Carlo Morandi e Nino Valeri
Sia Carlo Morandi sia Nino Valeri appartennero al gruppo di storici legati a Gioacchino Volpe e a Giovanni Gentile, ma anche al magistero di Benedetto Croce, una generazione postbellica destinata a operare nel clima del nuovo regime instaurato con le Leggi eccezionali del 1925. Coetaneo di Federico Chabod, Morandi (Suna, oggi frazione di Verbania, 1904-Firenze 1950) studiò a Pavia. Libero docente in storia medievale e moderna nel 1930, entrò l’anno seguente come borsista alla Scuola di storia moderna e contemporanea di Roma, diretta da Volpe. Qui incontrò un gruppo di suoi coetanei (tra cui Walter Maturi) che nella loro vita attraversarono il ventennio fascista «in servitù volontaria» – come riconobbe lo stesso Morandi definito «il maître à penser bottaiano» (cit. in M. Serri, I redenti, 2005, p. 17). Nel 1932 Morandi chiese l’iscrizione al Partito nazionale fascista, dapprima negatagli per i suoi rapporti con Nello Rosselli. Nel 1936 accettò la nomina a Provveditore agli studi a Piacenza, offertagli dall’allora ministro squadrista Cesare Maria De Vecchi. Vinse quindi il concorso bandito dall’Università di Pisa per la cattedra di storia del Risorgimento. Vicino a Volpe, tramite Ugo Spirito entrò nella cerchia del potente ministro Giuseppe Bottai e della sua rivista «Primato». È in questi anni (1941-42) che con Chabod realizzò la pubblicazione di un quindicinale di divulgazione storica, patrocinato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) di Milano: «Popoli». Trasformatosi in «funzionario dello Stato fascista» (M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo, 1977, p. 149), nel dopoguerra temette di finire davanti alle commissioni per l’epurazione, e scelse una posizione defilata, tanto da rifiutare una candidatura per la Costituente offertagli dal Partito democratico del lavoro di Ivanoe Bonomi. Dopo aver sposato le tesi di un nazionalismo aggressivo (Guerra per l’Europa, 1943), espresse giudizi ben diversi sul recente passato in I partiti politici nella storia d’Italia (1945). Gran parte di questi e degli altri suoi lavori fu raccolta in Scritti storici (a cura di A. Saitta, 4 voll., 1980).
Valeri (Padova 1897-Roma 1978) fu titolare della cattedra di storia moderna all’Università di Catania nel 1943, per poi passare all’Università di Trieste e quindi a quella di Roma dal 1955. I suoi interessi si divisero tra Rinascimento, con un certo influsso di Francesco Ercole (La libertà e la pace. Orientamenti politici del Rinascimento italiano, 1942; L’Italia nell’età dei principati (1343-1516), 1949), e mondo contemporaneo. Nell’immediato dopoguerra, mentre Morandi rifletteva sulle strutture partitiche della nazione, si manifestò in Valeri un nuovo interesse per l’età contemporanea. Egli affrontò così «nei suoi brillanti saggi» (L. Valiani, La storiografia italiana del dopoguerra sul periodo 1815-1870, in La storiografia italiana negli ultimi vent’anni, 2° vol., 1970, p. 767) il tema de La lotta politica in Italia dall’Unità al 1925 (1945) e quindi la riflessione Sulle origini del fascismo (in Questioni di storia contemporanea, 3° vol., 1953, pp. 733-57) e su La lotta politica in Italia dall’Unità al 1926 (1946), anche nei volumi Da Giolitti a Mussolini (1956), D’Annunzio davanti al fascismo (1963). Scrive Franco Gaeta (Nazionalismo italiano, 1965, p. 52), le pagine di Valeri
si rifanno all’impostazione di Croce e […] d’altra parte precisano come dal 1911 gli accenni antidemocratici e antiliberali non rappresentassero semplicemente la ‘letteratura’ di qualche solitario scrittore, ma fossero l’anima stessa dal partito [nazionalista], ormai nettamente orientato ad un’esaltazione dello Stato-nazione (concepito alla maniera prussiana come ‘volontà di potenza’) e ad una connessa nuova ‘morale dei produttori’, ad una forma di politica protezionista in favore specialmente dell’industria pesante.
Direttore della Storia d’Italia della UTET (5 voll., 1959-1960), scrisse, tra i suoi ultimi contributi, Tradizione liberale e fascismo (1972).