non aver tradotto in pratica il suo ambizioso programma, di non aver consentito la ricostituzione delle associazioni disciolte e di essere contrario alla concessione dell’amnistia (Il Tempo, 17 marzo 1899). Il ritorno alla normalità per la città avvenne il 24 maggio 1899, quando Municchi permise la ricostituzione di comitati e società cattoliche, lo stesso giorno della liberazione di don Davide Albertario. Nulla poté fare il prefetto per evitare la vittoria nelle elezioni dei partiti popolari, del resto ampiamente prevista. L’unico elemento che movimentò la vigilia elettorale fu l’episodio che coinvolse Filippo Turati, raggiunto dalla proibizione prefettizia di intervenire al comizio conclusivo della campagna per le elezioni amministrative. Municchi ritenne di applicare contro Turati le sanzioni conseguenti alla condanna del tribunale militare nel 1898, senza tener conto della sua carica parlamentare, in quanto «la legge – scrisse in una lettera a Pelloux il 4 dicembre – non ha previsto il caso del deputato sottoposto alla sorveglianza», e in questo caso si trattava «di fatti o di atti che non hanno che far niente col mandato legislativo-politico». Il parere di Pelloux («Lo lasci fare sorvegliando bene») pervenne al prefetto dopo che già era stato comunicato a Turati il divieto di intervenire alla manifestazione e il deputato ne trasse come conseguenza le immediate dimissioni. L’iniziativa di Municchi venne poi sconfessata in Parlamento da Pelloux e al prefetto non rimase che dimettersi a sua volta, il 31 dicembre 1899 (Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Luigi Pelloux, f. 50).
Tornato nella sua città natale, Municchi riprese la sua carriera di avvocato e proseguì il suo impegno politico come consigliere comunale e provinciale dal 1902 al 1904 e come presidente della Deputazione provinciale di Firenze dal 1902 al 1906; fece parte dal 1902 al 1905 della Commissione della statistica giudiziaria, fu membro del Collegio arbitrale dell’Ispettorato generale delle strade ferrate.
Soprattutto, poté frequentare con maggiore assiduità palazzo Madama, dove era entrato il 21 novembre 1892, nominato senatore da Giolitti per la categoria XIII; fu membro di diverse commissioni, per l’esame dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei conti (1900-1909), di istruzione dell’Alta corte di giustizia (1909-1911), per la verifica dei titoli dei nuovi senatori (1902-1911), per l’indirizzo di risposta al discorso della Corona (1909), per l’esame dei disegni di legge sui codici penale militare e di procedura penale militare, e intervenne nelle discussioni su argomenti in qualche modo legati alla sua attività di magistrato e prefetto, relativi alla città di Napoli, allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, sul credito comunale e provinciale, sulla riforma del Casellario giudiziale, sulla condanna condizionale.
Un ulteriore riconoscimento gli venne con la concessione del titolo di conte, con motu proprio sovrano del 22 aprile 1897.
Morì a Firenze il 24 dicembre 1911.
Opere: Relazione statistica dei lavori compiuti nel distretto della corte d’appello di Genova nell’anno 1882, Genova 1883; Relazione statistica giudiziaria del 1885. Inaugurazione dell’anno giuridico, Milano 1886; Relazione al Consiglio provinciale sul regolamento del Manicomio di Firenze, Firenze 1903.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero Grazia e giustizia, Fascicoli dei magistrati, I vers., b. 23, n. 28294; Dir. gen. affari penali, grazie e casellario, Div. affari penali, anni 1879-1887; Ministero dell’Interno, Dir. gen. AA. GG. Personale, Div. personale, serie II, b. 235, f. 660; Presidenza del Consiglio dei ministri, Consulta araldica, f. 2084; Carte Luigi Pelloux, sc. 32, f. 50; Gabinetto, 1898, Pelloux, f. 30; per l’attività parlamentare Atti parlamentari, Senato del Regno, Legg. XX-XXIII, ad indices; S. Campani, La difesa penale in Italia. Studii teorici e pratici, II, Bologna 1880, p. 271 n. 1; D. Amato, Cenni biografici d’illustri uomini politici e dei più chiari scienziati, letterati e artisti contemporanei italiani, Napoli 1887, pp. 1046-1048, 1065-1067; T. Sarti, Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, pp. 391 s.; commemorazione in Senato da parte del presidente Giuseppe Manfredi nella seduta del 23 febbraio 1912; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, II, Roma 1962, p. 929; A. Canavero, Milano e la crisi di fine secolo (1896-1900), Milano 1976, pp. 282 ss.; M. Punzo, Le elezioni amministrative milanesi nel 1899, in Rassegna storica del Risorgimento, LXIV (1977), pp. 161-202; Id., Socialisti e radicali a Milano. Cinque anni di amministrazione democratica (1899-1904), Firenze 1979, passim; F. Barbagallo, “Il Mattino” degli Scarfoglio (1892-1928), Milano 1979, ad indicem.