LANZA, Carlo
Nacque a Mondovì il 21 maggio 1837 dal conte Ignazio e da Luisa Polissena dei conti di Frangia Genola. Appartenente a una famiglia legata alla corte, si avviò giovanissimo alla carriera delle armi.
Nel 1851 fu ammesso alla R. Militare Accademia sabauda; il 16 ag. 1854 fu nominato cadetto; il 9 ag. 1855 sottotenente nell'Esercito. Assegnato nel 1856 allo stato maggiore dell'arma di artiglieria, il 17 luglio 1858 conseguì il grado di luogotenente presso il reggimento artiglieria da campagna di Torino. Divenuto il 14 maggio 1859 luogotenente di 1ª classe partecipò alla campagna del 1859, conseguendo la promozione al grado di capitano. Capitano di 1ª classe nel 1860, aiutante maggiore nel 1864, il 5 luglio 1866 ottenne il grado di maggiore e partecipò alle operazioni della terza guerra d'indipendenza. Il 22 ott. 1866 fu comandato presso il ministero della Guerra; nel 1872 fu destinato al corpo di stato maggiore e il 23 luglio dello stesso anno fu nominato capo di stato maggiore della divisione militare territoriale di Roma. Il 9 marzo 1873 fu nominato tenente colonnello presso il comando del corpo di stato maggiore. Il 20 apr. 1873 fu nominato addetto militare presso la legazione d'Italia a Parigi, allora diretta da C. Nigra, che lo iniziò alle arti della diplomazia e partecipò, in qualità di delegato italiano, alla conferenza di Bruxelles sui diritti dei belligeranti. Rientrato in Italia il 12 ott. 1875, fu nominato direttore degli studi presso la Scuola militare di Modena. Il 15 luglio 1877 fu nominato colonnello nell'arma di fanteria, mantenendo il predetto incarico; il 10 nov. 1879 fu destinato nuovamente presso il comando generale del corpo di stato maggiore a Roma e nella stessa data fu nominato addetto militare presso la legazione d'Italia a Vienna. Rientrato il Italia il 18 nov. 1882, fu nominato comandante del 71° di fanteria e il 4 maggio 1884 divenne membro del comitato delle armi di fanteria e cavalleria. Maggior generale dal 3 luglio 1884, ebbe il comando della brigata "Como" e il 5 apr. 1885 diventò comandante della Scuola di applicazione di artiglieria e genio di Torino. Il 19 marzo 1887 fu nominato aiutante di campo generale di Umberto I. Dopo aver partecipato alla campagna d'Africa del 1887, rientrò il 17 maggio 1888 al suo posto di aiutante di campo generale; il 4 nov. 1889 fu nominato comandante della divisione militare territoriale di Perugia, cui seguì il 27 marzo 1890, ottenuta la nomina a tenente generale, il comando della divisione territoriale di Novara; il 17 dic. 1891 passò a Genova.
Collocato a disposizione, il 7 ag. 1892 il ministro B. Brin, su suggerimento del re, lo chiamò a reggere la legazione in Berlino in qualità di ambasciatore. Tra Brin e il L. i rapporti furono di stretta collaborazione, vista anche la comune formazione militare. Gli esordi della missione del L. a Berlino non furono dei più facili, perché egli si trovò a operare nel momento della transizione dall'età bismarckiana all'età gugliemina.
Sembrò, infatti, che il cancelliere G.L. Caprivi di Caprara di Montecuccoli volesse creare un'alternativa al momento della scadenza della Triplice cercando di migliorare i rapporti con la Russia, oltre ad avviare il potenziamento dell'esercito tedesco. Preoccupato da queste voci, Brin si affidò al L. per ottenere assicurazioni sulle intenzioni del cancelliere tedesco. In queste e in altre occasioni il L. dimostrò grandi capacità professionali e si rivelò un collaboratore prezioso, ottenendo l'appoggio diplomatico tedesco in molte questioni di interesse italiano. Inoltre, godendo della fiducia del re, gli fu possibile facilitare i rapporti dinastici con la famiglia imperiale.
La situazione cambiò con il ritorno al governo di F. Crispi, al quale era dispiaciuta la nomina del L. a Berlino, perché lo considerava "un uomo del re": lo statista siciliano, che si adoperava per limitare l'influenza del sovrano sulla diplomazia, trasferendo o collocando a riposo gli esponenti più legati al sovrano, non poté rimuovere il L. da Berlino. I rapporti del L. con il ministro degli Esteri A. Blanc furono formali, anche se questi non mancò di esprimere fiducia e stima nei suoi confronti. Fortemente critico nei confronti della linea seguita dai governi precedenti, Blanc aveva una visione più attiva della Triplice e assegnava all'Italia una funzione di trait d'union tra la Triplice stessa e l'Inghilterra. Il L., pur assicurando il suo pieno impegno, non giudicava realistica l'idea di utilizzare la Germania per rafforzare il rapporto con la Gran Bretagna.
Non mancò, infatti, di far presente che un avvicinamento alla Gran Bretagna nelle questioni africane avrebbe suscitato i sospetti di Berlino, contraria a un'espansione italiana in Somalia. Approfittando dei suoi buoni contatti nella capitale tedesca, il L. si sforzò di rassicurare la cancelleria imperiale sulla politica italiana nel Corno d'Africa e sul significato dell'accordo per le frontiere meridionali dell'Etiopia del 1894, cercando di esercitare un'azione moderatrice nella questione marocchina. Inoltre, d'intesa con S. Sonnino, si adoperò per favorire gli investimenti tedeschi in Italia.
Alla fine d'ottobre 1894, l'imperatore dimissionò Caprivi, nominando in sua vece il principe Ch. von Hohenlohe-Schillingsfürst, con il quale il L. aveva rapporti più cordiali. Migliorò anche l'intesa con Blanc, che nell'ottobre 1895 lo inserì nei ruoli diplomatici con il rango di inviato straordinario e ministro plenipotenziario, ma poche settimane dopo si aprì un duro scontro tra il L. e Crispi.
Crispi gli ordinò di chiedere l'immediato intervento dell'imperatore Guglielmo II su Vienna per protestare per l'esclusione dell'uso della lingua italiana in Istria; il L. rispose seccamente che non poteva vedere l'imperatore senza chiedere udienza e comunque all'insaputa del cancelliere; Crispi gli inviò allora uno sprezzante telegramma, al quale il L. replicò chiedendo di essere sollevato dall'incarico. Crispi gli intimò di ubbidire, salvo provvedere poi al suo permanere o meno in servizio. Benché, a seguito di un passo di L. su Hohenlohe, l'imperatore avesse impartito l'ordine all'ambasciatore tedesco a Vienna di intervenire nel senso desiderato, Crispi non si dette per vinto e insistette nell'intimare al L. di farsi ricevere dall'imperatore. Il colloquio avvenne qualche giorno dopo e l'imperatore dette ampie assicurazioni della sua azione sul governo austriaco affinché non fossero poste in atto azioni che potessero far correre pericoli alla solidità dell'alleanza. Crispi si congratulò con il L. per i buoni risultati conseguiti, pur ribadendo le sue ragioni nel chiedere di investire l'imperatore di una questione centrale per la politica estera italiana. Con questa comunicazione Crispi considerò chiuso l'incidente: fu il L. a uscire vincitore dal duro confronto sia perché aveva dimostrato di saper tenere testa al presidente del Consiglio sia perché era cresciuto nella considerazione dell'imperatore e dei governanti tedeschi.
Da Berlino il L. seguì il tragico epilogo della guerra d'Africa: la caduta di Crispi fu per lui un sollievo, anche se la successiva politica di A. di Rudinì di riavvicinamento a Francia e Inghilterra rese più delicata la sua posizione a Berlino. Nonostante la benevolenza che continuò a dimostrargli Guglielmo II (che accolse con comprensione la politica italiana di migliorare i rapporti con la Francia, soprattutto sul piano finanziario e commerciale), non mancarono ripercussioni sulla Triplice, prossima alla scadenza. Toccò al L. svolgere un'azione di chiarificazione e di assicurazione rispetto alle dichiarazioni revisionistiche di Rudinì nei confronti della tradizionale alleanza, come pure presso il governo italiano nei riguardi della politica tedesca verso la Russia e la Francia.
Con il ritorno di E. Visconti Venosta a capo della diplomazia italiana nel luglio 1896, la posizione del L. si fece più difficile, sia per le incomprensioni che si determinarono con la Germania (come nella questione di Creta) sia sul piano personale. Sentendosi messo da parte, nel giugno 1897 offrì le sue dimissioni, che Visconti Venosta respinse, riaffermandogli piena fiducia. Nel 1898 il L. fu nominato senatore, ma, a ragione del suo incarico, non fu molto presente in aula.
Il L. si dimostrò utilissimo ogni volta che si trattò di ottenere una mediazione tedesca, come per le condizioni delle minoranze italiane nell'Impero austr0-ungarico o l'appoggio tedesco alla richiesta di una stazione italiana in Cina: ciò fu possibile sia per l'ascolto che egli continuò ad avere a corte sia per i suoi buoni rapporti personali con il nuovo ministro degli Esteri, B. von Bülow. Visconti Venosta continuò a servirsi dell'opera del L. per assicurarsi l'appoggio diplomatico tedesco nella questione cinese, alla vigilia della guerra dei Boxers. Fu proprio il L. a consigliarlo di non estraniarsi da un'azione comune europea, limitando, tuttavia, la dimensione dell'impegno militare italiano in Cina.
A Berlino il L. continuò ad adoperarsi per l'equilibrio nel Mediterraneo, preoccupazione costante di Visconti Venosta, dando consigli di moderazione a von Bülow nella questione marocchina, pur non mancando di far presenti le aspirazioni italiane sulla Tripolitania nella prospettiva di una modificazione dello status quo in quell'area. Il L., che continuava a lamentarsi delle difficili condizioni materiali dell'ambasciata italiana a Berlino, voleva ottenere un'altra destinazione e avrebbe avuto assicurazioni sia da Visconti Venosta sia da Umberto I, ma il regicidio di Monza bloccò tutto.
Del resto, il L. si rivelò ancora utile al governo Zanardelli, specie per il rinnovo dei trattati di commercio.
La nomina a cancelliere di von Bülow fu motivo di conforto per il L. per la rinegoziazione dei trattati, anche se a Berlino dispiacquero alcuni episodi (come la visita di navi italiane a Tolone, le parole del console italiano a Londra in occasione di un banchetto alla Camera di commercio) e le stesse dichiarazioni di G. Prinetti in occasione della discussione del bilancio del ministero degli Esteri nel giugno 1901, che lasciavano pensare a un atteggiamento troppo filofrancese. L'adozione di una nuova tariffa da parte del governo tedesco impensierì il governo italiano e d'altro canto le dichiarazioni di L. Luzzatti sulle prospettive negative di un negoziato commerciale crearono ulteriori motivi di risentimento, tanto che Prinetti dovette dissociarsi pubblicamente da esse. Toccò al L. ricucire i rapporti, intervenendo su von Bülow, nonché sullo stesso Guglielmo II.
A partire dal 1902, si ebbe una svolta nell'equilibrio internazionale. I rapporti tra Londra e Berlino subirono un deterioramento a causa delle rivalità in campo coloniale e del riarmo navale tedesco; la funzione di anello di congiunzione tra Inghilterra e Triplice che l'Italia si era sforzata di esercitare non parve più perseguibile e la stessa politica di equilibrio nel Mediterraneo a difesa dello status quo sembrava una prospettiva difficile da sostenere. Prinetti cercò di garantirsi il diritto di prelazione sulla Tripolitania stipulando una nuova intesa con la Gran Bretagna (12 nov. 1902) e con la dichiarazione di disinteresse austriaco per la Tripolitania; si adoperò inoltre per risolvere il contenzioso con Parigi, perfezionando l'intesa Visconti Venosta - Barrère sulle "sfere di influenza" in Libia e Marocco (accordi italo-francesi del 10 luglio 1902). Inoltre Prinetti lavorò per migliorare il trattato della Triplice, in occasione del suo rinnovo. In questa fase di movimento, il L. si trovò di nuovo al centro degli avvenimenti e divise con Nigra la delicata funzione di negoziare il nuovo trattato della Triplice che sia Bülow sia A. von Goluchowski intendevano rinnovare senza cambiamenti. Prinetti propose a Bülow alcune modifiche degli articoli VI e VII relative allo status quo nei Balcani, e dell'art. IX relativamente alla Tripolitania, nonché un protocollo d'intesa riguardo al rinnovo dei trattati di commercio. La posizione nettamente contraria degli Imperi centrali rendeva gli spazi di manovra assai ristretti: malgrado ciò, il L., attraverso un'azione diretta su Bülow, riuscì a provocare un chiarimento che fu determinante per sbloccare il negoziato.
Bülow, secondo quanto dichiarato al L. e poi ribadito a Prinetti nei colloqui di Venezia del marzo 1902, non intese prendere impegni per i Balcani, anche se riconobbe che l'Italia aveva interesse che non vi fossero modificazioni che riguardassero Costantinopoli, i Dardanelli e l'Egeo per evitare che la Russia potesse espandere la sua influenza nel Mediterraneo. Circa la Tripolitania Bülow affermò che l'art. IX implicava già l'assoluto disinteresse della Germania per un'eventuale azione italiana in quella regione. Per il rinnovo dei trattati di commercio, infine, chiarì che non sarebbe stato possibile iniziare i negoziati commerciali prima dell'approvazione della nuova tariffa, ma assicurò il governo italiano della sua volontà di concludere rapidamente la questione. Al termine di tali chiarimenti il L. scrisse a Prinetti che il governo italiano poteva considerare di avere conseguito in due punti lo scopo desiderato. Per quanto riguardava i Balcani la risposta di Bülow era stata "prevedibile": si poteva perciò procedere al rinnovo del trattato con tranquillità d'animo. Nell'aprile 1902 si ebbe una dichiarazione congiunta di Austria-Ungheria e di Germania, al fine di definire le fasi preparatorie per i trattati di commercio (atto che doveva favorire, poco dopo, la firma del trattato avvenuta il 28 giugno 1902). Il rinnovo della Triplice comportò l'accoglimento delle aspettative dell'Italia nei riguardi della Tripolitania, e il successivo scambio di lettere fra Prinetti e C. Barrère dotò l'Italia di un sistema diplomatico che le dava maggiore autonomia. Si può ritenere che il L. abbia avuto un ruolo da comprimario, accanto a Prinetti e a Nigra, nella costruzione di questo nuovo assetto.
Il L. rimase a Berlino anche con il governo Giolitti e fu risparmiato dal movimento del 1903, con il quale T. Tittoni iniziò lo svecchiamento della diplomazia italiana. I rapporti inviati da Berlino tra il 1904 e il 1906 testimoniano l'equilibrio con cui seguì l'evoluzione della politica tedesca in rapporto ai nuovi equilibri internazionali: in particolare, sottolineò la tensione con la Gran Bretagna, a causa del riarmo navale tedesco e della politica di Berlino in Africa e in Cina; altrettanto significativa la sua capacità di analisi della situazione politica interna, economica, industriale e sociale dell'Impero, sempre avendo ben presenti le relazioni commerciali tra Italia e Germania.
Il L. ormai era molto anziano e, su sua domanda, fu collocato a riposo il 22 nov. 1906.
Tittoni gli riconobbe di aver diretto con avvedutezza l'ambasciata italiana a Berlino in un momento critico delle relazioni internazionali riuscendo a mantenere su un piano di parità i rapporti tra i due Stati, affermando che il suo nome sarebbe rimasto nella storia della diplomazia. A sua volta il re Vittorio Emanuele III, per attestargli la sua benevolenza per i servizi resi alla dinastia e al paese, gli concesse di conservare il grado e le prerogative di ambasciatore e il diritto di indossare l'uniforme in occasione delle cerimonie ufficiali.
Il L. morì a Torino il 14 marzo 1918, senza eredi diretti, lasciando il cognome ai figli della sorella Sofia, che aveva sposato il marchese Cesare Cordero di Montezemolo.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico diplomatico del ministero degli Affari esteri, Arch. personale, VII, L.2; Serie politica P (1891-1916); Ambasciata d'Italia a Berlino, bb. 83-84; 90-92; 95-103; Documenti diplomatici italiani, s. 2, XXV-XXVII, ad indices; s. 3, I-VI, ad indices; S. Sonnino, Diario (1866-1912), a cura di B.F. Brown, Bari 1972, pp. 203, 212, 262, 335, 430, 439-441; Id., Carteggio (1891-1913), a cura di B.F. Brown - P. Pastorelli, Bari 1981, pp. 77 s., 173, 178 s., 428-430, 518; B. von Bülow, Memorie, I, Dalla nomina a segretario di Stato… (1897-1903), Milano 1930, ad ind.; E. Decleva, Da Adua a Sarajevo. La politica estera italiana e la Francia (1896-1914), Bari 1971, pp. 25, 72, 78, 108, 119, 129, 253, 280, 282; Enc. Italiana, XX, p. 514; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, p. 90; Lessico universale italiano, XI, p. 504; La formazione della diplomazia nazionale. Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, p. 408.