FRUGONI, Carlo Innocenzo
Poeta; il più frondoso e dissipato degli arcadi; nato a Genova il 21 novembre 1692, morto a Parma il 20 dicembre 1768. Uscito da famiglia dogale, fu avviato a vita religiosa tra i somaschi; ma egli si tolse ai vincoli monastici con l'aiuto del card. Cornelio Bentivoglio, suo ammiratore, e, trasferitosi a Parma, fu il poeta dell'estrema corte farnesiana. Morto Antonio Farnese, il F. consolidò la sua fama con un volume di Rime dedicato nel 1734 a Elisabetta Farnese, regina delle Spagne, nel quale tra altre sue liriche raccolse i canti inneggianti alla conquista del reame di Napoli per opera di Carlo di Borbone. Ma tra le sorti mutevoli della guerra di successione polacca e di quella austriaca le sue fortune declinarono, ed egli visse non di rado giorni di nera miseria. Recatosi a Venezia, fu soccorso e quasi sottratto a morte da un giovine letterato per il quale serbò fino all'ultimo viva riconoscenza, F. Algarotti. Dopo la pace di Aquisgrana ritornò alla corte di Parma, ove, protetto dal Du Tillot, divenne il poeta degli spettacoli teatrali. Per più di un decennio egli tenne un vero primato tra i poeti lirici dell'età sua, sia per la sonante e faconda prontezza nel dir tutto in versi, sia per lo splendore che gli veniva dall'essere il poeta ufficiale di Parma, l'"Atene d'Italia".
Come poeta di teatro, non corrispose alle speranze del Du Tillot, il quale mirava a una riforma che unisse i caratteri dell'opera francese a quelli del melodramma italiano; ma come poeta lirico fu letto e imitato per tutta Italia; anzi i suoi versi sciolti, a insaputa del poeta, furono prescelti da S. Bettinelli come degni di essere proposti a modello di nuova poesia, allorché questi stampò le Lettere Virgiliane. La stampa di quei versi dispiacque vivamente al poeta, consapevole dei suoi limiti; più tardi, sebbene pregato e ripregato dal Du Tillot, egli non volle pubblicare la raccolta di tutte le sue liriche la quale pure era domandata da ogni parte. Egli era nato - diceva - per dar note come un cembalo, ma non era da lui il lavoro della lima. E invero la vita dolce e voluttuosa dell'elegante società parmense passa nei suoi scritti con note ora facili e musicali, ora sonore e stridenti; ma la sua ispirazione non va mai oltre quella di un giocondo e smaliziato sensismo epicureo. Quando egli morì nel 1768, era già incominciata la reazione alla sua maniera artistica, non solo fuor del ducato per opera di G. Baretti, ma anche in Parma stessa per opera di Angelo Mazza che annunziava di voler dare la vera poesia all'"ingannata Italia". L'opera sua che era apparsa immensa per il profluvio dei metri e delle immagini giacque non appena fu accolta nella sontuosa edizione della Real Stamperia Parmense. V. Monti nel carme alla march. Anna Malaspina della Bastia premesso all'edizione bodoniana dell'Aminta del Tasso (1788) lo rievocò come "padre incorrotto di corrotti figli"; ma il frugonianismo, che s'era diffuso per tutta Italia, divenne giustamente sinonimo di arte pomposa e vuota. Oggi l'ispirazione più viva del poeta genovese appare nelle meliche, dove passa ancora il sospiroso "epicureo dell'amore", che cantò tutte le belle, sognando la gioia della vita.
Ediz.: Opere poetiche: Parma 1779 seg., voll. 10; Lucca 1779-80, voll. 15.
Bibl.: E. Bertana, In Arcadia, Napoli 1909; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920; A. Equini, C. I. F. alle corti dei Farnesi e dei Borboni di Parma, Palermo 1920-21.