MONTUORI, Carlo Luigi
MONTUORI, Carlo Luigi. – Nacque a Casacalenda (Campobasso) il 3 agosto 1883 (come risulta dall’Anagrafe comunale, e non nel 1885 come in genere riportato) da Eugenio, possidente, e da Giuseppina Pietrantonio, insegnante.
Presto si trasferì a Milano dove frequentò prima il Politecnico, poi l’Accademia delle belle arti a Brera e dove si unì in matrimonio nel 1911 con Angela Ferrari.
Fu uno dei primi operatori e direttori della fotografia del cinema italiano, già attivo a partire dal 1912, dopo un apprendistato nello studio Ganzini e poi come allievo di Luca Comerio, con il quale studiò le tecniche di stampa e di sviluppo. Dal 1914 iniziò a curare la fotografia di film di finzione lavorando alla Milano Films, una delle maggiori case di produzione del periodo, dove ricoprì anche la carica di direttore tecnico, che comportava la responsabilità generale di tutta la produzione e non solo la realizzazione fotografica. In questi anni Montuori – come raccontato da lui stesso nell’articolo Dal teatro a vetri alla luce artificiale (in Cinema, 10 giugno 1937, n. 23, pp. 445-447) – sperimentò l’impiego di luci artificiali per le riprese cinematografiche, ingegnandosi a utilizzare lampade da illuminazione stradale per ottenere la luce generale e riflettori, da lui stesso costruiti artigianalmente inserendo archi voltaici in imbuti di latta di varie dimensioni, per indirizzare la luce sui volti e sugli oggetti.
Mise a frutto queste innovazioni specie nei film girati con il giovane regista Augusto Genina, con il quale intraprese una fruttuosa collaborazione, realizzando pellicole, come La doppia ferita (1915) e Signorina Ciclone (1916), che gli valsero l’attenzione della critica per gli originali effetti fotografici e per le inconsuete riprese.
Durante la prima guerra mondiale prestò servizio come operatore all’Ufficio speciale di reportage cinematografico della R. Marina, per conto della quale girò un documentario in Albania. Nel dopoguerra riprese la sua brillante carriera, sempre all’insegna della sperimentazione. Fu in un film da lui fotografato, Redenzione (1919) diretto da Carmine Gallone, che pare sia stato utilizzato per la prima volta il cerone per rendere meno cadaverico l’aspetto degli attori senza tuttavia ricorrere a un trucco pesante. Anche nel film Guarany (1923) di Salvatore Aversano, del quale aveva diretto la fotografia, le sue capacità non passarono inosservate ed ebbe notevole successo di critica particolarmente per la tecnica con la quale realizzò le scene della notte di tempesta e per la fotografia sempre bene inquadrata e luminosissima.
La crisi della cinematografia italiana dei primi anni Venti, che comportò la chiusura di molte case produttrici, costrinse Montuori a un’attività più occasionale ed errabonda, che lo portò a collaborare a un numero limitato di film, realizzati in diverse città italiane: Roma, Milano, Torino e Firenze, dove lavorò brevemente insieme al fratello Annibale che lo aiutò nella messa a punto di lampade diverse da quelle di fabbricazione tedesca comunemente usate. Tali capacità inventive e artigianali contraddistinsero sempre l’attività professionale di Montuori, ricordato sovente per le sue intuizioni e le sue improvvisazioni.
Trasferitosi in maniera definitiva a Roma, dove ormai era concentrata la quasi totalità della produzione cinematografica nazionale, riprese la sua incessante attività lavorativa, che negli anni Trenta e Quaranta gli garantì un ruolo di primo piano nel panorama del cinema italiano, partecipando dal 1930 al 1944 a ben 61 film. In questo periodo collaborò alle opere prime di registi come Mario Mattoli, Carlo Ludovico Bragaglia e Alessandro Blasetti, cineasti che all’esordio si avvalsero della sua esperienza e in seguito riconobbero il fondamentale contributo da lui ricevuto. Negli stessi anni lavorò con tutti i principali registi dell’epoca, partecipando alla realizzazione di film quali Darò un milione (di Mario Camerini, 1935), Piccolo mondo antico (di Mario Soldati, 1941) e Sissignora (di Ferdinando Maria Poggioli, 1941), per citarne solo alcuni. Nel 1937 curò la fotografia del kolossal di regime I condottieri di Luis Trenker, ambiziosa e costosa opera di propaganda coprodotta con la Germania.
Nel secondo dopoguerra non risentì del passaggio dal cinema del ventennio fascista, dove imperversava l’uso del controluce fra i capelli di bionde star, aureole di santificante bellezza sul modello americano e nel quale i film erano girati quasi sempre in teatri di posa, alla stagione neorealista, dove le riprese erano per lo più in esterni, come dire da Assia Noris all’operaio della Breda Lamberto Maggiorani. Fu proprio Montuori, infatti, che filmò uno dei capolavori del neorealismo e non solo, Ladri di biciclette, probabilmente il film più prestigioso cui abbia lavorato e che segnò l’inizio di una breve ma prestigiosa collaborazione con Vittorio De Sica. Di grande rilievo, negli anni Quaranta-Cinquanta, fu anche il suo sodalizio con Luigi Zampa, con il quale realizzò sette film, e con Pietro Germi.
Del resto Montuori, nel suo breve e già citato scritto del 1937, aveva sottolineato come nel cinema fosse fondamentale il rapporto con il regista: «il mezzo tecnico è ancora un elemento secondario di fronte alla stretta collaborazione che deve esistere fra operatore e regista […] che è la base della perfezione dell’opera».
Pur essendo legato per formazione e cultura al bianco e nero, Montuori non disdegnò negli anni Cinquanta di cimentarsi con il colore e il cinemascope.
Nel corso di una carriera quasi cinquantennale, durante la quale realizzò la fotografia di almeno 164 film, l’ultimo nel 1961, ottenne solo un premio di un certo prestigio: il Nastro d’argento per Ladri di biciclette nel 1949. Per i suoi meriti artistici fu nominato commendatore.
Montuori morì a Roma il 4 marzo 1968.
Il figlio Mario, nato a Roma nel 1920, iniziò come assistente del padre nel 1945 ed è divenuto anche lui un apprezzato direttore della fotografia, che in carriera ha lavorato con registi come Alberto Lattuada e Roberto Rossellini.
Filmografia essenziale: 1914: La fuga dei diamanti e L’anello di Siva di A. Genina; 1915: Mezzanotte di A. Genina; 1916: Lea di D. Karenne; 1918: Gli invasori di G.P. Rosmino; 1919: La via dolorosa di A.C. Lolli; 1920: I Borgia di Caramba; 1922: Dante nella vita e nei tempi suoi di D. Gaido; 1925: Marco Visconti di A. De Benedetti; 1926: Garibaldi e i suoi tempi di S. Laurenti Rosa, Napoli che canta di R. Roberti; 1927: Addio giovinezza di A. Genina; 1929: Sole di A. Blasetti; 1932: O la borsa o la vita di C.L. Bragaglia, La tavola dei poveri di A. Blasetti; 1934: Tempo massimo di M. Mattoli; 1935: Amo te sola di M. Mattoli; 1937: Il feroce Saladino di M. Bonnard; 1942: Via delle cinque lune di L. Chiarini; 1943: Gente dell’aria di E. Pratelli; 1946: Mio figlio professore di R. Castellani, Vivere in pace di L. Zampa; 1947: Gioventù perduta di P. Germi; 1948: Anni difficili di L. Zampa; 1949: Campane a martello di L. Zampa; 1950: Cuori senza frontiere di L. Zampa; 1951: La città si difende di P. Germi; 1954: Un americano a Roma di Steno (Stefano Vanzina), L’oro di Napoli di V. De Sica; 1956: Il tetto di V. De Sica; 1961: Gli incensurati di F. Giaculli.
Fonti e Bibl.: E.F. Palmieri, Vecchio cinema italiano, Venezia 1940; M.A. Prolo, Storia del cinema muto, Milano 1951, p. 84; Filmlexicon, IV, Roma 1958, coll. 958-960; V. Martinelli, Il cinema muto italiano 1923-30, Roma 1981; A. Bernardini, Il cinema muto italiano 1910-1914, Roma-Bari 1982, p. 14; C.L. Bragaglia, Nato col cinema, Roma 1992, p. 54; V. Martinelli, Il cinema muto italiano. 1915. I film della Grande Guerra prima parte [numero monografico di Bianco e nero, LII (1991), nn. 1-2], Roma 1992, ad ind.; A. Guerri, Gli operatori italiani, in Storia del cinema italiano (Marsilio), V, 1934-1939, a cura di O. Caldiron, Venezia-Roma 2006, pp. 453-456; S. Masi, Destini diversi dell’attore. L’ascesa del divismo femminile, ibid., 1945-1948, a cura di C. Cosulich, ibid. 2003, p. 330.