MEZZACAPO, Carlo
– Nacque a Capua il 9 nov. 1817, terzogenito di quattro fratelli, da Amalia Del Re e Gaetano, di famiglia dal passato ragguardevole ma a quel momento di modeste condizioni.
Il padre, colonnello di artiglieria, aveva seguito nel 1806 il re Ferdinando IV di Borbone in Sicilia e vedeva nel mestiere militare, per sé e per la famiglia, l’unica risorsa per estinguere l’ingente mole di debiti contratta dal proprio fratello Francesco. Particolarmente intenso e stretto si dimostrò nel corso degli anni il legame tra il M. e il fratello maggiore Luigi, tanto che si scrisse di loro «quantunque di abitudini e di gusti diversi, si potevano considerare due corpi con un’anima sola» (Pesci, p. 263).
Luigi (Trapani, 25 genn. 1814 - Roma, 27 genn. 1885) percorse anch’egli la carriera militare, con notevole successo, ed ebbe probabilmente personalità più netta e decisa di quella del M.; si scontrò, tuttavia con un maggior numero di avversari ed ebbe, infine, una minore fortuna postuma.
Alla fine del 1829, come figlio di militare, il M. poté essere avviato alla carriera delle armi, con l’iscrizione alla Reale Accademia militare della Nunziatella (dove Luigi avrebbe conseguito il grado di alfiere nel 1832, passando primo tenente nel 1838 e capitano nel 1847); il M., alfiere d’artiglieria nel gennaio 1836, fu inviato in Sicilia, ma già alla fine del 1837 tornava a Napoli presso il 2° reggimento artiglieria La Regina, transitando, l’anno dopo, nel 1°; nel 1838 fu nominato tenente, quindi, nel 1841, primo tenente. Fu presto evidente che egli non era insensibile ai fermenti rinnovatori che allignavano nella capitale del Regno borbonico e persino nella roccaforte del sistema repressivo napoletano, appunto l’esercito; il M., militare di artiglieria, l’«arma dotta», fu scelto, per partecipare ufficialmente all’VIII congresso degli scienziati italiani a Napoli (settembre 1845).
Certo conoscendo le sue propensioni (e ancora più accentuate erano quelle di Luigi), nella primavera del 1848 il ministero della Guerra del governo costituzionale di C. Troya da Napoli lo inviò in Piemonte per comunicare a Carlo Alberto di Savoia l’offerta della collaborazione militare napoletana. Per concretare quell’offerta, il M. si recò in seguito a Bologna, dal comandante del corpo di spedizione napoletano Guglielmo Pepe, ma vi giunse quando da Napoli Ferdinando II di Borbone era rapidamente tornato sui propri passi, mentre ufficiali e soldati napoletani, già al fronte, tumultuavano per non abbandonare il campo della lotta nazionale e andare anzi al Po a combattere con Pepe. Il M. condivise questa scelta, imprimendo così una svolta radicale alla propria vita: i successivi diciassette mesi, da quel maggio 1848 sino al settembre 1849, segnarono indelebilmente il M., che si trovò a combattere per l’Italia.
Per incarico di Pepe, andò ad Ancona onde facilitare l’afflusso delle truppe napoletane. Soprattutto, promosso nel luglio 1848 capitano d’artiglieria (non più quindi dal ministero borbonico ma dalla «rivoluzione») fu a Venezia dove, nel gennaio 1849, venne nominato comandante della divisione d’artiglieria a Marghera e della 2ª compagnia Bandiera e Moro con i gradi prima di maggiore dell’artiglieria veneta di terra (gennaio) e poi di tenente colonnello, comandante della legione Bandiera e Moro (20 giugno).
Una settimana dopo la capitolazione di Venezia (22 ag. 1849) il M. lasciò la città e si recò a Genova, dove altri patrioti, democratici e mazziniani, si stavano dirigendo; lo precedeva la fama del fratello Luigi, che nel frattempo aveva conquistato una posizione di primo piano fra i militari napoletani passati alla causa nazionale.
Luigi, avendo anch’egli scelto di appoggiare la rivoluzione nazionale e anch’egli a Venezia, divenne, nell’agosto, membro del Consiglio di difesa della città; quindi, in dicembre, si unì all’esercito della Repubblica Romana e a Roma, nel successivo febbraio 1849, divenne sostituto del ministro della Guerra; fu poi promosso colonnello e, alla fine di giugno, maggior generale. Esulato a Malta dopo la caduta della Repubblica, aveva raggiunto successivamente Genova per ricongiungersi con il Mezzacapo.
Il M., esule politico, continuò a coltivare aspettative nazionali, guardando a soluzioni forse di tipo murattiano, certamente democratiche, forse anche mazziniane, mentre, con il tempo, le posizioni contrastanti di conservatori e liberali, piemontesi e napoletani, confluivano, e in qualche modo si qualificavano, per i due fratelli, in quelle di Destra e Sinistra. Nel 1853, trasferitisi da Genova a Torino, i due entrarono in stretto contatto con il circolo del conterraneo P.S. Mancini; non persero, comunque, la propria identità di militari, ambito in cui volevano e sentivano di poter dare un contributo alla causa nazionale.
Non potendo, al momento, esercitare un ruolo attivo, si dedicarono a elaborare un contributo di idee e di riflessioni sulla materia militare: nel 1850 fondarono la Biblioteca militare per la gioventù italiana che si dedica alle armi; dal 1853 il M. prese a collaborare con una certa regolarità a Il Diritto; dal 1856 pubblicò, insieme con Luigi, la Rivista militare italiana e, a doppia firma, apparve nel 1859 Studi topografici e strategici su l’Italia (Milano), un importante trattato di politica militare.
Nel gennaio 1859 il M., insieme con il fratello e altri ufficiali esuli, firmò la lettera con cui tutti i sottoscrittori si mettevano a disposizione del re di Sardegna Vittorio Emanuele II nella campagna militare che si stava aprendo. Fra 1859 e 1861 partecipò quindi attivamente alle operazioni militari.
Tenente colonnello (dal 6 maggio 1859), fu capo di stato maggiore nel II corpo dell’Italia centrale dell’esercito volontario in Toscana, noto anche come divisione delle Romagne o divisione Mezzacapo – di cui era comandante Luigi (maggior generale nell’aprile 1859, poi tenente generale in giugno) –, destinato a raccogliere i volontari dello Stato pontificio e a portarli a Bologna, che in giugno si era sollevata. Quando in agosto, dopo l’armistizio di Villafranca, arrivò a Modena il generale M. Fanti, incaricato dal ministero sardo di far transitare velocemente quello che era diventato l’esercito della Lega nei ranghi dell’esercito regolare, il M., nominato capo di stato maggiore dell’esercito della Lega, dalla fine di settembre affiancò Fanti a Bologna e di fatto, tra la fine del 1859 e l’inizio del 1860, lo sostituì in quello specifico incarico, presiedendo alla fusione delle due strutture.
Come ufficiale dell’esercito sardo il M., dopo alcuni incarichi non di primo piano, fu promosso colonnello e prese parte alla campagna meridionale con E. Cialdini partecipando ai combattimenti di Mola di Gaeta (2 novembre). Entrò a Napoli con Fanti (7 novembre) e il 15 ottobre ebbe le spalline di maggior generale.
A compimento di questo periodo che si chiudeva con la proclamazione del Regno d’Italia, il M. e il fratello facevano ormai parte dell’élite militare nazionale, ma come in precedenza quali patrioti e militari avevano fatto esperienza degli aspetti più chiusi e retrivi del vecchio Regno borbonico e del suo esercito, ora da combattenti volontari fecero diretta esperienza anche delle chiusure dell’esercito sardo, per la riforma intellettuale del quale si erano ambedue spesi nel decennio di preparazione.
Il M. – che nel frattempo aveva tenuto incarichi di comando fra Ancona, Rimini e Forlì ed era stato nominato tenente generale ai primi del 1864 – allo scoppiare della guerra del 1866 si trovò a capo della 13ª divisione sotto Cialdini con la quale, nel luglio, passò il Po, poi l’Adige e il Brenta portandosi infine sino a Venezia (22 luglio). In seguito ebbe comandi territoriali a Venezia, Alessandria, Bologna e Napoli.
A Bologna incappò nei moti per la tassa sul macinato e nelle effervescenze rivoluzionarie delle campagne e delle città della Romagna; a Napoli, come comandante del locale corpo d’armata, dovette fronteggiare l’epidemia di colera e il terremoto di Casamicciola.
Con il trascorrere degli anni il M. aveva assunto posizioni politiche progressivamente più moderate, avvicinandosi a quelle di M. Minghetti; di fatto sosteneva di non avere una posizione politica precisa ma di tenere solo – da militare – alla saldezza delle istituzioni di quello Stato liberale che sentiva di aver contribuito a far nascere. Si candidò, ma con poca fortuna, nelle file della Sinistra moderata a Portogruaro e San Donà, nel 1870, e poi a Napoli nel 1874; fu infine nominato senatore nel 1876.
Nel frattempo aveva contratto un secondo matrimonio con Maria Persico (6 marzo 1870), dopo che la prima moglie Enrichetta di Ercole Gaddi (sposata il 5 ott. 1863) era morta nel 1869.
Nel giugno 1886, mentre appunto era di stanza a Napoli, fu esonerato dal comando attivo, «per avanzata età», dal ministro della Guerra C. Ricotti Magnani, con cui aveva avuto numerosi scontri in Senato pronunciandosi contro le economie imposte ai bilanci militari e mostrandosi insoddisfatto della politica coloniale del paese.
Il M. svolse in seguito le funzioni di presidente del Tribunale supremo militare e fece parte di numerose commissioni senatoriali, intervenendo ancora sulla stampa (un suo articolo nella Nuova Antologia, L’Eritrea e i suoi confini, 1° dic. 1897, su Adua e contro la politica espansionistica fece scalpore); ma oramai la politica militare seguiva linee e programmi ispirati a un accentuato nazionalismo le cui logiche risultavano al M. incomprensibili, e forse anche inaccettabili.
Definitivamente collocato a riposo nel 1896, il M. morì a Roma il 26 luglio 1905.
Anche la carriera militare e politica di Luigi proseguì attivamente dopo l’Unità: ebbe alcuni incarichi minori, ma nel settembre 1864 fu designato al significativo ruolo di presidente del Consiglio superiore per gli istituti d’educazione militare; dopo la guerra del 1866, cui non poté partecipare per una malattia, dal dicembre 1867 fu ispettore per gli istituti militari; a dicembre 1868 fungeva da comandante della prestigiosa piazza di Firenze. Nel 1870 fu nominato senatore e in Senato seguì criticamente e da vicino le riforme militari introdotte dai governi della Destra, in particolare dal ministro Ricotti Magnani, per trasformare il vecchio «esercito di caserma» in un grosso esercito di mobilitazione. Nel 1876, in seguito alla «rivoluzione parlamentare», chiamato da A. Depretis a ricoprire l’incarico di ministro della Guerra – primo militare non piemontese, con l’eccezione di Fanti, e soprattutto primo meridionale a occupare tale ruolo –, le critiche precedentemente portate alla gestione Ricotti Magnani divennero il programma dei suoi due successivi ministeri (25 marzo 1876 - 24 marzo 1878). In anni in cui si andavano diffondendo timori di rottura della pace in Europa, un conflitto armato, secondo Luigi, avrebbe colto lo Stato, e in particolare lo strumento militare italiano appena riformato, in una crisi di impreparazione, egli pensò quindi soprattutto alla «preparazione guerresca» (Minniti, 1983, p. 355) accantonando la gradualità e la «lesina» del precedente ministero. Fu pronto a intervenire sulla stampa, facendo uscire la politica militare dall’ambito ristretto degli alti comandi e cercò di ridurre il peso delle camarille interne al ministero; pur mirando in sostanza a completare l’ordinamento militare impostato dalla Destra, ampliandolo nonostante la scarsità dei fondi, sembrò volerlo trasformare radicalmente. Il suo operato infastidì l’establishment militare più tradizionalista come anche, nel 1877, infastidì la scelta di pensionare alcuni vecchi ufficiali, per la verità soprattutto di Destra e piemontesi: una politica del personale per la quale fu coniata la definizione di «vendetta della Nunziatella». Chiusa la parentesi ministeriale trascorse gli ultimi anni a Roma.
Fonti e Bibl.: U. Pesci, Il generale C. M. e il suo tempo. Da appunti autobiografici e da lettere e documenti inediti, Bologna 1908; G. Ferrarelli, Memorie militari del Mezzogiorno d’Italia, Bari 1911, pp. 169-226; L. Pelloux, Quelques souvenirs de ma vie, a cura di G. Manacorda, Roma 1967, pp. 96-100; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, ad ind.; G. Rochat - G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino 1978, ad ind.; V. Gallinari, Le riforme militari di Cesare Ricotti, in Memorie storiche militari, II (1978), pp. 11-34; Id., La politica militare della Sinistra storica (1876-1887), ibid., III (1980), pp. 69-90; F. Minniti, Il secondo piano generale delle fortificazioni. Studio e progetti (1880-1885), ibid., pp. 91-120; Id., Politica militare e politica estera nella Triplice alleanza. Dietro le trattative del 1882, ibid., 1981, pp. 117-188; F. Venturini, Militari e politici nell’Italia umbertina, in Storia contemporanea, 1982, n. 2, pp. 167-250; F. Minniti, Il programma militare di Luigi Mezzacapo, in Memorie storiche militari, 1983, pp. 353-376; Id., Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice alleanza, Roma 1984, ad ind.; N. Labanca, Il generale Cesare Ricotti e la politica militare italiana (1884-1887), Roma 1986, pp. 75-77, 89 s., 105 s.; S. Loi Zedda, I generali Luigi e C. Mezzacapo e il loro tempo. Studi e testimonianze, Cagliari 1990; A.M. Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento. La partecipazione alla guerra del 1859, Roma 1990, pp. 183-186; J. Gooch, Esercito, Stato, società in Italia (1870-1915), Milano 1994, ad ind.; M. Montanari, Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, I, Il periodo risorgimentale, Roma 1996, pp. 283, 406, 409, 420.
N. Labanca