MAGGI, Carlo Maria
Nacque a Milano il 3 maggio 1630 da Giovanni Battista, di un'antica famiglia della borghesia milanese, e Angela Riva.
L'anno di nascita del M. fu segnato da un avvenimento tristemente noto: la terribile e famosa pestilenza immortalata da A. Manzoni nei Promessi sposi, che spopolò la città di Milano. Il M. trovò scampo dal contagio insieme con i genitori nella tenuta di famiglia a Lesmo, in Brianza. A Milano condusse gli studi nel collegio gesuita di Brera; a 17 anni, pur restando legato agli ambienti in cui si era formato, assecondò il desiderio paterno e si iscrisse alla facoltà di diritto dell'Università di Bologna, dove nel 1649 conseguì la laurea in utroque, non appassionandosi mai, tuttavia, alle discipline giuridiche, nonostante gli eccellenti risultati raggiunti.
Tornato a Milano, riprese a frequentare la scuola di Brera e concorse al posto di segretario della città, ma l'incarico gli venne negato per via della giovane età. Intraprese allora un lungo periodo di viaggi, con l'intento di ampliare le sue conoscenze e migliorare la sua cultura: fu a Roma, a Firenze, a Napoli e a Venezia. Di nuovo a Milano, conobbe e sposò il 14 sett. 1656 Anna Maria Monticelli, che gli avrebbe dato undici figli. Tra questi Michele, che gli succedette nell'incarico di segretario del Senato e nella cattedra di pubblico lettore; Giovanni Battista, che fu gesuita; e Rosa, monaca nell'Ordine delle suore celestine e scrittrice. Con la famiglia si stabilì in una dimora in via Olmetto n. 10, dove condusse una vita tranquilla e serena, allontanandosi da Milano solo per la villeggiatura, trascorsa per lo più nelle tenute familiari di Lesmo e Abbiategrasso.
L'ingegno e l'amabilità delle maniere gli consentirono di entrare in familiarità con gli ambienti dell'aristocrazia e stringere legami con personaggi influenti: frequentò, tra gli altri, Francesco de Lemene, il cavaliere romano Stefano Pignatelli, il conte Luigi Valle, ma soprattutto stabilì un durevole rapporto con i conti Vitaliano Borromeo e Bartolomeo Arese. Borromeo condivise con il M. la passione per la poesia, per il teatro, per la filosofia morale e in particolar modo per le dottrine platoniche; mentre Arese, presidente del Senato e maggiormente introdotto nella vita politica milanese, gli procurò nel 1661 l'incarico di segretario patrio.
Per cinque anni il M. prestò opera gratuita presso il Senato, adempiendo ai compiti dei segretari più anziani, e infine - a seguito della morte del segretario Giovanni Giacomo Ivagnes -, con decreto del 12 luglio 1666, cominciò a godere degli onori e degli emolumenti spettanti al titolo ufficiale, che tenne fino agli ultimi giorni della sua vita. Svolse il suo ufficio con competenza e onestà, tanto che, oltre all'ordinaria segreteria, gli fu assegnata dal Senato la cura dei confini del Ducato. La conoscenza delle lingue e letterature classiche e dell'ebraico, che con studio assiduo si era intanto procurata, gli fece ottenere anche la cattedra di eloquenza latina e greca nelle Scuole palatine, prima, nel 1664, in qualità di supplente e poi, a seguito della morte di Orazio Landi, come titolare. Nel 1671 si assicurò anche la soprintendenza delle Scuole stesse e dell'Università di Pavia, incarico che mantenne fino al 1689.
Nonostante l'occupazione nei molti affari pubblici, il M. non abbandonò la passione per gli studi letterari. Fin dalla fine degli anni Cinquanta si appassionò alla vita dello spettacolo milanese e sperimentò un'ampia gamma di generi teatrali, divenendo un punto di riferimento importante della drammaturgia cittadina. La maggior parte dei testi drammatici del M. fu composta per V. Borromeo e messa in scena nella villa di questi all'Isola Bella, per poi approdare, tra gli anni Settanta e Ottanta, sul palcoscenico del teatro ducale di Milano, dove ottenne il plauso del pubblico cittadino.
La prima notizia certa dell'attività teatrale del M. risale al luglio 1659. Si tratta di una lettera dell'amico Fabri Bremondrani, che lo esorta a pubblicare due tragicommedie: La Procri e La Griselda di Saluzzo. Della prima, che non risulta essere stata mai pubblicata, si conservano una versione manoscritta nella Biblioteca Arese Lucini di Osnago e una trascrizione parziale di L.A. Muratori nella copia di preparazione all'edizione delle Rime (Modena, Biblioteca Estense universitaria, Archivio Muratoriano). La seconda, ispirata alla Griselda boccacciana e commissionata da Arese, venne pubblicata nella raccolta poetica del M. curata da Muratori (Rime varie, III, pp. 345-407), ma Porro ne segnala una versione differente in un codice manoscritto della Biblioteca Trivulziana.
Maggiore notorietà e risonanza ebbe La Lucrina, favola pastorale per musica commissionata da Arese in occasione del passaggio a Milano di Margherita Teresa, figlia di Filippo IV di Spagna, che andava sposa all'imperatore Leopoldo I d'Asburgo a Vienna, e rappresentata, come evento del complesso programma festivo dedicato alla sovrana, il 27 sett. 1666 (poi in Rime varie, IV, pp. 397-426). Allo stesso anno risalirebbe la composizione della commedia per musica L'Irene di Salerno, scritta per Borromeo e probabilmente messa in scena durante la villeggiatura del 1666 nel teatro delle commedie dell'Isola Bella; del 1668 sono la composizione e la rappresentazione del libretto Ben venga maggio, overo La ninfa guerriera.
Nel 1669 e nel 1670 il M. scrisse per Borromeo altri testi per musica, caratterizzati da una spiccata componente comica e dalla satira pungente dei costumi sociali: La Bianca di Castiglia (due copie manoscritte sono conservate nell'Archivio Borromeo dell'Isola Bella, con segnatura FM, FS, Frammenti 600 e 700, Libretti e canovacci; il prologo della Bianca di Castiglia recitato all'Isola è in Rime varie, IV, pp. 193-196) e la Gratitudine umana (ibid., pp. 311-396).
Al 1672 risalirebbe il primo libretto scritto dal M. per il teatro Ducale di Milano Il trionfo d'Augusto in Egitto, mentre L'Ippolita, reina delle Amazzoni, per lungo tempo attribuitagli, sarebbe opera di Giovanni Rabbia (Carpani, 1995, pp. 345 s.). Con il Trionfo si inaugurò così la partecipazione del M. alla stagione operistica della città, alla quale egli avrebbe concorso con successo fino al 1681, selezionando i testi da rappresentare, rimaneggiando opere altrui e riproponendo le creazioni teatrali già elaborate per l'Isola Bella: La Bianca di Castiglia debuttò nel 1674 (poi nel 1676); nel 1675 fu rappresentato Affari ed amori, messo in scena con il nuovo titolo di Gratitudine umana.
Dopo il 1681 le testimonianze sull'attività drammatica del M. si interrompono per diversi anni, in quanto il poeta fu tutto impegnato nella prima edizione delle Rime, con cui diede una svolta decisiva alla produzione lirica alla quale si era votato dagli anni giovanili. La raccolta uscì a Firenze nel 1688 con il titolo Rime varie, dopo un lavoro di scelta e di revisione durato circa due anni, al quale concorsero il gesuita Paolo Segneri - che, dopo essere stato in contatto epistolare con il M. per molti anni, si recò a Milano per conoscerlo e convincerlo a dare alle stampe le sue liriche sacre - e Francesco Redi. Questi era legato da profonda amicizia al M., che aveva dedicato un sonetto al ritratto dello stesso Redi, ricevendone in cambio un elogio nel Bacco in Toscana (consistente lo scambio epistolare tra i due dal 1681 al 1684: 29 lettere del M. a Redi, conservate nel fondo Redi, 206 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, sono pubblicate in Appendice al volume di Gorio).
Abbandonato lo stile gonfio e scolastico dei primi esercizi, il M. mostrò di voler asservire lo stile a una fedele trascrizione della verità, improntando i suoi componimenti a un'apparente incuria, frutto, invece, di una precisa ricerca di semplicità e naturalezza. I 149 componimenti inclusi nella raccolta edita dal M. sono accomunati dall'argomento morale, esplicitato fin dalla dedica a padre Tirso González, preposto generale della Compagnia di Gesù, con cui il M. esprime un pubblico omaggio ai gesuiti, riconoscendo loro il merito di averlo sottratto ai soggetti pericolosi e di averlo introdotto alla conoscenza della verità. La raccolta può considerarsi la vicenda di un'anima nel suo rapporto con Dio, segnato da un altalenante susseguirsi di traviamenti, pentimenti e conversioni fino a un conclusivo abbandono alla volontà divina: una sorta di progressiva educazione alle diverse modalità dell'"Amor Santo" (Proemio, v. 53), avvertito come superiore a quegli amori terreni a cui il poeta si pente di aver accondisceso.
Alla prima edizione delle Rime varie seguirono altre pubblicazioni accresciute sempre con il medesimo titolo: Torino 1688, Milano 1688, Bologna 1689 e 1696. Un'edizione più completa venne curata postuma da Muratori (Rime varie di Carlo Maria Maggi, sacre, morali, eroiche, Milano 1700, in 4 Tomi); a essa seguirono le Poesie varie del signor segretario Carlo Maria Maggi, seconda impressione con nuove aggiunte (I-III, Venezia 1708), che arricchirono l'edizione muratoriana di componimenti nuovi e notevoli varianti. Un successivo contributo fu poi dato da A. Cipollini che, a seguito di approfonditi studi sui manoscritti maggeschi, pubblicò una Scelta di poesie e di prose (Milano 1900), che contiene anche documenti inediti.
La pubblicazione delle Rime accrebbe la fama del M. e gli consentì di porsi al centro delle attività letterarie milanesi, di cui divenne anche importante promotore aprendo la sua casa agli incontri degli intellettuali del tempo. Numerose accademie italiane lo accolsero tra le loro fila: membro dell'Accademia della Crusca dal 1683 e dell'Arcadia, nella quale assunse il nome di Nicio Meneladio, ottenne riconoscimenti anche dall'Accademia dei Faticosi di Milano, dei Concordi di Ravenna, degli Intronati di Siena, degli Olimpici di Vicenza, dei Filergiti di Forlì, dei Ricoverati di Padova, degli Incitati di Faenza, dei Gelidi e degli Accesi di Bologna. Si procurò, inoltre, una tale notorietà nel circolo culturale romano che la stessa regina Cristina di Svezia giunse a copiare i suoi versi e gli scrisse più volte, invitandolo a compiere un viaggio a Roma, promettendogli di nominarlo suo accademico reale.
Intorno al 1690 il M. riprese a occuparsi di scrittura teatrale. Compose per il palcoscenico gesuitico del collegio dei nobili l'opera sacra La Teopiste e Il ritorno d'Asoto, ossia Rappresentazione sacra del figliuol prodigo (pubblicate da Muratori nell'edizione delle Rime varie); si dedicò inoltre alla traduzione dei classici: tradusse parti de Le Troadi di Seneca, de L'Ifigenia di Euripide e dell'Aulularia di Plauto. Fu in questi anni che nella sua opera si realizzò una svolta decisiva verso una precisa attitudine drammaturgica e poetica: l'individuazione nel dialetto come lingua più consona alla espressione veritiera di contenuti quotidiani. Tale scelta linguistica non costituì un esercizio condotto in margine alla poesia maggiore, o una sorta di distrazione rispetto alla produzione più seria e ufficiale, quanto piuttosto il risultato di una precisa consapevolezza di intenti, che finì per coinvolgere in modo esclusivo l'attività letteraria dell'ultimo decennio di vita del Maggi.
Le rime scritte tra il 1690 e il 1699, per lo più in occasione di matrimoni e battesimi, o in forma di epistole dirette ai familiari, puntano alla descrizione della vita di casa, esaltano l'idillio borghese e il gusto della semplicità: il dialetto - distinguibile nel milanese popolare e nel milanese della borghesia, quello che presumibilmente parlava lo stesso scrittore - diventa così uno strumento adatto a comprendere e rappresentare un mondo semplice, depurato dai vezzi della cultura in lingua. Analogamente i testi teatrali - individuabili, secondo la cronologia ricostruita da Isella, come segue: Il manco male, 1695; Il barone di Birbanza, 1696; I consigli di Meneghino, 1697; Il falso filosofo, 1698; l'atto unico Il concorso de' Meneghini, 1698-99 - sono caratterizzati dalla rappresentazione della vita quotidiana. Come soggetti per le sue commedie, che risentono del modello cinquecentesco, non senza qualche influenza di Molière e del teatro gesuitico spagnolo, il M. scelse infatti avvenimenti semplici e realistici, evitando gli intrecci intricati e l'unione di molti accidenti, in quanto poco confacenti a una prioritaria esigenza di verosimiglianza. Dalla vita cittadina contemporanea prendono corpo anche quelle macchiette e quei caratteri più originali delle commedie; tra i quali si distingue Meneghino, atto a incarnare, con la sua saggezza naturale di uomo onesto, la voce stessa dell'autore. Quanto all'uso linguistico, il M. non si limita al dialetto milanese, ma ricorre al poliglottismo nel Barone di Birbanza; mentre, nei più maturi Consigli di Meneghino, nel Falso filosofo e nel Concorso de' Meneghini, caratterizza la lingua dei personaggi sulla base della loro condizione sociale, così da differenziare l'italiano, il milanese italianizzato proprio del parlare corrente della borghesia e il milanese in accezione popolare.
Nonostante il successo ottenuto, gli scritti dialettali non furono mai dati alle stampe dall'autore: le quattro edizioni settecentesche - due stampate a Venezia, probabilmente con falsa indicazione, nel 1700-01 e nel 1708; e due a Milano nel 1701 e nel 1711 - contenenti il repertorio teatrale e 35 poesie milanesi sono postume; una successiva ristampa risale al 1816, quando, F. Cherubini si propose di dare ordine alle opere dialettali del M. nei due tomi di Opere di Carlo Maria Maggi inseriti nella Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese, ma si devono attendere gli studi novecenteschi di Isella per una edizione critica autorevole (Il teatro milanese, Torino 1964; Le rime milanesi, Parma 1994).
Nell'aprile 1699 il M. si ammalò di pleurite e morì nella notte tra il 22 e il 23; fu seppellito nella basilica di S. Nazzaro.
Fonti e Bibl.: L.A. Muratori, Vita di C.M. M., Milano 1700; G. Porro, Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana, Torino 1884, p. 230 n. 999; M. Gorio, Un poeta milanese del '600: C.M. M., Parma 1922; E. De Marchi, C.M. M.: saggio critico, Milano 1930; L. Medici - G.A. Maggi, La vita e l'opera di C.M. M. poeta meneghino, Milano 1930; A.M. Pizzagalli, C.M. M. e la vita milanese del Seicento, in Riv. italiana di letteratura dialettale, VI (1934), pp. 96-102; M. Capucci, Lettura del M. lirico, in Studi secenteschi, III (1962), pp. 65-87; C. Di Biase, C.M. M.: poeta morale, in Id., Arcadia edificante, Napoli 1969, pp. 431-526; E. Foglio, Otto poesie inedite in lingua di C.M. M., in Studi secenteschi, XVII (1976), pp. 161-170; Id., Sonetti religiosi inediti di C.M. M., in Riv. di storia e letteratura religiosa, XIII (1977), pp. 495-533; G. Palen Pierce, Evidence of transition in the early works of C.M. M.: the melodramas, in Canadian Journal of Italian studies, III (1980), pp. 193-222; D. Isella, I lombardi in rivolta: da C.M. M. a Carlo Emilio Gadda, Torino 1984, pp. 3-26; R. Carpani, La storia santa. Il libretto di "Il trionfo d'Augusto in Egitto" di C.M. M., in La scena della gloria. Drammaturgia e spettacolo a Milano in età spagnola, a cura di A. Cascetta - R. Carpani, Milano 1995, pp. 329-377; L. Sirch, "Qui si recita un'opra cantata". La partitura manoscritta del "Trionpho di Cesare", ibid., pp. 379-442; E. Boggio, Il manoscritto musicale [Isola Bella, Arch. Borromeo, FM.MS, Adespoti XVII: autografo de Il Trionpho di Cesare], ibid., pp. 451-455; D. Isella, "L'è pur la mala cossa ess servitor": un prologo milanese del Seicento, in "Feconde venner le carte". Studi in onore di Ottavio Besomi, a cura di T. Crivelli, Bellinzona 1997, pp. 419-428; D. Zardin, C.M. M. e la tradizione culturale milanese tra Sei e Settecento, in Annali di storia moderna e contemporanea, III (1997), 3, pp. 9-50; R. Carpani, Drammaturgia del comico: i libretti per musica di C.M. M. nei "theatri di Lombardia", Milano 1998; P. Frare, La sincerità degli affetti: sulle Rime varie di C.M. M., in Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica, XXVI (1998), 36, pp. 45-74; G. Mazzocchi, I Trattenimenti del padre Guilloré e di C.M. M. e la "Dama del giorno", in Interpretazioni e letture del "Giorno", a cura di G. Barbarisi - E. Esposito, Bologna 1998, pp. 251-273; C.M. M. e la Milano di fine '600 nelle Commedie e nelle Rime. Itinerario antologico. Detti, sentenze, proverbi, fonti. Testo originale, milanese moderno, italiano a fronte. Centenario della morte 1699-1999, Milano 1999; Sul Tesin piantaro i tuoi laureti. Poesia e vita letteraria nella Lombardia spagnola, 1535-1706 (catal., 2001), Pavia 2002, pp. 308-331.