MANFREDI, Carlo
Nacque nel 1439 da Astorgio (II) e da Giovanna Vestri di Ludovico conte di Cunio, primogenito di quattro fratelli e due sorelle. Fu il secondo signore di Faenza con questo nome e conte di Val di Lamone.
L'ordine degli eredi nel testamento di Astorgio ha fatto discutere sulla reale primogenitura del M., poiché l'atto nomina per primo il protonotario apostolico Federico, seguito dal M., da Galeotto e da Lancillotto; al contrario, il testamento della madre (3 sett. 1468) elenca i figli maschi ponendo il M. per primo, seguito da Galeotto, Federico e Lancillotto. Probabilmente il rispetto del padre per la qualifica ecclesiastica di Federico impose quell'ordine: in realtà le date di nascita dei fratelli sembrano essere il 1439 per il M., il 1440 per Galeotto; di Federico e Lancillotto, più giovani, non si hanno indizi precisi.
Astorgio era vicario apostolico di Faenza e conte di Val di Lamone insieme con i fratelli Guido Antonio e Gian Galeazzo. I Manfredi avevano da una generazione riconquistato il controllo della città avita e del suo territorio, che gestivano collegialmente. Nel 1439 il ramo che faceva capo a Guido Antonio avrebbe ricevuto da Filippo Maria Visconti la signoria su Imola, destinata a complicare drammaticamente i rapporti fra i congiunti, divisi in due rami e spesso in lotta fra loro.
Il M. e i fratelli erano con il padre Astorgio, la madre e le sorelle a Forlì, tra il marzo e l'aprile 1451, in occasione della promessa di matrimonio di Elisabetta e Barbara rispettivamente con Francesco e Pino degli Ordelaffi, cosignori di Forlì.
Nel gennaio 1452 Astorgio, come molti altri signori di Romagna, si recò a Bologna incontro al re dei Romani Federico III sulla via per Roma, e in tale occasione fu creato cavaliere con il M. e l'altro figlio, Galeotto. Astorgio era allora in aperto conflitto con il nipote Taddeo, signore di Imola: nel 1456 il M. fu inviato dal padre a Milano per difendere i loro diritti contro i reclami e le lagnanze di Taddeo. Tra il 1460 e il 1461 il M. era nuovamente a Milano, dove viveva alla corte sforzesca con la semplice qualifica di gentiluomo.
Zama interpreta questo soggiorno milanese come effetto di una grave discordia fra padre e figlio, prolungatasi nel 1461, quando il M. si spostò a Forlì, ospite dei cognati Ordelaffi, dei quali in particolare Cecco si era adoperato per ricomporre i rapporti fra il M. e il padre. Allontanatosi da Forlì, dovette tornare nell'estate in Lombardia: dal carteggio dell'oratore mantovano a Milano, Vincenzo della Scalona, pare che nel gennaio 1462 fosse a Tours, dove faceva probabilmente parte del seguito degli ambasciatori milanesi inviati dal duca Francesco Sforza a Luigi XI nel settembre 1461 per felicitarsi della sua ascesa al trono. In primavera, al ritorno dalla Francia e appena giunto a Piacenza, fu imprigionato dal referendario sforzesco: Zama suppone che ciò accadesse per i contrasti con il padre e su preciso ordine di questo, ma lo Sforza doveva avere anche un altro motivo. Il M. fu in prigione dai primi di maggio 1462: in aprile era stato arrestato a Milano il condottiero Tiberto Brandolini, romagnolo e imparentato con i Manfredi grazie al matrimonio con Cornelia, sorella di Taddeo Manfredi, con l'accusa di tradimento. Brandolini avrebbe progettato di passare allo schieramento angioino in piena guerra di successione napoletana, facendo base sui suoi possessi emiliani e romagnoli e contando su una rete di alleanze che coinvolgeva tanto il signore di Imola quanto Sigismondo Pandolfo Malatesta: dietro alla prigionia del M. andrebbe individuato quindi anche il timore sforzesco di trame filoangioine o comunque di un'implicazione dei Manfredi di Faenza nelle manovre di Brandolini.
Il M. comunque era di ritorno a Faenza, apparentemente conciliato con il padre, nell'ottobre 1462, per ripartirne alla fine del mese con Astorgio e il fratello Galeotto verso la Meldola, contro Malatesta Novello Malatesta e agli ordini dei capitani pontifici. Il 7 ott. 1462 Astorgio aveva infatti accettato l'arbitrato dell'inviato papale, il vescovo di Sessa Angelo Geraldini, nel conflitto con il nipote Taddeo; il 21 ottobre aveva concluso una condotta con papa Pio II impegnandosi a combattere i Malatesta agli ordini di Federico da Montefeltro, capitano generale delle genti della Chiesa. Il M. fu impegnato contro i Malatesta anche l'anno successivo, nell'assedio di Fano del giugno 1463.
Non è nota la sua posizione negli eventi che scossero la corte forlivese nel 1466, né si hanno notizie dirette per il 1467, quando la Romagna fu campo di battaglia della guerra fra B. Colleoni, pagato dai fuorusciti fiorentini, sostenuto da Venezia e dal papa, e le armate della neocostituita lega fra Milano, Firenze e Napoli, guidate da Federico da Montefeltro.
Alla morte di Astorgio, il 12 marzo 1468, il M. e Faenza erano alla vigilia della stipulazione della pace voluta da Paolo II e conclusa l'8 maggio. Astorgio, consapevole della delicatezza della situazione politica faentina, aveva redatto pochi mesi prima della morte un testamento dettagliato per regolare la successione tra i figli, in cui si prevedeva l'ordine di nascita dei figli laici. Una volta scomparsi i figli, i nipoti sarebbero subentrati secondo il medesimo criterio.
Il M. ereditò la signoria faentina in un momento difficile: le relazioni con Pino Ordelaffi di Forlì non erano agevoli e tesa rimaneva la situazione con Imola. La pace del maggio 1468, in cui i tre fratelli comparivano come collegati e aderenti di Venezia, se dava di nuovo al M. giurisdizione su Riolo, lo obbligava però a restituire a Firenze il castello di Dovadola e a Taddeo Manfredi i villaggi di Bubano, Mordano e Bagnara. Il M. e il fratello Galeotto rimasero nel 1468-69 nell'orbita veneziana, insieme con Pino Ordelaffi e con Borso d'Este. Nell'estate 1470 il M. trattava nuovamente la condotta con la lega che comprendeva Milano, Firenze e Napoli: il rinnovo della triplice lega già stipulata nel 1467 fu però solo interlocutorio, poiché tutti i contraenti maggiori perseguivano proprie politiche di potenza, in particolare in Romagna, e cercavano di contrarre condotte individuali con i diversi tirannelli romagnoli. Galeazzo Maria Sforza in particolare nel luglio 1470 contava di assoldare in Romagna sia il M., a 12.000 ducati di soldo, sia Taddeo a 8000, sia Alessandro Sforza di Pesaro a 10.000 ducati. Con Taddeo nel 1471 Galeazzo Maria Sforza riuscì ad attrarre al soldo della sola Milano anche Pino Ordelaffi: il M. allora si rivolse a Venezia ottenendone 300 fanti, e al tempo stesso iniziò trattative per condursi con il re di Napoli, Ferdinando I d'Aragona. Attraverso il cointeressamento mediceo, la condotta (congiunta a un patto di protezione) fu concordata a Faenza nel novembre 1471. La principale preoccupazione della lega era infatti di assicurarsi contro l'eventualità di una nuova spedizione di Colleoni in Romagna. La condotta del M., concordata ma non ancora conclusa a nome di Firenze e di Napoli, fu alla fine stipulata per 6000 ducati dal solo re di Napoli, che si risolse ad accaparrarsi i servigi del M. dopo che Taddeo rinunciò alla signoria su Imola nelle mani dello Sforza il 31 dic. 1471. Il M. rimase al servizio di re Ferdinando anche negli anni successivi: il re lo avrebbe sempre considerato suo stipendiato e protetto.
Nel frattempo, il potere dei Manfredi su Faenza si era ulteriormente consolidato con l'elezione di Federico a vescovo della città. Il 9 ag. 1471 il M. sposò a Faenza Costanza di Rodolfo Varano da Camerino; il 6 ag. 1472 nacque l'unico figlio, Ottaviano.
In quegli anni la signoria manfrediana su Faenza visse il suo momento più splendido: il M. e il fratello Federico ripresero vigorosamente le iniziative urbanistiche del padre (anche per rimediare al terremoto che aveva colpito la città nel luglio 1470), dando al centro di Faenza il suo assetto definitivo. In particolare negli anni 1470-73 il M. fece allargare la cerchia delle mura inglobando quasi tutti i sobborghi e intervenne sull'assetto urbanistico della città antica, rimodellandolo e liberandolo dalle costruzioni medievali più fatiscenti. Risistemò in modo coerente e unitario la piazza principale: il progetto si compì con l'edificazione, su disegno di Giuliano da Maiano, della nuova cattedrale di cui venne posta la prima pietra il 26 maggio 1474. Ciononostante, le cronache coeve e, sulla loro scorta, gli storici locali sottolineano lo scontento popolare per le iniziative manfrediane, colpevoli al tempo stesso di minare e trasformare il volto tradizionale della città affermando in tal modo l'arbitrio dei signori e di colpire con inasprimenti fiscali gli interessi dei ceti urbani.
La concentrazione del potere nelle mani del M. e di Federico finì per inquietare gli altri fratelli, in particolare Galeotto. Nel 1476 Galeotto e Lancillotto si rifugiarono prima a Ravenna, poi a Forlì, dal cognato Ordelaffi, non particolarmente bendisposto verso il M. che nel 1470 aveva compiuto un'incursione a Forlì per liberare la sorella Elisabetta, vedova di Cecco Ordelaffi, e i suoi quattro figli, prigionieri dal 1466 di Pino, quando quest'ultimo si era recato a Imola per sposare Zaffira di Taddeo Manfredi. Galeotto fu preso sotto la protezione di Venezia, che gli diede una condotta. Il M. provvide a fortificare il contado e nel gennaio del 1477 ordinò di stendere un nuovo catasto per Faenza e il suo territorio: mentre era intento a queste operazioni, cadde gravemente malato. La reggenza passò allora nelle mani del vescovo Federico, la cui ambizione e la cui avidità gli avevano alienato il consenso dei Faentini.
La geografia politica romagnola era intanto mutata: dal 1473, risolta la questione di Imola con l'attribuzione della città, perduta da Taddeo Manfredi, al conte Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, il ramo Riario della parentela di papa Della Rovere puntava a costruire la sua egemonia sull'Umbria e sulla Romagna a partire dal controllo politico-militare di Imola. In questo senso, i dissidi fra gli eredi di Astorgio (II) Manfredi aprirono a Riario nuovo spazio di manovra e crearono un altro potenziale motivo di frizione fra i poteri maggiori d'Italia.
Essendo il M. malato e - come si credeva - prossimo alla morte, Federico, suo governatore effettivo, ottenne che fosse riconosciuto per investitura papale il diritto di successione nella contea e nel vicariato di Ottaviano, ancora bambino, che Federico contava di manovrare a proprio piacimento nella veste di tutore naturale. Il 2 ott. 1477 i sudditi faentini giurarono fedeltà a Ottaviano. Nella questione si intromise il re di Napoli, che verso metà ottobre fece contrarre a Ottaviano matrimonio con una sua figlia naturale. Lo sviluppo della situazione ledeva profondamente i diritti di Galeotto, all'epoca collegato di Venezia: sostenuto da quest'ultima e nella speranza di un accordo con il papa, il 18 ottobre Galeotto entrò in territorio faentino e occupò Granarolo. G. Riario prospettò allora a Lorenzo il Magnifico la possibilità che il papa, rivendicando la diretta sovranità su Faenza anche grazie all'appoggio milanese, ne desse investitura a lui stesso, e ne chiese l'appoggio. Lorenzo scelse al contrario di sostenere apertamente Galeotto: quest'ultimo, presa licenza da Venezia, entrò in Faenza il 16 novembre, a seguito di un tumulto popolare contrario al M., e soprattutto al vescovo Federico, e innescato da un provvedimento di aumento del prezzo del grano deliberato dal M. e da Federico il 12 novembre. Il vescovo prese la fuga, mentre il M. si chiuse nella rocca con Ottaviano e la moglie. Galeotto fu acclamato signore di Faenza il 17 novembre: fra il 7 e l'8 dicembre il M. accondiscese ad abbandonare la rocca, lasciando la città in mano a Galeotto.
Scortato da Giovanni Bentivoglio, si rifugiò con il figlio, la moglie e i nipoti Ordelaffi prima a Lugo (terra estense) e a Ferrara, quindi a Napoli. Negli anni successivi Ferdinando continuò a protestare il suo appoggio al M.: in particolare in occasione delle trattative per concludere la guerra dei Pazzi, nell'estate 1479, il re continuò a porre come condizione della sua partecipazione alla pace il ristabilimento del M. nella signoria su Faenza. Solo nell'agosto 1479 finalmente il re accettò il passaggio di Faenza a Galeotto.
Il favore che il M. continuava a godere presso la corte napoletana rese peraltro sempre delicata la posizione di Galeotto: per quanto il M. non avesse probabilmente mai avuto serie possibilità di tornare a Faenza, nei primi anni Ottanta la sua sola presenza a Napoli continuò a rappresentare una potenziale minaccia per il fratello a Faenza. Il M. morì a Napoli nel 1484, probabilmente di peste.
La signoria del M. è stata variamente valutata dalla storiografia: guardando soprattutto allo spessore delle iniziative urbanistiche faentine, i nove anni del suo governo sono considerati il periodo di maggiore splendore della dominazione manfrediana su Faenza; giudicandolo anche in base agli eccessi commessi dal vescovo Federico e tollerati dal M., si ritiene al contrario la sua signoria un periodo contrassegnato dall'arbitrio e dalla violenza. Quel che pare certo è che la struttura collegiale delle signorie romagnole, la loro dipendenza formale dal vicariato apostolico (con tutti i suoi limiti), la ristrettezza delle basi economiche della loro egemonia rendevano pian piano questi signori sempre più vulnerabili al mutare dei grandi interessi in gioco nelle aree strategiche d'Italia (la Romagna, la regione appenninica tra Toscana e Liguria, il Piemonte). Il M., come Galeotto e ancor più i loro discendenti, non era più in grado di controllare il gioco degli interessi politici maggiori.
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