LUSERNA MANFREDI, Carlo
Nacque tra il 1508 e il 1510, forse a Torino, da Giovanni e da Bianca Vagnone di Trofarello.
Il padre fu uno dei principali giuristi sabaudi del primo Cinquecento. Laureatosi nello Studio di Torino, dal 1502 vi insegnò prima diritto canonico e poi diritto civile. Il 17 nov. 1504 il duca Carlo II di Savoia gli conferì la cattedra di diritto canonico; quindi lo chiamò, almeno a partire dal 1509, a far parte del Consilium cum domino residens come collaterale. Il 19 ott. 1521, infine, lo nominò primo presidente del Consiglio Cismontano. Giovanni era divenuto, così, uno dei collaboratori più stretti del duca in un momento estremamente delicato nella storia dello Stato sabaudo. Non a caso il duca se ne servì anche per tessere delicate trattative diplomatiche con la Francia e con i Cantoni svizzeri. In quanto ai suoi beni feudali nelle valli pinerolesi, fra il 1504 e il 1524 realizzò una serie di acquisti che gli permisero di portare sotto il proprio controllo l'intero feudo di Angrogna, destinato a rimanere il feudo di riferimento dei Luserna Manfredi sino alla loro estinzione. Egli e i suoi discendenti, tuttavia, continuarono a usare come abitazione il palazzo di famiglia a Luserna e diverse dimore torinesi. La guida del Consiglio Cismontano da parte del padre del L. durò poco più di tre anni. All'inizio del 1524, infatti, una ferita a una gamba, subita a diciassette anni in un duello con un nobile genovese, si aggravò improvvisamente e andò in cancrena, portandolo rapidamente alla morte.
Aveva sposato Bianca Vagnone di Trofarello nel 1507, discendente da una delle più nobili famiglie piemontesi; era stata tenuta al fonte battesimale dalla duchessa Bianca di Monferrato, moglie del duca Carlo I di Savoia, ed era stata allevata alla corte sabauda. Dal matrimonio nacque anche Giovan Francesco. Entrambi i figli erano ancora in minore età al momento della morte del padre.
Alla morte di Giovanni, la guida della famiglia fu assunta dalla vedova, che il 6 sett. 1524 ottenne dal duca la ratifica degli acquisti feudali operati dal marito e l'investitura di essi ai figli. Il L. e il fratello compirono gli studi nell'Università di Padova, dove si laurearono in legge intorno al 1531-32. Il 20 ag. 1534 il L. ottenne la nomina a professore di diritto civile; un mese più tardi, il 28 settembre, Giovan Francesco ottenne la docenza mattutina di diritto canonico. L'attività dei fratelli Luserna Manfredi nell'ateneo patavino continuò almeno sino al 1536.
In quell'anno, l'invasione dello Stato sabaudo da parte delle truppe di Francesco I di Francia spinse i due fratelli a rientrare in Piemonte, dove i beni di famiglia erano stati sino ad allora amministrati dalla madre.
Costretto a rifugiarsi prima a Vercelli e poi a Nizza, il duca Carlo II fronteggiò il difficile momento grazie alla fedeltà di alcune delle principali famiglie feudali dei domini cisalpini. In Piemonte egli poté contare soprattutto sul sostegno dei Provana, dei Valperga di Masino, di alcuni rami dei Piossasco e dei Luserna Manfredi. Nel primo decennio dell'occupazione, Giovan Francesco fu chiamato dal duca a incarichi di fiducia e responsabilità. Per due volte, tra l'altro, fu nominato luogotenente generale in Piemonte. La fedeltà sabauda della famiglia fu motivo di contrasto con altri rami dei Luserna, in particolare con quello dei Rorengo, schierati con gli occupanti. La tensione fra i due rami si trasformò presto in scontro aperto. Nell'estate del 1545 i fratelli Guglielmo e Bartolomeo Luserna Rorengo di Rorà penetrarono nel castello di Luserna insieme con un gruppo di armati, comandati da Francesco Castellani, e uccisero Giovan Francesco, il cui corpo fu poi trasportato a Torino per essere sepolto nel duomo di S. Giovanni, accanto a quello del padre. Bianca Vagnone restò a Luserna quanto poté, ma alla fine si trasferì a Vercelli, diventata capitale del Ducato dopo l'occupazione di Chambéry e Torino.
Tra il 1545 e il 1551 Carlo II affidò al L. diverse missioni diplomatiche. La prima fu a Milano, nel marzo 1545, per riscuotere alcuni fondi stanziati da Carlo V in favore del duca. Fu inviato, quindi, a Roma presso il papa Paolo III, per sollecitarne l'appoggio al duca. Successive destinazioni delle sue missioni furono Bruxelles, presso Carlo V, e Venezia. Fu durante la missione a Bruxelles nel 1549, che conobbe e sposò Beatrice di Savoia Racconigi.
Il matrimonio fu celebrato il 25 luglio 1549 da Antoine Perrenot, vescovo d'Arras e futuro cardinale di Granvelle. Alla cerimonia presero parte Carlo V - insieme con le sorelle Eleonora e Maria e al giovane figlio Filippo, futuro re di Spagna - ed Emanuele Filiberto di Savoia, l'erede del Ducato.
Dopo il matrimonio la coppia lasciò le Fiandre e si trasferì a Venezia, dove il L. era stato nominato ambasciatore da Carlo II. Nella Serenissima, però, il L. restò poco più di un anno. Nel febbraio 1551, infatti, era di nuovo a Vercelli, dove il duca lo nominò ciambellano, facendone uno dei suoi principali collaboratori. Frattanto, l'8 febbr. 1551, Beatrice diede alla luce il primo figlio, Carlo Giovan Francesco.
Non è chiaro quali incarichi il L. abbia ricoperto dopo il suo ritorno in patria. Nel novembre è ricordato fra i consiglieri del duca chiamati a partecipare agli incontri con il governatore di Milano, Ferrante Gonzaga. Dopo la morte del duca (17 ag. 1553) egli restò a Vercelli, che fu assaltata ed espugnata dalle truppe francesi. In tale occasione riuscì rocambolescamente a mettersi in salvo e a recarsi a Novara, dove sollecitò il soccorso delle truppe spagnole, che dopo poche ore riuscirono a riconquistare la città. Nel dicembre 1553, Andrea Provana di Leinì, inviato in Piemonte dal duca Emanuele Filiberto, incontrò il L. e subito ne ebbe un alto concetto, raccomandandolo al duca per un incarico di prestigio. Ma, prima ancora di ricevere la segnalazione del Provana, Emanuele Filiberto già aveva nominato il L. governatore di Vercelli.
Restò governatore di Vercelli per circa tre anni, durante i quali ebbe quattro figlie dalla moglie Beatrice: Bianca (1552-72), Filiberta (1553-94), Carlotta (n. 1554) e Francesca (n. 1556). Una prova del ruolo che il L. occupava a corte è data dalla presenza, fra i padrini di battesimo delle figlie, di alcuni degli esponenti più in vista dalla nobiltà piemontese di fede sabauda: Troilo Avogadro di Collobiano per Bianca; Francesco Dal Pozzo e Silvio Tizzoni per Carlotta; Francesco Valperga di Masino per Francesca.
Nel 1556 il duca decise di nominarlo governatore di Cuneo. La città era rimasta saldo possesso sabaudo e ora, di fronte alla stretta finale del conflitto, rischiava di restare esposta, senza un capo adatto, a un assedio francese. Governatore di Cuneo sin dal 1543 era Paolo Vagnone di Trofarello, congiunto del Luserna. Le frequenti richieste di contribuzioni che questi aveva fatto alla Comunità di Cuneo per il mantenimento delle truppe gli avevano alienato le simpatie del ceto dirigente cittadino, che ne aveva più volte richiesto la rimozione. Per il L. - trasferitosi con la famiglia a Cuneo, dove nel marzo del 1557 la moglie Beatrice gli dette un secondo figlio maschio, Emanuele Filiberto (1557-1616) - si trattava di ristabilire buoni rapporti con la Comunità e i suoi maggiorenti. Egli seppe guadagnarsi la fiducia dei Cuneesi, quando, all'inizio del maggio 1557, le truppe di Charles de Cossé, conte di Brissac, posero l'assedio alla città. Pur avendo avuto solo qualche mese di tempo per risistemare una parte delle fortificazioni, egli respinse il Brissac, che fu costretto a desistere, lasciando sul terreno oltre 4000 morti e feriti, contro i poco più di 300 difensori di Cuneo.
Di fronte alla resistenza della città, il Brissac non esitò a commissionare il rapimento del neonato secondogenito del L. - furono probabilmente i Porporato a segnalargli che il bambino era tenuto a balia a Chiusa, un piccolo centro del Monregalese e a eseguire materialmente il rapimento -, minacciandolo di morte se il governatore non avesse aperto le porte della città.
Una lunga serie di scrittori ha riportato l'episodio, pur differendo su qualche particolare. In tutti è comune l'elogio per il fiero contegno del L. e, soprattutto, della moglie Beatrice di Savoia, che alla minaccia del francese avrebbe riposto di non temere la morte del figlio, perché ancora in grado di farne altri. Brissac non ebbe, comunque, il coraggio di uccidere l'infante, che ordinò poi di restituire alla famiglia.
Due mesi dopo la conclusione dell'assedio di Cuneo, il 10 ag. 1557, Emanuele Filiberto vinse la battaglia di San Quintino, ponendo le basi per la pace di Cateau-Cambrésis, con cui ottenne la restituzione dello Stato dopo oltre vent'anni d'occupazione. Il ritorno del duca in Piemonte segnò l'apogeo della carriera per il Luserna. Fra giugno e luglio 1559 fu tra i nobili che accompagnarono il duca a Parigi per il matrimonio con Margherita di Valois.
Il 20 giugno 1559 Emanuele Filiberto conferì al L. e ai suoi eredi una pensione annua di 300 scudi da prelevare dal reddito della gabella del sale di Nizza e gli concesse di inquartare le sue armi con quelle sabaude, in segno di riconoscimento per la difesa di Cuneo. Il 29 giugno il L. ricevette analoghe patenti da Filippo II e da Ferdinando I d'Asburgo, con cui i sovrani gli concedevano di usare anche le armi d'Austria e di Castiglia. Il 7 luglio il duca lo nominò sovrintendente generale di tutte le miniere dello Stato; il 30 ottobre seguente lo creò consigliere e ciambellano ducale, conferendogli una seconda pensione di 600 scudi annui; quindi il 26 nov. 1559 lo nominò governatore di Mondovì, con uno stipendio mensile di 50 scudi, che si aggiungeva alle pensioni già ottenute in precedenza; il 1( dicembre dello stesso anno, infine, gli conferì anche il titolo di consigliere di Stato.
Nel 1562, in qualità di governatore di Mondovì, accompagnò il duca e la duchessa nel loro ingresso nella cittadina e la coppia volle tenerne solennemente a battesimo il secondogenito, il già menzionato cinquenne Emanuele Filiberto, di cui il duca fu padrino, come, otto anni prima, Carlo II lo era stato del primogenito Carlo Giovan Francesco.
Uno dei primi problemi che Emanuele Filiberto, rientrato in Piemonte, dovette affrontare fu quello della minoranza valdese delle valli pinerolesi, che sin dal 1532 aveva aderito alla Riforma. Un'azione antivaldese era resa politicamente opportuna dall'alleanza non solo con la Spagna, ma anche con la Francia; nello stesso tempo, però, il duca non poteva compromettere troppo i suoi buoni rapporti con diversi principi imperiali di fede non cattolica (a partire dal duca di Sassonia). Tra il 1560 e il 1561 l'esercito sabaudo portò avanti, quindi, una decisa azione militare nelle valli, il cui esito, tuttavia non fu lo sterminio delle comunità valdesi - come avvenne, invece, in Calabria a opera dell'esercito spagnolo in quello stesso anno -, ma il loro contenimento in limiti ben precisi. Essi furono fissati il 5 giugno 1561 nella convenzione di Cavour, destinata a costituire il principale testo normativo nei rapporti fra lo Stato sabaudo e le comunità valdesi per quasi tre secoli. Durante i fatti del 1560-61, il L. svolse più volte compiti di mediazione fra il duca e i valdesi, segnalandosi per moderazione e disponibilità al dialogo. Ben diversamente operarono, invece, i Luserna Rorengo, che con il loro fanatismo cattolico cercavano di far dimenticare la loro alleanza con i Francesi durante l'occupazione.
Dopo la morte della madre Bianca Vagnone nel 1561, fu la moglie Beatrice ad assumere la guida dei feudi durante le sempre più frequenti assenze del marito. In effetti, l'impegno monregalese si era rivelato assai gravoso. Il 28 marzo 1561 il L. fu chiamato a far parte dei Riformatori dell'Università di Mondovì e l'anno successivo fu tra i membri della società chiamata a gestire l'allora istituita tipografia dello stampatore fiammingo Lorenzo Torrentino (Laurens van der Beek).
Altra carica onerosa fu quella già ricordata di sovrintendente generale di tutte le miniere dello Stato, carica che conservò fino alla morte. In quest'ambito, nel gennaio 1562 il duca gli donò la quindicesima parte del ferro e dell'acciaio ricavati dalle miniere di Miolans e Barcellonette e il 16 maggio 1563 gli infeudò le miniere delle valli Luserna e San Martino. È importante notare che nelle patenti Emanuele Filiberto volle ricordare che egli era "stato autore et primo inventore che si sono discoperte et trovate diverse sorte di gioie et pietre preciose ne gli stati nostri, come sono smeraldi, topaci, rubini, ghiacinti, truchese, granate, berilli, corniole, calcidonie, allitroppi, sardonii, raspidi, porfidi, alabastri et altre" (Arch. di Stato di Torino, Patenti, Piemonte, reg. 6, c. 199). Alla carica erano legati, non solo oneri, ma anche onori: in quello stesso 1563, per esempio, il duca, donando al L. le miniere di rame di Rocca Bollina nel Nizzardo, stabiliva che quale segno del suo rango il L. dovesse ricevere "una nidiata di sparveri" in segno "di superiorità e recognitione" delle miniere (Rivoire, p. 91). Il L. chiamò alle miniere mastri e operai tedeschi, per ottenerne un migliore rendimento. Il 9 apr. 1566, confermandogli tutte le concessioni fatte in precedenza, il duca ne definiva il compito in questi termini: "che il sepolto bene nelle viscere della terra quanto più presto si scuopra" (Arch. di Stato di Torino, Protocolli ducali, 226, c. 129).
Nel 1565 i rapporti con il duca cominciarono a raffreddarsi. Emanuele Filiberto, infatti, ordinò la costruzione di un forte a Mirabocco, sopra Bobbio Pellice, per controllare l'imbocco delle valli Chisone e Pellice. Un anno più tardi, nel giugno del 1566, il duca nominò Sebastiano Grazioli (detto il Castrocaro, dal suo luogo di nascita), governatore delle due valli, a cui in seguito aggiunse anche la val Luserna, centro dei feudi del Luserna. Giunto nelle valli il Castrocaro iniziò una politica assai attiva non solo contro i valdesi, ma anche contro i feudatari della zona, in primo luogo il L. e Porporato, cui il nuovo governatore, in linea con la politica ducale, non riconosceva l'esercizio della seconda cognizione (il secondo grado di giudizio). Presto i rapporti fra governatore e feudatari si deteriorarono sino a giungere allo scontro aperto. Il L. ne chiese più volte la rimozione, criticando apertamente il suo operato con il duca, che, però, continuò ad appoggiarlo. Il raffreddamento dei rapporti tra il duca e il L. fu testimoniato dal fatto che quest'ultimo non si vide conferito nel 1568 il collare dell'Ordine della Ss. Annunziata come era nelle sue aspettative. Il mancato conferimento dovette essere avvertito come un affronto particolarmente pesante per il Luserna.
L'8 luglio 1569 egli si dimise dalla carica di governatore di Mondovì, adducendo motivi di salute, che lo angustiavano da tempo e che lo obbligavano ogni anno a trascorrere periodi sempre più lunghi ai bagni di Vinadio. Quindi si ritirò a Luserna insieme con la moglie e sei figli, dove continuò la battaglia contro il Castrocaro, senza, peraltro, raggiungere alcun risultato concreto. Fra le ultime testimonianze su di lui vi è proprio una lettera del Castrocaro a Emanuele Filiberto del 6 giugno 1572, in cui il governatore raccontava che il L. andava dicendo che presto sarebbe riuscito a fargli perdere il favore del duca.
Il 16 nov. 1572, però, il L. morì improvvisamente nel suo palazzo di Luserna. Beatrice gli sopravvisse un trentennio, morendo nel 1602.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Protocolli ducali, 154, c. 190; 185, c. 131; 172, cc. 13-16; 211, c. 139; 223, c. 213; 223b, c. 322; 224, cc. 69, 65; 225, c. 153 (21 maggio 1565); 225b, c. 147 (21 maggio 1565); 226, c. 129 (9 apr. 1566); Materie politiche per rapporto all'Estero, Lettere ministri, Roma, m. 1; Lettere di particolari, C, m. 46 (lettere di S. Grazioli al duca); L, m. 48; Patenti, Piemonte, regg. 6, c. 260; 8, cc. 199-201; 9, c. 78v; Torino, Biblioteca reale, Arch. Luserna Manfredi d'Angrogna (sulle collocazioni si veda A. Armand Hugon, Arch. dei Luserna d'Angrogna, in Boll. della Soc. di studi valdesi, LXXVIII [1960], pp. 77-92); Documenti istorici di Luserna e dei luoghi di sua valle compilati da D.L. Garola(, a cura di M. Brondino, Luserna 2003, pp. 9, 17-20, 22, 24-26, 36, 48 s., 116, 204 (i manoscritti si trovano a Pinerolo, Biblioteca Alliaudi); S. Guichenon, Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, II, Lyon 1660, pp. 247, 252, 254, 272; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, p. 87; C. Promis, Relazione dell'assedio di Cuneo dell'anno 1557 scritta da anonimo contemporaneo, in Arch. stor. italiano, 1845, t. 2, App. 10, pp. 75-110; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, II, Firenze 1861, pp. 51 s., 54, 140, 184 s.; Memorie di un terrazzano di Rivoli dal 1535 al 1586, a cura di D. Promis, in Miscellanea di storia italiana, VI (1865), p. 628; G. Manuel di San Giovanni, Una pagina inedita della storia di Cuneo al secolo XVI con giornale di viaggio da Cuneo a Bruxelles di Giovanni Luigi Lovera, gentiluomo cuneese, Torino 1879, p. 24; G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo e la prima ristorazione della casa di Savoia, Torino 1884, pp. 180-182, 242-244, 275; P. Rivoire, Storia dei signori di Luserna, in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, XX (1896), pp. 54-57 (su Giovanni), 58-103; G. Barelli, L'assedio di Cuneo del 1557, in VII Centenario della fondazione di Cuneo. Memorie storiche, Torino 1898, pp. 261-277; F. Gabotto, Storia di Cuneo dalle origini ai giorni nostri, Cuneo 1898, pp. 160-170; A. Segre, L'opera politico militare di Andrea Provana di Leynì nello Stato sabaudo dal 1553 al 1559, in Atti della R. Acc. dei Lincei. Memorie, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, VI (1898), pp. 25, 47, 65-68; Id., Un episodio della lotta tra Francia e Spagna a mezzo il Cinquecento (estr. da Arch. stor. lombardo, XXVII [1900], 26), Milano 1900, p. 23; A. Dutto, Le relazioni sull'assedio di Cuneo del 1557, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XLI (1905), pp. 95-97; G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte fino alla morte di Emanuele Filiberto (1517-1580), Firenze 1914, pp. 89, 132, 135, 140, 145; A. Barbero, Savoiardi e Piemontesi nel Ducato sabaudo all'inizio del Cinquecento: un problema storiografico risolto?, in Boll. storico-bibliografico subalpino, LXXXVII (1989), pp. 598, 602, 605 s., 611 (su Giovanni); P. Merlin, Emanuele Filiberto. Un principe tra il Piemonte e l'Europa, Torino 1995, pp. 142-144; P. Bianchi, Dall'erezione in città alla seconda reggenza, in P. Bianchi - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d'antico regime, Milano 2002, pp. 36-38, 73, 87; P. Cozzo, "Regina Montis Regalis". Il santuario di Mondovì da devozione locale a tempio sabaudo, Roma 2002, pp. 42-44.