IZZO, Carlo
Nacque a Venezia il 19 luglio 1901, figlio unico di Vincenzo, già bersagliere e impiegato delle Imposte, e Antonietta Lombardo. Conseguito il diploma superiore, proseguì gli studi su incoraggiamento e con notevoli sforzi economici del padre; si laureò con lode l'11 nov. 1925 in lingue e letterature straniere presso la facoltà di economia e commercio dell'Università di Venezia, con una tesi su J. Swift. Divenuto professore di ruolo di lingua inglese all'istituto tecnico commerciale nel 1928, due anni dopo cominciò a insegnare presso l'Università di Venezia; ebbe incarichi anche nelle Università di Urbino e Bologna e qui, nel dicembre 1958, vinse la cattedra di lingua e letteratura inglese presso la facoltà di lettere e filosofia. Nel 1929 aveva sposato Lia Ravenna, insegnante, da cui ebbe i due figli Aldo (1930) e Alberto (1933).
Intensa fu l'attività di pubblicista che lo vide collaborare, dal 1928 e fino agli anni della guerra, con periodici locali (Archivio veneto, Ateneo veneto, Corriere padano, ecc.) e, dopo la fine del conflitto, con testate nazionali (Il Mattino del popolo, Avanti! e, soprattutto, la Gazzetta del popolo).
Con le sue recensioni e la sua opera di divulgatore e di critico l'I. fece conoscere al pubblico italiano molti scrittori inglesi e americani con pagine dove la riflessione letteraria era spesso animata, in anticipo sui tempi, da un vivo interesse antropologico e sociologico.
Molti di quegli articoli, insieme con i saggi introduttivi alle opere da lui tradotte e curate, furono raccolti in Civiltà americana (I-II, Roma 1967) e Civiltà britannica (I-II, ibid. 1970). Al 1935, anno in cui la propaganda fascista avviò la campagna culturale antinglese, risale il primo viaggio dell'I. in Inghilterra.
Nei resoconti al Corriere padano (Civiltà britannica, II, pp. 9-46) risalta la qualità solidamente realistica della sua scrittura, che, pur non disdegnando pause descrittive di notevole suggestione, rendeva attento il lettore italiano alle questioni economiche sottese alle pratiche estetiche, alla composizione sociale della folla londinese e a tutti gli aspetti che il critico individuava come tipici del carattere inglese.
Tornato in Italia, l'I. intraprese le sue prime traduzioni provandosi, in ciò antesignano, con alcuni passi dei Cantos di E. Pound (Ateneo veneto, CXIX [1935], pp. 243-246); con il poeta, che allora dimorava a Venezia e che gli fu presentato da M. Dazzi, direttore della Biblioteca Querini-Stampalia, ebbe inizio un rapporto di stretta collaborazione, testimoniato da un carteggio (Civiltà americana, II, pp. 249-285) bruscamente interrotto dall'I. quando Pound radicalizzò le sue posizioni politiche. Pur critico nei confronti dell'uomo, l'I. conservò una profonda stima per il poeta, giudicato non solo uno fra i massimi del Novecento, ma l'originario ispiratore del suo interesse per la poesia contemporanea inglese e americana.
Tale interesse produsse, negli anni, pregevoli antologie con testo a fronte, più volte aggiornate e ampliate. Oltre al volume dedicato alla poesia inglese (Poesia inglese contemporanea da T. Hardy agli apocalittici, Parma 1950), in cui è da segnalare la collocazione di Hardy poeta alle origini del canone contemporaneo, novità assoluta per il pubblico italiano furono le antologie di poeti americani e afroamericani del Novecento (Poesia americana contemporanea e poesia negra, ibid. 1949; Nuovissima poesia americana e negra, ibid. 1953; Poesia americana del '900, ibid. 1963) in cui l'I., individuando ex-post una dialettica di dipendenza, emancipazione e riavvicinamento della poesia americana rispetto alla tradizione inglese, salutava nell'opera di Pound la nascita di un'era di reciproca influenza, consolidatasi con T.S. Eliot e confermata da W.H. Auden (poeti che egli conobbe di persona; Auden gli dedicò anche una poesia, Good-bye to the Mezzogiorno, pubblicata e tradotta dall'I., Milano 1958).
Quando, dal 1937 al 1939, fu comandato lettore di italiano presso l'Università di Copenaghen, l'I. portò la famiglia con sé. Al rientro erano state promulgate le leggi razziali, che costarono alla moglie, di origine ebraica, la sospensione dall'insegnamento. Seguirono gli anni bui della guerra e quelli della Repubblica di Salò, forse ancor più drammatici per la famiglia, che, trasferitasi al Lido di Venezia, sperimentò l'angosciosa minaccia della deportazione. In quegli anni, contro l'I. fu spiccato un mandato di cattura con l'accusa di antifascismo e solo il formalismo del questore di Venezia, che rifiutò di firmare un mandato basato su denuncia anonima, impedì che esso fosse eseguito. L'impegno civile avrebbe poi spinto l'I. ad assumere anche responsabilità amministrative divenendo, nel 1946, assessore alle Belle Arti, Turismo e Sport nella giunta socialcomunista di Venezia.
Negli anni della guerra l'I. aveva continuato a insegnare, a scrivere per la stampa e soprattutto a tradurre, sempre vivendo questa attività come pratica critica.
Molti furono i grandi autori da lui tradotti, talora in edizioni pubblicate solo alla fine del conflitto: D.H. Lawrence (La verga di Aronne, Milano 1939), H. Fielding (Jonathan Wild, ibid. 1943), H. James (Romanzi brevi, ibid. 1946), G. Chaucer (I racconti di Canterbury, ibid. 1946), J. Milton (Ode alla Natività…, Firenze 1948; Sansone Agonista…, ibid. 1948). A quegli stessi anni risale la traduzione integrale del Libro delle follie del vittoriano E. Lear, sequenza di surreali poesiole di cinque versi, note come limericks, dove al rigore dello schema metrico e ritmico, corrisponde l'assoluta illogicità del contenuto. L'ardua sfida a tradurre l'intraducibile sembrava richiedere le virtù di intuito e razionalità proprie del cultore di scacchi, gioco per il quale l'I. nutriva un'autentica passione. Lavoro a lui particolarmente caro, forse un antidoto a quel delirio della ragione che aveva contagiato l'Europa, fu pubblicato solo nel 1946 e più volte ristampato (3ª ed., Torino 1970), rivelando al pubblico italiano la tradizione inglese dell'assurdo.
La vicenda accademica dell'I. fu piuttosto travagliata: egli lamentò sempre di non aver avuto un maestro e i rapporti con i colleghi della sua generazione, salvo M. Praz, non furono sempre facili. Più fecondo fu lo scambio con gli studiosi della generazione successiva e proprio insieme con letterati come A. Lombardo, G. Baldini, S. Rosati, Bianca Maria Tedeschini Lalli, l'I. introdusse nell'università italiana l'insegnamento della letteratura nordamericana, disciplina che insegnò nella seconda metà degli anni Cinquanta a Venezia e dagli anni Sessanta in poi a Bologna.
L'interesse per la letteratura americana risaliva agli anni Trenta, quando le pubblicazioni che giungevano da Oltreoceano sembravano portare una ventata di novità nell'atmosfera estetizzante dell'epoca. Emblematica appare una recensione del 1933, intitolata Nuova York, al romanzo di J. Dos Passos, Manhattan transfer (1925), del quale l'I. esalta la "spietata oggettività della visione" (Civiltà americana, I, p. 390). Proprio quella oggettività rimane per il critico la caratteristica più interessante della letteratura americana, anche quando, molti anni dopo, pubblicò l'opera per la quale è più spesso ricordato, la Storia della letteratura nord-americana (Milano 1957, 3ª ed. agg., Firenze-Milano 1967). Con le sue quasi settecento pagine, la Storia dell'I. fornì a studiosi e studenti italiani, insieme con quella coeva di S. Rosati, la prima mappa dettagliata di un territorio di ricerca ancora largamente inesplorato. L'importanza dell'opera, come rilevato da A. Lombardo (1974), risiedeva in una pionieristica sistemazione storica della letteratura americana condotta attraverso l'accurata ricostruzione della produzione minore e un'ampia selezione di brani poco noti o addirittura inediti.
Negli Stati Uniti l'I. poté recarsi per la prima volta nel 1959. La memoria di quel viaggio è conservata nelle acutissime pagine inviate alla Gazzetta del popolo (Civiltà americana, II, pp. 9-38), in cui il viaggiatore, a contatto con la realtà locale, riconosce e mette alla prova i propri pregiudizi, pur ammettendo, in una sorta di istintiva e mai teorizzata attitudine ermeneutica, di non poterne prescindere del tutto. Successiva di qualche anno fu la sua Storia della letteratura inglese (I, Milano 1961; II, ibid. 1963; nuova ed. agg., Firenze 1968), opera che, pur al cospetto degli illustri precedenti di E. Cecchi e Praz, si segnalava per l'originalità del taglio interpretativo.
Individuando nel senso drammatico - ovvero la capacità della parola scritta di suggerire la gestualità e il tono della voce - e nel gusto del nonsense le caratteristiche specifiche della civiltà letteraria inglese, l'I. ne fece il perno del proprio discorso critico, riuscendo a conferire organicità alla sua Storia pur in presenza di un prevalente impianto biografico. Questo metodo rendeva evidente la sua distanza dalle posizioni crociane, avvicinandolo alla tradizione dell'anglistica italiana inaugurata da Praz (cfr. Gabrieli).
L'intuizione critica che è al centro di quella Storia era forse maturata nella sua monografia, Autobiografismo di Charles Dickens (Venezia 1954).
Convinto che l'arte è sempre desiderio di lasciare traccia di sé, come già affermato nelle giovanili pagine creative di Sabbie mobili (ibid. 1937), l'I. rivalutò il romanziere vittoriano indicandone in un costante autobiografismo il valore intrinseco della produzione. E proprio in Dickens l'I., quasi a emendare il giudizio non sempre lusinghiero di Praz (1952), aveva trovato in massimo grado quel senso drammatico e quel gusto del nonsense che sempre più avrebbe ritenuto espressivi dell'intera civiltà letteraria inglese.
Della sua esemplare attività di traduttore - che egli preferiva chiamare "esercizio" anziché "arte" - sono ancora da citare: E.A. Poe, Tutti i racconti e le poesie (Roma 1953), E. Spenser, La regina delle fate (Firenze 1954), W.H. Auden, Poesie (Parma 1954), J. Gay, L'opera dello straccione (Firenze 1955), ma soprattutto La prima Lady Chatterley e La seconda Lady Chatterley di D.H. Lawrence (Milano 1954); questa seconda versione del romanzo fu tradotta dall'I. direttamente dal manoscritto dell'autore rimanendo l'unica edizione disponibile fino alla revoca della censura inglese sull'opera.
L'I. morì a Bologna il 13 ag. 1979.
Fonti e Bibl.: Parte delle notizie biografiche sono state fornite dal figlio dell'I., Alberto. Oltre alle opere citate, per una bibliografia dettagliata degli scritti dell'I. si rimanda a quella curata da M. Alpi in Hurrahing in harvest. Saggi in onore di C. I., a cura di M. Alpi, Imola 1972, pp. 1-30. Vedi inoltre: M. Praz, La crisi dell'eroe nel romanzo vittoriano, Firenze 1952, pp. 119-175; A. Lombardo, La letteratura americana e la sua storia, in Id., Il diavolo nel manoscritto, Milano 1974, pp. 37-47; Id., Ricordo di C. I., in Quaderni di filologia germanica della facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Bologna, Bologna 1984, pp. 7-22; V. Gabrieli, Croce, Praz e l'anglistica italiana, in Archivio di storia della cultura, XIII (2000), pp. 93-117.