MOLLINO, Carlo
– Nacque a Torino il 6 maggio 1905 da Eugenio, ingegnere, e da Jolanda Testa.
Eugenio, nato a Genova il 16 ag. 1873, si laureò in ingegneria al Politecnico di Torino nel 1896 e a partire dal 1899 iniziò l’attività di libero professionista a Voghera, per poi trasferirsi a Torino, dove nel 1901 ottenne per un breve periodo un incarico presso il municipio cittadino. Personalità severa e rigorosa, tra il 1906 e il 1953 legò il proprio nome a numerose opere fra cui: il palazzo delle Poste e telegrafi di Voghera, il ponte in cemento armato di Saluggio, la palazzina Palli di Casale Monferrato, la casa del Sole di Rivoli, la centrale idroelettrica dell’Isarco in Val di Fiemme. A Torino, alle raffinate progettazioni di edilizia privata (villino di via Asti 15, casa Faggiani, casa Rei D’Agostino, casa Boggio Gualco, casa Quaglino, casa Calliano) affiancò importanti realizzazioni quali l’interno del teatro Alfieri, la nuova sede dell’Istituto delle missioni S. Vincenzo de’ Paoli, ma sopratutto l’ospedale civico delle Molinette, progettato con M. Bongioanni e inaugurato nel 1936. Quest’ultimo, inserito in un sistema di grandi opere volute dal regime fascista per la città, fu concepito come struttura di servizio pubblico destinata alla fruizione di migliaia di persone, privilegiando gli aspetti funzionali a scapito dei consueti riferimenti stilistico-celebrativi. Piuttosto estraneo al dibattito contemporaneo, Eugenio fu concentrato soprattutto sull’aspetto razionale e funzionale della professione, in linea con la formazione fornitagli dalla Regia Scuola di applicazione degli ingegneri che andava rinnovando i propri percorsi formativi attraverso l’apertura a nuove tecniche e tipologie progettuali. Influenzato dagli stilemi dell’art nouveau, anche nella realizzazione di eleganti progetti per ville private continuò soprattutto ad approfondire gli aspetti legati alla risoluzione di problemi tecnici e impiantistici. Poco proclive alle mode del momento esercitò la sua influenza sul M., la cui padronanza tecnica e l’interesse per l’innovazione tecnologica, assimilati durante la collaborazione presso lo studio paterno, saranno ravvisabili lungo tutto il suo percorso professionale.
Morì a Torino il 28 dic. 1953.
Dopo una prima iscrizione alla facoltà di ingegneria il M. si trasferì, nel 1925, alla Regia Scuola superiore di architettura del Politecnico di Torino dove si laureò nel 1931.
Nel 1929 intanto aveva frequentato un corso di storia dell’arte a Gand in Belgio. Contemporaneamente compiva l’apprendistato presso lo studio del padre a cui fu profondamente legato in un controverso rapporto di soggezione/ammirazione che segnerà fortemente la sua esperienza umana e professionale.
È del 1933 il progetto per la sede della Federazione fascista agricoltori di Cuneo, realizzata con l’ingegnere Vittorio Baudi di Selve; prima opera del M., progettata nella consapevolezza del nuovo linguaggio razionalista che tuttavia non mistifica l’eccentrica personalità del giovane architetto, incline ai riferimenti del multiforme avanguardismo del secondo Futurismo.
Il M. sperimentò un diverso approccio con l’architettura, in antitesi al modello paterno, e decisamente orientato verso inedite esperienze creative che dal design spaziano fino alla moda e, conseguenza naturale, alla fotografìa esercitata come mezzo creativo nel corposo repertorio di ritrattistica femminile oltre che come indispensabile strumento di lavoro e documentazione. Fondamentali in quel periodo furono i legami di amicizia con personalità quali M. Maccari, A. Galvano, C. Levi, C. Rama e I. Cremona, con il quale il M. collaborò alla stesura di progetti espositivi in cui si materializzò la ricerca espressiva di numerose architetture di interni (casa Miller, 1938; casa D’Errico, 1937; alloggi G. Devalle, 1938-39; alloggio Rivelli, 1941).
I primi anni della carriera professionale segnarono anche l’esordio dell’attività letteraria con il romanzo Vita di Oberon, pubblicato a puntate su Casabella fra il luglio e il novembre 1933 cui seguì L’amante del duca, pubblicato su II Selvaggio, fra l’agosto 1934 e il maggio 1936 (si veda l’elenco degli scritti del M. in C. M. …, 1989).
Manifestò nello stesso tempo interessi per l’aviazione e per la montagna, e il magistrale esercizio dello sport sciistico fu all’origine dello studio dei caratteri strutturali e tipologici dell’architettura rurale alpina, che gli permise di elaborare un approccio metodologico in grado di fondere le conoscenze professionali con la perfetta pratica sportiva.
La proposizione del corpo umano nella progettazione di arredi antropomorfi divenne inoltre il campo di sperimentazione di un inedito organicismo che si esplicitò nella progettazione di interni e nei tanti disegni di case ideali (casa in collina, 1942-43; camera da letto per una cascina in risaia, 1943; casa sull’altura, 1943-44; si veda F. Irace, C. M. e la «casa ideale» [1942-43], in C. M. architetto …, 2006, pp. 78-91) dove la riproposizione di stilemi riferibili al barocco e all’art nouveau, la voluta inclinazione per l’ambiguità percettiva, lo sdoppiamento dell’immagine, costituirono un’inedita sintassi nel dibattito architettonico italiano di metà Novecento la cui sintesi più eloquente è rappresentata dalla sede per la Società ippica torinese.
Il complesso, progettato in collaborazione con l’ingegnere Baudi di Selve, tra il 1937-40 (dopo il distacco dallo studio paterno), si sviluppava attorno a quattro fabbricati indipendenti. Originale espressione di un nuovo linguaggio all’interno dei paradigmi razionalisti, raggiunto attraverso parametri volumetrici, decorativi, cromatici, ottenuti dall’inedito impiego di materiali da rivestimento (laterizi smaltati, ceramica, graniglia colorata, intonaco, tavelloni a punta di diamante), fu demolito nel 1960.
L’organicismo eretico del M. si espresse ancor più nel disegno di mobili ed elementi di arredo, di stile esplicitamente riconoscibile, realizzati in relazione a specifici progetti; l’ottocentesca invenzione mitteleuropea del legno curvato si fece interprete di realizzazioni che, specie negli anni Cinquanta, rappresentarono il limite estremo della perizia costruttiva artigiana: strutture apparentemente svuotate dal peso della materia per divenire metafora di leggerezza tridimensionale, parimenti riscontrabile nelle architetture di montagna, come il rifugio capanna Kind, 1940; l’albergo in zona Cervinia; la cappella al Plateau Rosà, 1940-41; il centro sportivo Quota 2600, 1945-47; la casa del Sole a Cervinia, 1947-55; la casa per Luigi Cattaneo sull’altopiano di Agra, 1952-53, descritta come un «edificio che pare sul punto di spiccare il volo» (Tamagno, p. 17). Ma l’esempio più esplicito degli sviluppi di questa ricerca architettonica è offerto dalla stazione della slittovia del lago Nero che, con i suoi volumi dinamici, non a caso è stata definita come «uno degli edifici più tridimensionali dell’architettura italiana» (Kidder Smith).
Ancora per un ambiente di montagna progettò la stazione d’arrivo della funivia al Fürggen realizzata con molte varianti, non sempre approvate dall’autore, tra il 1950 e il 1953.
Nello stesso periodo il M. elaborava la propria ricerca progettuale sull’abitazione a tipologia unifamiliare: la «casa-capriata» o «casa triangolo», così detta poiché compresa tra le falde del tetto, suggestione ricorrente nella fantasia del M., che si manifestò nei disegni per alcune abitazioni di montagna quali la villa Carando a Sauze d’Oulx del 1947 e la variante per casa in montagna del progetto mini-modulo elaborato con G. Luisoni nel 1951 per il concorso Vetroflex-Domus (tipologia sviluppata poi in occasione della X Triennale del 1954).
Nel corso degli anni Cinquanta, inoltre, l’attenzione alla residenza collettiva si materializzava con la casa ad alloggi (1951-53) in viale Maternità, ad Aosta. Intanto in collaborazione con C. Bairati, lavorava al rifacimento dell’albergo Royal a Courmayeur (1952-53), esemplificazione del principio di unitarietà fra urbanistica e architettura, ratificato nelle diverse soluzioni analizzate, dall’accessibilità al complessivo rapporto con il sistema viario.
Padre dell’architettura bioclimatica in Italia, il M. fu pioniere nell’inedita ricerca verso l’efficienza energetica derivata dallo studio degli insediamenti storici e dalla valutazione dell’uso dei materiali edilizi, a conferma di un’attività professionale poliedrica alla quale, nel 1953, affiancò la docenza universitaria con il corso di composizione architettonica presso la facoltà di architettura del Politecnico di Torino, successivo a un periodo di insegnamento prima come professore incaricato di decorazione e poi di architettura di interni.
A quegli stessi anni risalgono i lavori per la ristrutturazione della sala dell’auditorium RAI, affidati al M. in collaborazione con Aldo Morbelli, dopo la selezione nel concorso a inviti.
Si tratta di una delle realizzazioni di maggiore sobrietà fra le sue progettazioni di interni, in cui il M. trasforma la pianta dodecagonale in pianta circolare che trova nella congiunzione tra platea e volta il nodo progettuale (Tamagno).
È ancora a quel periodo che si deve ricondurre l’attenzione particolare che il M. dedicò alla progettazione di mobili, ad esempio nelle realizzazioni per il negozio Singer (1950) e per la casa editrice Lattes (1951-54) a Torino oltre al progetto di ambiente pranzo-soggiorno per la mostra itinerante in 12 musei statunitensi Italy at Work. Renaissance in design today (F. Irace, in C. M. …, 1989, pp. 224-229, 241).
La morte del padre, nel 1953, costituì un’assenza traumatica per l’attività professionale che, negli anni immediatamente successivi, sostituisce all’edilizia realizzazioni più effimere come l’allestimento di numerosi stand espositivi, la progettazione delle automobili da corsa Osca e Bisiluro (1955) e del pullman Nube d’argento per l’Agip.
Nel 1960 gli fu dedicata una mostra personale alla XII Triennale di Milano; a questo prestigioso riconoscimento seguirono la ricostruzione, operata tra il 1963 e il 1965, della baita Taleuc per la famiglia Garelli a Champoluc e il progetto con C. Graffi, A. Galardi, A. Migliasso per il palazzo degli Affari, sede della Camera di commercio di Torino (1964-72), in cui confermò ancora una volta la predilezione per l’idea della struttura sospesa, combinazione fra un volume leggero ancorato a uno zoccolo massiccio, adottata anche per i successivi concorsi per il Centro direzionale Fiat a Candiolo (1973) e per la sede dell’Azienda tramvie municipali a Torino.
Il progetto sottolinea l’idea iniziale che vede la collocazione di un edificio moderno in un contesto storico come il centro di Torino: due edifici distinti, il palazzo vero e proprio, a cinque piani fuori terra, e un secondo corpo di fabbrica, a quattro, concepito come corpo d’isolamento col cortile retrostante, ambedue collegati da una passerella metallica successivamente sostituita per le normative antincendio. Elemento difforme nell’estetica comune degli edifici pubblici degli anni Sessanta, l’edificio esprime un suo «idiosincratico gusto per il valore decorativo delle superfici da rivestimento» (Irace, 2003, p. 1703) confermando la difficoltà del progettista a uniformarsi a modelli interpretativi correnti anche attraverso risoluzioni architettoniche caratterizzanti come le pareti di tamponamento che derivano i propri elementi modulari esterni dalle costruzioni aeronautiche.
Analogamente il nuovo teatro Regio (1965-73) conclude e riassume la vicenda umana e professionale del M. attraverso la proposizione di una sintassi «ambigua e polimorfa» (Tamagno, p. 20) che lascia percepire la totalità delle sue esperienze professionali in un eccentrico confronto fra nuovo e preesistenze monumentali.
In questa sintesi finale il M. presentò una catalogazione di forme e tipologie sovvertendo lo spazio statico tradizionale come il foyer a più livelli, il perimetro della sala, la presenza di rampe a sbalzo e passerelle aeree e modificando il volume interno anche attraverso l’adozione di elementi volutamente disarmonici come le scale mobili, nella dichiarata volontà di ratificare un’architettura libera da schemi normativi e convenzionali che ha caratterizzato la ricerca, geniale e solitaria del M., un autentico protagonista dell’architettura del XX secolo.
Il M. morì a Torino il 27 ag. 1973.
Presso la Biblioteca centrale di architettura del Politecnico di Torino si conserva l’archivio professionale del Mollino.
Fonti e Bibl.: G. Pagano, La nuova sede della Società ippica torinese, in Costruzioni Casabella, 1941, n. 157, pp. 14-17; A. Melis, La sede della Società ippica a Torino, in L’Architettura italiana, XXXVI 1941, 2, pp. 45-62; Station du ski au Lac Noir, in L’Architecture d’aujourd’hui, 1948, n. 21, pp. 69-72; Across the seas collaboration for the new Singer collection: furniture design, in Interiors, 1951, n. 11, pp. 120-129; G.E. Kidder Smith, L’Italia costruisce: Italy builds, Milano 1955, p. 188; L. Mosso, Un’opera perduta: l’Ippica di M., in Comunità, XIV (1960), 80, pp. 70-80; B. Marziano, II nuovo Regio di Torino, in Torino, 1970, nn. 5-6, pp. 89-95; A. Galvano, C. M. e il nuovo Regio, in Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e architetti in Torino, 1973, nn. 9-10, pp. 149-160; R. Gabetti, Sul lago, una casa di C. M., in Abitare, 1984, n. 230, pp. 50-59; C. M. 1905-1973 (catal., Torino), Milano 1989; B. Reichlin, M. sulle Alpi, in Casabella, 1994, n. 588, pp. 30 s.; E. Tamagno, C. M.: esuberanze soft, Torino 1996; G. Brino, C. M.: architettura come autobiografia, Milano 2005; C. Chiorino - R. D’Attorre - L. Milan, I luoghi di C. M., Milano 2006; C. M. architetto, 1905-1973: costruire la modernità, (catal. Torino), a cura di S. Pace, Milano 2006; M. Ternavasio, C. M., Torino 2008; F. Valensise, Eugenio Mollino: progetti in Calabria (1910-1931), Roma 2010; G. Varaldo, in Enciclopedia dell’architettura moderna, pp. 227-229; M. Fagiolo, in Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, IV, pp. 117 s.; F. Irace, in Dizionario dell’architettura del XX secolo, pp. 1699-1703.