LIVI, Carlo
Nacque a Prato l'8 sett. 1823 da una famiglia di commercianti. Completò gli studi superiori nella città natale, dapprima presso il collegio Cicognini, poi al seminario, quindi si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa. Qui fu allievo, tra gli altri, di A. Bartolini e di F. Puccinotti, apprezzato cultore dei problemi e degli aspetti organizzativi della medicina civile e sociale e storico della medicina. Nel 1848, giunto all'ultimo anno del corso di laurea, allo scoppio dei moti che sfociarono nella prima guerra d'indipendenza fu tra i primi studenti ad arruolarsi nel battaglione universitario toscano e prese parte alla battaglia di Curtatone e Montanara.
Ripresi gli studi e conseguita la laurea passò all'Istituto di studi superiori e di perfezionamento di Firenze, dove fu allievo di M. Bufalini. Indirizzato alla patologia induttiva e alla filosofia sperimentale da Puccinotti, alla patologia analitica e all'interesse per le questioni di logica e di metodologia delle scienze da Bufalini, dei due maestri il L. aveva fatto propri i principî di un metodo scientifico che lo avrebbe guidato anche nell'affrontare i problemi sociali e nella salda difesa delle scienze mediche dal riduzionismo materialistico.
Intrapreso l'esercizio pratico della professione come medico condotto, nel 1855 il L. fu inviato a prestare servizio a Barberino di Mugello, a Radicofani e in Maremma, dove era in corso un'epidemia di colera: di tale esperienza fornì un'attenta descrizione in Il cholera in Barberino di Mugello, edito a Prato nello stesso anno. Tre anni dopo accettò l'incarico offertogli dalla Confraternita dei disciplinati di Siena della soprintendenza del manicomio di S. Niccolò, dando così inizio alla sua carriera di psichiatra.
Incline agli studi letterari e alla speculazione filosofica, già allievo di F. Bini in clinica delle malattie mentali, il L. era privo di una vera preparazione teorica e pratica nel settore psichiatrico. Per acquisire la necessaria esperienza, nell'anno della nomina decise di visitare i più noti manicomi d'Italia. Nel periodo di rinnovamento degli studi psichiatrici, quando, sulla scorta delle nuove grandi acquisizioni concernenti la fisiologia del sistema nervoso, i lavori pionieristici di F. Pinel e del suo allievo J.-É.-D. Esquirol stavano gettando le basi della psichiatria scientifica e della conseguente trasformazione dei vecchi asili per alienati, il L. poté allora avvicinare gli specialisti che si erano segnalati in modo particolare per i miglioramenti e le riforme apportati negli istituti da loro diretti, e conoscerne e apprezzarne i principî informatori. Raccolse le sue osservazioni nel volume Viaggio scientifico a' manicomi d'Italia, Firenze 1860. La preziosa esperienza in tal modo acquisita lo sollecitò a introdurre profonde innovazioni nella gestione del nosocomio senese di S. Niccolò che, istituito nel 1818, era condotto secondo la vecchia concezione fino ad allora dominante, che concepiva il trattamento come un mero regime di sorveglianza e di contenimento, anche coercitivo. In pochi anni il L. apportò alla struttura radicali trasformazioni tecniche e organizzative, che illustrò al congresso degli scienziati italiani tenuto a Siena nel 1862. Tre anni più tardi riuscì ad avviare la costruzione di un moderno edificio per il manicomio (Del vecchio e del nuovo manicomio di S. Niccolò di Siena. Lettera al prof. Cardona, in Arch. italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, II [1865], pp. 238-250), un ampio e razionale complesso in grado di ospitare 400 degenti provenienti, oltre che da Siena, dalle province di Pisa, Livorno e Arezzo, divisi in classi secondo il comportamento e le diverse necessità assistenziali e terapeutiche. Soprattutto innovativo fu il suo metodo di trattamento dei malati: al passo con le nuove concezioni della psichiatria manicomiale, pioniere dei principî dell'ergoterapia, incoraggiò l'applicazione delle terapie morali basate su svaghi e divertimenti, passeggiate campestri, musica e recite, conferimento di premi ai più operosi, alle quali invitò la cittadinanza ad assistere e cooperare.
Affermatosi in breve come uno dei più rappresentativi esponenti della nuova cultura psichiatrica, il L. poté accedere anche al mondo accademico: nominato nel 1859 professore di igiene e medicina legale nell'Università di Siena, dette subito inizio a una proficua attività didattica e di ricerca. Ma, il mancato accoglimento delle proposte che aveva formulato per la realizzazione di una moderna struttura, in particolare quella di procedere alla laicizzazione dei servizi abolendo la presenza delle suore di assistenza almeno nei reparti maschili, fu all'origine delle polemiche che segnarono la conclusione dell'esperienza senese del Livi. Nel 1873 egli accettò la direzione del grande ospedale psichiatrico S. Lazzaro di Reggio nell'Emilia, del quale aveva già avuto modo di interessarsi per incarico della Commissione amministrativa (Manicomio di Reggio Emilia, in Arch. italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, IX [1872], pp. 49-57), e si trasferì con la famiglia. Nello stesso tempo il L. era trasferito nell'Università di Modena come professore ordinario di medicina legale, igiene e tossicologia per il biennio 1873-75 e incaricato di psichiatria per il 1874-75. Divenuto ordinario di quest'ultima disciplina nel 1876, conservò l'insegnamento di igiene rinunciando a quello di medicina legale.
Il S. Lazzaro, destinato nel passato come ricovero per vecchi e debilitati e dal 1753 anche per gli alienati reggiani e modenesi, per disposizione del duca Francesco III d'Este nel 1754 fu adibito esclusivamente a ricovero per gli alienati. Nel 1816 il duca Francesco IV ne decretò l'ingrandimento e la riorganizzazione per realizzare un istituto in grado di ospitare i malati di mente di tutti gli Stati estensi. Prese allora l'avvio una lenta opera di rinnovamento strutturale e di conduzione del frenocomio che raggiunse il suo apice quando ne assunse la direzione I. Zani, scomparso nel 1873. Succedutogli nell'incarico, il L. ne proseguì e ne portò a compimento l'opera innovativa: completò l'ampliamento strutturale dell'Istituto, dotandolo tra l'altro di un proprio ufficio telegrafico, potenziandone la colonia agricola che intitolò a Zani (La colonia agricola industriale Zani, in Gazzetta del Frenocomio di Reggio Emilia, I [1875], pp. 6-10), ne redasse un nuovo statuto organico, vi tenne i corsi e le ricerche di clinica psichiatrica della facoltà di medicina dell'Università modenese, vi fondò musei e gabinetti di analisi; basò il trattamento dei ricoverati soprattutto sui canoni dell'ergoterapia (Il lavoro, ibid., II [1876], pp. 21-26) secondo i principî della nuova cultura psichiatrica della quale era divenuto un convinto sostenitore, e organizzò corsi di canto, di ginnastica e di disegno negli ambienti dell'istituzione.
Entusiasta seguace del metodo sperimentale, che andava allora soppiantando le tradizionali concezioni speculative, e sostenitore dell'utilità delle applicazioni pratiche delle conquiste scientifiche, promosse un'encomiabile opera sociale e culturale. Favorì la nascita dell'Associazione popolare per i bambini poveri scrofolosi e la fondazione di uno speciale ospizio marino in Porto Santo Stefano al servizio dei territori di Siena, Grosseto e Volterra, inaugurato nel 1873; organizzò "pubbliche letture", destinate a istruire le classi meno colte e soprattutto a favorire un'auspicabile divulgazione dei progressi della scienza e in particolare della medicina, alle quali partecipò dettando lezioni su vari argomenti relativi alla salute e all'igiene; istituì nel 1875 la Società di soccorso per i malati dimessi o convalescenti. Con il consiglio e l'aiuto dei suoi due più valenti collaboratori, E. Morselli e A. Tamburini, fondò nel 1875 il periodico Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale, che divenne ben presto il più importante organo italiano delle due specialità e al quale collaborò anche C. Lombroso. Il L. lo concepì come lo strumento valido a promuovere uno stretto collegamento tra lo studio fisico e morale dell'essere umano, tra il sapere medico e il sapere giuridico, quest'ultimo volto a riconoscere il delitto, il primo a riconoscere il delinquente (Quel che vogliamo, ibid., pp. I-VIII). Sempre nel 1875 fondò la Gazzetta del Frenocomio di Reggio Emilia.
Il L. esordì nella ricerca scientifica recando validi contributi, basati essenzialmente sulla propria esperienza di alienista e sulla quotidiana osservazione dei malati, alla conoscenza dei rapporti tra malattie mentali e comportamenti criminali: buon conoscitore degli autori francesi la cui influenza sulla nascente antropologia criminale era dominante, studioso del reato e soprattutto del reo, egli fu saldamente ancorato ai principî di difesa sociale del delinquente e del doveroso intervento medico che gli andava garantito in virtù di una condotta condizionata da fenomeni patologici. In epoca antecedente l'affermazione della nuova scuola antropologica, pur non propugnando un determinismo negatore del libero arbitrio, fu in qualche modo un freniatra positivista e, in quanto sostenitore della necessità dell'indagine anatomo-istologica del cervello, ritenuto la sede delle alterazioni che sono causa delle malattie mentali, un organicista. Incondizionatamente aderente all'obiettività del metodo sperimentale e dell'osservazione clinica, non rinunciò tuttavia all'indagine psicologica e al metodo introspettivo che altri psichiatri deterministi bandivano dai loro studi. L'esercizio della freniatria, allora tendente a risolvere i problemi mediante l'indagine positiva morfologica, e della medicina legale, il cui ruolo di mediazione tra i laboratori scientifici e il mondo del diritto andava stentatamente evolvendosi, aveva condotto il L. su tali posizioni. Attento studioso dell'individualità morbosa del quadro clinico allora definito monomania o pazzia ragionante, egli ne sostenne la natura di malattia mentale in grado di ledere le facoltà e di influire sulla responsabilità penale. Nell'ampio dibattito per la riforma del codice penale, che avrebbe condotto all'abolizione della pena di morte, contro la quale egli si espresse con valide argomentazioni, il L. si attestò sui principî della scuola antropologica. I suoi lavori furono ben presto noti tra psichiatri e giuristi, che apprezzarono il suo saggio sulle frenopatie, Delle frenopatie considerate patologicamente in genere e in ispecie, in Arch. italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, I (1864), pp. 11-22, 129-149, 317-324, 353-381; II (1865), pp. 69-95, 395-417; fece poi seguire la pubblicazione di numerosi altri studi dei quali si ricordano: Frenologia forense. Delle frenopatie considerate relativamente alla medicina legale, Milano 1865-68 (all'alienista francese A. Brierre de Boismont che aveva criticato un passo di questo lavoro rivendicante a V. Chiarugi la priorità delle nuove modalità di assistenza ai folli generalmente attribuita a Pinel, il L. rispose con un lungo e documentato articolo comparso dapprima sul quotidiano fiorentino La Nazione, ripreso poi da C. Ferrio in La psiche e i nervi, Torino 1948, pp. 306-318); Dell'omicidio morboso, in Arch. italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, III (1866), pp. 65-102; Della lussuria morbosa o afrodisomania, ibid., pp. 269-293; Del metodo sperimentale in freniatria e medicina legale. Discorso che potrebbe servire a uso di programma, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale, I (1875), pp. 1-10; Anatomia patologica della paralisi progressiva, ibid., pp. 29-47, 163-176, 289-305; La pena di morte al lume della fisiologia e della patologia, ibid., pp. 209-235, 462-482; I periti alienisti del foro. Lettera al prof. comm. F. Carrara, ibid., pp. 256-259; Della monomania in relazione col foro criminale, ibid., pp. 394-415, 639-660; In causa di omicidio volontario imputato a G. P., ibid., II (1876), pp. 75-97; In causa di fratricidio imputato ad A. Aquino, ibid., III (1877), pp. 513-535; L'uccisore dei bambini Carlino Grandi. Studio medico-legale dei periti F. Bini, C. L. ed E. Morselli, ibid., pp. 144-157, 352-369, 590-643; IV (1878), pp. 515-575.
Il L. studiò anche l'opera di F. Redi e dell'ambiente scientifico toscano del XVII secolo. Curò la pregiata edizione degli Opuscoli di storia naturale di Francesco Redi con un discorso e note di C. L., Firenze 1858, nella quale firmò il Discorso preliminare (pp. III-XXXV), corredata da un'appendice contenente il suo Discorso storico sull'acaro della rogna, letto alla Società medico-fisica fiorentina nell'adunanza del 16 maggio 1858. Collaborò inoltre al Calendario pratese, pubblicazione annuale di vita locale.
Il L. insieme con una dozzina di colleghi alienisti, riunitisi a Roma nel 1873, in margine al Congresso degli scienziati partecipò alla costituzione della Società freniatrica italiana, che già dal suo primo congresso di Imola del 1874 si proclamava nuova scienza specifica a deciso orientamento organicista, come testimoniava la scelta del termine freniatria in luogo di psichiatria. Fu membro dell'Accademia dei fisiocritici, ove lesse numerose memorie scientifiche, e aveva fatto parte del Consiglio sanitario provinciale di Siena
A Livorno, dove si era recato in veste di perito a un processo, il L. fu colpito da ictus e morì la sera del 4 giugno 1877.
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